Infodemia: il 'contagio delle informazioni' e il ruolo dei social

Questa è la quarta puntata di Bit Generation, una serie di articoli sulla cultura digitale. Videogiochi, nuove piattaforme, rapporto con la tecnologia, cultura visuale: qui si raccontano le storie e le iniziative più interessanti che si trovano in Alto Adige e non solo. Qui si trova la nuova sezione speciale della rubrica con tutte le altre puntate. Sulla homepage di «Alto Adige Innovazione» invece c’è anche l’illustrazione della serie: correte, ci sono i dirndl in pixel art).

 

Il linguista Nicola Grandi, professore dell’Università di Bologna, e lo studente di linguistica bolzanino Alex Piovan hanno pubblicato di recente sulla rivista «MicroMega» uno studio sulla ‘pandemia di informazione’, ovvero l’infodemia. L’infodemia è «la diffusione di una quantità di informazioni enorme, provenienti da fonti diverse e dal fondamento spesso non verificabile», come scrivono gli autori dell’articolo. La parola – stando alle informazioni che abbiamo – viene dalla traduzione in italiano di infodemic, espressione coniata dal giornalista David J. Rothkopf che nel 2003, sul «Washington Post», ha scritto un articolo sull’epidemia di Sars durata dal 2002 al 2004.

L’articolo è nato dalla ricerca di un laboratorio online dell’università, istituito dal professore in seguito a una conversazione con Piovan su un articolo di settore in cui l’autore ha analizzato le metafore della Sars sui giornali inglesi, sempre nel 2003. Gli autori dell’articolo di cui parliamo, invece, hanno analizzato non solo la comunicazione istituzionale e quella della stampa, ma anche quella adoperata da alcuni politici di spicco attraverso i social network, i quali hanno avuto un ruolo molto rilevante soprattutto durante il primo mese di lockdown. Interessante è vedere la differenza di approccio in base al mezzo usato, anche da parte di persone che ricoprono ruoli di rilievo.

Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità, già agli inizi di febbraio, si è dimostrata preocuppata riguardo al pericolo di infodemia. «Questi ultimi (i social, ndr), che rappresentano la grande novità rispetto al panorama della comunicazione che ha fatto da sfondo alle precedenti emergenze globali, si collocano su un piano leggermente diverso rispetto alla comunicazione istituzionale e agli organi di informazione, in quanto, rispetto ad essi, giocano anche, spesso soprattutto, il ruolo cruciale ora di filtro, ora di cassa di risonanza», hanno scritto Grandi e Piovan. I social network, come Facebook e Instagram hanno lavorato affinché non ci fossero bufale sulle loro piattaforme; mentre Twitter ha stretto un accordo con il Ministero della salute. Ma oltre alle questione delle notizie false, vediamo com’è andata. «Quello che si nota subito è che i comunicati sui siti web istituzionali, secondo gli indici di leggibilità, sono molto difficili da leggere. I primi tre dpcm si fermano al 38%, un dato molto basso: indica che solo i laureati hanno un pieno accesso a quelle informazioni. Il nostro paese ha un numero molto basso di laureati e i cittadini si informano pochissimo sui siti web istituzionali, rispetto ad altri paesi europei», ha detto Alex Piovan ad «Alto Adige Innovazione».

Come dicevamo, gli autori e i partecipanti al laboratorio del professor Grandi hanno anche analizzato dieci post pubblicati prima della diramazione dei decreti e dieci post successivi di tre leader politici: il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il segretario della Lega Matteo Salvini e il segretario del Partito Democratico Nicola Zingaretti. «Abbiamo rilevato, sempre grazie agli strumenti che calcolano la leggibilità di un testo (la facilità di lettura), che i post di Conte e di Salvini si assestano intorno al 55-60%, risultando molto più leggibili dei comunicati ufficiali, mentre Zingaretti – dopo l’emanazione dei decreti – risulta ancora più leggibile. Questo lato positivo per la sua comunicazione, però, viene ostacolato da una certa lunghezza dei post», ha detto Piovan.

L’aspetto di cui si è occupato di più Alex Piovan è quello che riguarda le metafore adoperate per comunicare l’emergenza provocata dal nuovo coronavirus. Secondo lo studente bolzanino il Covid-19 è stato raccontato alla stessa maniera della Sars del 2003. «Le metafore delle guerra, del killer, della piaga biblica. Sono metafore che si usano normalmente e anche in modo ingenuo, soprattutto quella della guerra. Riguardo all’uso del ‘virus killer’ ci sono conseguenze rischiose, che possono generare del panico. Un killer è una persona ignota, con una lista di persone da uccidere, secondo il nostro immaginario è sempre letale e deve essere arrestato. Diciamo che non tutte le metafore suggeriscono implicitamente dei comportamenti adeguati», ha concluso Piovan.

Domenico Nunziata

La foto in copertina è di Asia De Lorenzi

 

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