
"Non vorrei un mondo in cui solo i ricchi possono viaggiare". Intervista a Erica Kircheis
Bressanone. “Era buffo, in casa parlavamo Mischmasch, iniziavamo una frase in una lingua e la continuavamo nell’altra, con grande dispiacere di mio padre, che ci diceva: ma almeno finite la frase!”. Erica Kircheis ricorda divertita la sua infanzia bilingue tra il mondo italiano e tedesco. Muoversi tra culture diverse è sempre stato naturale per lei: suo nonno si era trasferito in Italia dalla Sassonia, i suoi genitori sono bilingui, mentre lei è nata a Milano, dove ha frequentato la scuola tedesca. “Mio fratello lavorava nel turismo per la promozione dell’Austria ed ero molto affascinata, non nego che il fatto che andava a sciare pagato abbia avuto un peso. Poi ho capito che c’era molto di più della sciata coi giornalisti!” continua Kircheis. Dopo una brillante e lunga carriera all’ufficio stampa di VisitDenmark, ente nazionale per la promozione turistica della Danimarca, di cui per un certo periodo è stata anche direttrice, una decina d’anni fa ha lasciato Milano per trasferirsi in Alto Adige, nel paesino di Varna. Da qualche anno Kircheis lavora all’Ufficio turismo di Bressanone. La raggiungiamo in videochiamata per chiederle come sia arrivata in Alto Adige Südtirol e finiamo inevitabilmente a parlare di turismo, del suo impatto, di rischi e paure.
Il primo giorno in cui sei arrivata a Varna da Milano, non hai pensato: oddio, che ho fatto?
No, ho pensato che finalmente riuscivo a dormire di notte. Avevamo fatto il trasloco in luglio, nel caldo torrido di Milano. Poi avrei messo una bomba al campanile…perché far suonare le campane di notte?! Ma ci si abitua a tutto e ormai non le campane non le sento più.
Come sei arrivata in Alto Adige?
Non è stata una mia scelta, ma lo è diventata successivamente: abitare in montagna era il sogno di mio marito da sempre e ho ceduto. In fondo io il mio, lavorare nel turismo per una nazione estera, l’avevo già esaudito. E poi avevamo due figli ancora piccoli, dopo sarebbe stato più difficile.
E loro come si sono trovati?
Mia figlia mi ha chiesto: non torniamo a Milano, vero? Anche mio marito ha trovato presto lavoro come architetto in un’azienda fantastica, nonostante parlasse poco il tedesco…all’inizio ero più io il pesce fuor d’acqua.
Come mai?
Nei primi mesi non avevo nemmeno cercato lavoro, c’era da sistemare la famiglia e poi con un certo snobismo ero convinta che con uno schiocco dita avrei l’avrei trovato subito. Evidentemente ho schioccato nella maniera sbagliata… (scoppia a ridere)
Ho come un sospetto: troppo qualificata.
Esattamente! Era una cosa che mi mandava in bestia, quando sentivo dire, überqualifiziert…capisco se chiedi troppi soldi, ma io non arrivavo nemmeno a parlare di vil denaro. Ci ho impiegato due anni, poi ho avuto un contatto con l’International Mountain Summit per un incarico a ore da ufficio stampa, che mi ha aperto le porte del mondo del lavoro qui. Ho capito che avere un referente altoatesino, locale, era fondamentale, e così sono arrivata a Bressanone Turismo.
Quindi ti sei dovuta ripensare e “riscrivere” rispetto a quello che facevi a Milano?
La differenza è che comunichiamo un territorio più piccolo e non una nazione, ma qui mi occupo di tutti i mercati, italiano, tedesco, svizzero e Usa, e poi sono in loco, vedo nascere e partecipo ai processi di creazione dei progetti, è molto stimolante. Mai mi sarei aspettata eventi di respiro così ampio e anche internazionale in una cittadina come Bressanone.
Certo ci vuole coraggio per fare scelte così, non è scontato.
I primi due anni in cui ero più o meno disoccupata, le guance si sono bagnate spesso, ma la crisi mi ha permesso di mettere ordine ai miei valori e alle priorità. Da brava milanese pensavo solo al lavoro lavoro, lavoro, in cui mi ero identificata totalmente… nel momento in cui non ce l’avevo più era come se non esistessi, mi sentivo una nullità. Ma poi mi sono riappropriata del mio spazio, ho scoperto che può essere molto piacevole fare cose da sola, passeggiare, andare al cinema, al teatro.
Altri cambiamenti rispetto a Milano?
Uno shock che ho avuto è quanto la chiesa qui sia forte e presente, la messa il primo giorno di scuola, la lezione di religione che è catechismo…e c’è stata qualche pressione per far fare la cresima a mia figlia. E poi ci sono crocefissi ovunque, all’inizio della via in cui abitiamo c’è un crocefisso sanguinante e truculento, molto forte. Ecco questo mi fa effetto, sì.
Come vi siete trovati in paese?
Siamo stati accolti benissimo, la prima estate non avendo noi un orto sembrava facessero a gara a portarci quotidianamente zucchine, pomodori e insalata. Ciò nonostante, rimaniamo quelli che vengono da fuori. Credo di aver invitato a casa parecchie persone e non aver ricevuto molti inviti. Inizialmente ci sono rimasta male, ma poi mi sono resa conto che è un’altra cultura, ho capito che qui se si vuole festeggiare si va fuori, la casa è il regno di ogni famiglia. Però sai anche che nel momento del bisogno puoi contare sulle persone.
Il nanetto-mascotte che Erica Kircheis porta sempre con sé e diventato famoso su suo account instagram
Tu hai una lunga esperienza nel turismo e hai assistito sicuramente a molti cambiamenti del settore. C’è qualcosa in particolare che hai osservato in questi anni?
Tutti si viaggia molto di più, e, a prescindere dall’estrazione, quando si è viaggiatore o turista non ci si considera tale, si vorrebbe essere parte del nuovo territorio che si visita. In una destinazione turistica come l’Alto Adige si tende però a vedere il turista come un nemico, non capendo che si ha esattamente lo stesso ruolo quando si va da qualche parte.
Qui il turismo è una questione molto discussa.
A volte ho l’impressione che si vogliano solo i vantaggi. Bisogna ricordarsi che fino a una quarantina di anni fa questo era un territorio povero di contadini che si sono rimboccati le maniche…oggi è anche grazie a quel turista in calzini e sandali che magari non vorresti incontrare che in certe valli puoi prendere il bus, o andare a sciare, valli che altrimenti rischierebbero di spopolarsi.
La critica che viene mossa è che sia troppo.
Che poi bisogna mettere un limite e trovare un equilibrio sono pienamente d’accordo, capisco si voglia avere meno gente che spende di più, dall’altro lato il diritto a viaggiare dovrebbe essere per tutti. Non mi piacerebbe vivere in un mondo – e non parlo solo in Alto Adige, ma in generale- in cui solo chi se lo può permettere può fare vacanze.
Sulla popolazione locale ricadono però anche gli svantaggi…
Non è semplice, ma il maggiore coinvolgimento della popolazione locale è solo una cosa carina da inserire nelle strategie di marketing, ma una necessità. È una questione di rispetto e di autenticità nei confronti dei locali, e serve anche a far comprendere meglio tutto quello coinvolge il turismo, che non è solo l’albergo e il ristorante, ma un sistema più ampio, in tedesco si dice Lebensraum, per dare l’dea di quello che deve essere gestito affinché l’ospite e il locale convivano. E vorrei aggiungere un’altra cosa.
Prego.
Voglio ricordare che il turismo nasce come uno scambio, un incontro in cui si viene a contatto con una nuova cultura. Forse perché sono cresciuta in una scuola bilingue e ho avuto il grande privilegio di crescere con due culture, ho capito che c’è spazio per l’altro e per il diverso. Oggi si ha paura dell’altro, non lo si vuole. La tolleranza, secondo me, parte anche da qui, dalle piccole cose, e si riflette su aspetti ben più grandi e universali, come il non voler cercare sempre nell’estraneo il nemico o il motivo del perché mi va male.
(Alla fine chiediamo come sta il nanetto barbuto che l’ha resa famosa sui social, sempre presente nelle foto dei suoi viaggi o con i vip: è rimasto tutto il tempo nella sua borsa e sta benissimo, anche se un po’ ammaccato, ci rassicura).
Caterina Longo
Immagine in apertura: Erica Kircheis