Turris Babel: "Extra Large, la misura della città". L'editoriale di Alberto Winterle

TURRIS BABEL è la rivista di architettura della Fondazione Architettura Alto Adige, frutto della collaborazione appassionata e volontaria di giovani architetti. La Redazione si è posta come obiettivo quello di risvegliare l’interesse per l’architettura non solo tra gli esperti in materia, ma anche tra la popolazione, di rilanciare su tutto il territorio ed a livello nazionale il dibattito sull’architettura in Alto Adige, di promuovere la divulgazione di una buona progettazione, cosciente delle implicazioni socio-economiche ed ambientali che essa comporta.
A partire da questo numero di Turris Babel, Alto Adige Innovazione pubblicherà l’editoriale di apertura del volume come stimolo e approfondimento di temi legati allo spazio pubblico e ai sistemi urbani.

 

“Architecture is a hazardous mixture of omnipotence and impotence.” S,M,L,XL – Office for Metropolitan Architecture, Rem Koolhaas and Bruce Mau, The Monacelli Press, New York 1995 _ 010 Publishers, Rotterdam 1995

Siamo abituati ad osservare e fruire le opere di architettura indipendentemente dalla loro dimensione. La qualità che con passione e curiosità ricerchiamo, può essere espressa in un piccolo oggetto così come in un manufatto di notevole grandezza. Come professionisti ci troviamo nelle condizioni di confrontarci, alternativamente o anche allo stesso tempo, con la misura urbana e con quella dell’oggetto di arredo. “Dal cucchiaio alla città”, la celebre espressione creata da Ernesto Nathan Rogers riassume infatti con efficacia l’approccio degli architetti, capaci di attraversare con disinvoltura le scale del progetto per rispondere ai diversi compiti professionali.
Riferendosi però ai nostri territori, possiamo rilevare che spesso la misura dei progetti che ottengono maggiori riconoscimenti è relativamente limitata, coinvolge l’edificio e il suo immediato contesto. Il motivo sta forse nel fatto che è proprio la scala minore – parlo anche a titolo personale – la dimensione più confortevole, dove riusciamo ad avere la capacità di assicurare il controllo di un progetto in tutte le sue parti, ed anche la possibilità di seguire la sua corretta esecuzione. Ma, oltre a ciò, che potrebbe sembrare un limite, vi è anche il fatto che effettivamente le occasioni progettuali riguardano molte volte edifici, pubblici e privati, di dimensioni relative, mentre sono molto più rari i casi in cui l’ambito si confronta realmente con la scala urbana. Diverso è invece il nostro coinvolgimento nella definizione degli strumenti di programmazione urbanistica, dove però le scelte progettuali sono finalizzate a determinare le linee generali di sviluppo, senza la possibilità di seguire le successive fasi di approfondimento e attuazione dei progetti.
Oltre ad offrire un prezioso contributo attraverso le proprie riflessioni sulle trasformazioni della città contemporanea, dare senso e forma ad un intero comparto urbano, ad una parte di città, mette in campo la particolare responsabilità dell’architetto nel condizionare gli usi dello spazio fisico e psicologico di un luogo. La possibilità di definire un progetto alla scala extra-large costituisce una rara opportunità di modificare le città, di “plasmare il mondo”, con la consapevolezza di poter essere determinanti nell’immaginare gli spazi del futuro e nell’interpretare quelli del passato.
Credo sia proprio questo il contesto dimensionale dove quel labile confine tra onnipotenza e impotenza citato da Rem Koolhaas nell’apertura del libro S,M,L,XL assume il suo senso. Questo è ciò che esprime la dimensione urbana: indipendentemente dalla bontà del progetto, la vita di un luogo può modificarsi e trasformarsi nel tempo. Per questo siamo costretti a mantenerci in quel limite dove il tentativo di controllo (o a volte anche l’incapacità di controllo) degli effetti che i nostri progetti di disegno della città provocano deve tenere conto dell’imprevedibile, ovvero della capacità dei cittadini di fare propri gli spazi e i luoghi inventandone utilizzi che possono anche non corrispondere a ciò che abbiamo immaginato e previsto.


Alberto Winterle 

Per riflettere sugli effetti del nostro operato alla scala urbana, abbiamo con questo numero posto l’attenzione su alcuni importanti progetti di scala extra-large, XL, mettendo a confronto quattro diverse esperienze: due risultati di concorsi da poco resi noti, un fertile riutilizzo di una struttura esistente ed un progetto in fase di esecuzione.

Siamo ritornati a Bressanone, dopo il numero monografico 126 dedicato alla città, per riprendere il discorso e aggiungere un tassello mancante nei temi inerenti le future trasformazioni urbane. Il progetto del nuovo parco sportivo, risultato del recente concorso, coinvolge una rilevante area di interesse pubblico che contribuisce a definire il limite sud della città. Le funzioni attualmente ospitate ai margini del tessuto storico risultano sottodimensionate e non più compatibili con il centro abitato, da qui la necessità di individuare una nuova area con generose dimensioni, capace di diventare un’ampia valvola di sfogo per i cittadini. Posta lungo il fiume Isarco la nuova zona sportiva sposta e modifica i flussi, e fornisce un luogo che si misura con le proporzioni delle altre grandi funzioni insediate a Bressanone. Allo stesso tempo il progetto permette di completare la zona Priel con un prezioso spazio parcheggio per il centro storico, fornendo un basamento ed un contesto più congruo alla scuola di musica, e alla palestra di roccia che così possono ancorarsi saldamente al terreno.

 

Ad Appiano lo studio Feld72 propone un progetto, anche in questo caso vincitore di un concorso, di riconfigurazione dell’area “Rastwiesen”. Uno spazio agricolo che negli anni Trenta venne espropriato per la realizzazione della caserma Mercanti, ma che ora, dopo l’abbandono delle strutture militari può ritornare alla popolazione. Si tratta di una sorta di risarcimento fisico e funzionale di un luogo. Un tema importante e ricorrente che riguarda molte altre situazioni simili in cui la dismissione dell’ingente patrimonio militare appartenente allo stato, offre strutture e aree di grandi entità che passano nelle mani dell’amministrazione provinciale o anche dei singoli comuni. Il trasferimento di competenza diventa occasione progettuale per ripensare il senso di un luogo la cui memoria e dimensione assume un determinante ruolo sociale e politico.

Rimanendo nell’ambito della dismissione delle caserme militari dei primi anni del Novecento, siamo andati in val Venosta per capire come è possibile invertire la “normale” prassi di rigenerazione di un luogo, cercando in questo caso di evitare la demolizione e ricostruzione delle strutture abbandonate; quindi, senza cancellare le tracce di un periodo che in Alto Adige costituisce una ferita ancora aperta.
L’esperienza di Silandro evidenzia come un’iniziativa partita dal basso, da possibili concrete necessità che un gruppo di pochi pionieri ha saputo portare alla luce, può ridare senso e nuovo significato alla caserma Druso. Il concetto che sta alla base della rigenerazione fisica e sociale permette di attivare il riutilizzo delle strutture esistenti lavorando con ciò che c’è, per generare nuova vita attraverso funzioni che si possono insediare anche adattandosi alle rigide forme delle caserme. Forse è anche questo il modo per cancellare un passato senza doverlo negare e nascondere. La dimensione stessa dell’areale, se rapportata al centro abitato, risulta in evidente contrapposizione e costituisce una particolare eccezione. Una sorta di città nella città, o meglio un paese nel paese. Ma questa seconda realtà fisica, che è stata per decenni ovviamente impenetrabile per motivi militari, ora si apre alla popolazione e si offre ai più diversi usi. Una fertile porosità che apre nuovi orizzonti creativi, che speriamo riesca a superare i tentativi di cambiare forma a tale luogo demolendone le fondamenta.

Infine, lavorando ancora sulla memoria di un periodo storico drammatico, la rigenerazione della Südtiroler Sidlungen, nella zona Pradler Saggen di Innsbruck, diventa occasione per ripercorrere una storia particolare che riguarda i nostri territori di confine. La storia di molte famiglie che si sono trovate di fronte all’obbligo di scegliere se rimanere nel Sudtirolo, diventato ormai un altro paese, o partire per raggiungere una “Neue Heimat”, una nuova patria in territorio austriaco o germanico. Per questa popolazione di “nuovi migranti” sono stati costruiti interi quartieri definendo ambiti urbani dove la forma fisica dei luoghi si regge in un labile equilibrio tra integrazione e ghettizzazione.
Riprogettare questi quartieri, sostituendo alcune strutture e densificando il tessuto urbano con l’introduzione di alcune torri permette di lavorare sulla vivibilità delle residenze e dello spazio che si frappone tra esse, con l’obiettivo di migliorare la condizione di chi quei luoghi li abita.

Questi quattro esempi ci mostrano che ripensare la struttura fisica dello spazio urbano assume una valenza particolare in un territorio dove il significato dei luoghi è strettamente legato alla memoria collettiva, alle vicende storiche e politiche, dove la dimensione dello spazio si può dilatare, i confini si possono spostare, le persone possono migrare, ma è proprio la forma fisica dell’architettura una delle poche cose ferme e certe anche se può continuare a generare una nuova visione.

Alberto Winterle

 

L’indice del numero 129 di Turris Babel 

pag. 24
Editoriale Editorial
Alberto Winterle

pag. 31
Giano Bifronte: Bressanone e la sua doppia identità
Parco sportivo e ricreativo Bressanone Millan
Der Doppelgesichtige Janus:
Brixens zwei Identitäten
Wettbewerb Sport- und Freizeitpark
Brixen Milland
Matteo Scagnol

pag. 57
Konzepte für die zukünftige Nutzung der Rastwiesen in St. Michael Eppan
Concetti per il futuro utilizzo dei Prati del Riposo a San Michele Appiano
Susanne Waiz

pag. 60
Pionierfelder
Aree Pionieristiche
Michael Obrist, Peter Zoderer
Feld72

pag. 81
BASIS Vinschgau Venosta
Un esempio virtuoso di recupero del patrimonio storico esistente
Ein vorbildliches Beispiel der Wiedergewinnung von historischer Bausubstanz
Simona Galateo

pag. 99
Südtiroler Siedlungen in Tirol – neu interpretiert
Reinterpretazione delle Südtiroler Siedlungen in Tirolo
Silvia Boday

 

TURRIS BABEL è la rivista di architettura della Fondazione Architettura Alto Adige, frutto della collaborazione appassionata e volontaria di giovani architetti. La Redazione si è posta come obiettivo, quello di risvegliare l’interesse per l’architettura non solo tra gli esperti in materia, ma anche tra la popolazione, di rilanciare su tutto il territorio ed a livello nazionale, il dibattito sull’architettura in Alto Adige, di promuovere la divulgazione di una buona progettazione, cosciente delle implicazioni socio-economiche ed ambientali che essa comporta.

 

 

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