Sarà un bel souvenir? I ricordi di viaggio dei turisti in visita in Alto Adige

Il termine “souvenir” deriva dal latino “subvenire” che significa accorrere in aiuto, venire alla memoria e porta con sé un fascino eterno, poiché incarna il desiderio di conservare i ricordi di un viaggio in un oggetto tangibile. Questa pratica, antica quanto i pellegrinaggi e le esplorazioni, ha subito una trasformazione nel corso del tempo, diventando una tradizione sempre più commerciale ma pur sempre radicata nella volontà di immortalare l’esperienza di viaggio.
L’esplosione del turismo di massa nell’Ottocento ha segnato l’inizio della produzione in serie di souvenir. Durante l’Expo di Parigi del 1889, fecero la loro comparsa le prime “palle di vetro” con paesaggi e le cartoline illustrate, divenendo ricordi economici, facili da trasportare e collezionare.
“Il mercato attuale è orientato verso una richiesta di souvenir “iperoggetti” concentrati di significato in pochi centimetri quadrati. Devono essere piccoli e low cost, al servizio di un turismo frettoloso che non può permettersi grandi ingombri in valigia durante il viaggio di ritorno a casa” – spiega Antonella, commerciante meranese ed esperta del settore. È essenziale dunque, che i gadget siano ricchi di simboli e significati riconoscibili da tutti, i quali riflettono le esperienze vissute in vacanza. “Questi piccoli oggetti, personalizzati e funzionali, diventano un modo per esprimere affetto e gratitudine verso coloro che hanno contribuito al nostro benessere durante il viaggio, ad esempio la vicina che ha innaffiato le nostre piante o l’amica che ha dato da mangiare al gatto. L’altra finalità dei souvenir è il collezionismo, un’attitudine che riflette il desiderio di conservare e condividere esperienze uniche, come nel caso dei magneti dettagliati. Oggi questo è diventato quasi una forma maniacale di ricerca del particolare più originale in assoluto”. Questa tendenza ha portato a una sfida per i venditori, che devono bilanciare l’offerta di oggetti economici con la volontà di preservare l’autenticità culturale locale. Il souvenir infatti, continua a svolgere un ruolo cruciale nel custodire e promuovere l’identità culturale di un luogo. A dimostrarlo sono tutti quei prodotti artigianali realizzati con tecniche tradizionali tramandate di generazione in generazione, i quali sempre più negli ultimi anni sono richiesti dai turisti. “Oggetti utili da utilizzare nella vita quotidiana, come ad esempio taglieri in legno, ventagli, piatti, cavatappi, calici di birra: sono questi i prodotti artigianali più richiesti dai turisti italiani nel mio negozio a Merano” – racconta un commerciante della città sul Passirio. Il souvenir quindi non ha solo la funzione del decoro e della collezione, ma anche dell’utilità, la quale è sempre abbinata al ricordo. Ogni volta che la persona a cui abbiamo regalato il souvenir lo prenderà in mano, non solo le sarà pratico, ma si ricorderà anche di noi. Un doppio gioco che da una parte accontenta il mercato turistico e dall’altra contribuisce all’economia locale preservando le abilità artigianali che rischiano di andare perdute nell’era della produzione su larga scala. In Alto Adige il mercato italiano si differenzia in modo sostanziale rispetto a quello tedesco ci spiega Antonella. “Il turista italiano è molto sentimentale, ama la condivisione e mostra un grande desiderio di voler portare a casa un regalo. Di conseguenza si sbizzarrisce con una moltitudine di prodotti, soprattutto quelli personalizzati, come ad esempio le tazze con i nomi, le saponette con la scritta “Merano”, oppure il misuratore di spaghetti in legno artigianale. I tedeschi invece, inseguono meno questa idea e preferiscono delle semplici cartoline, alle quali però prestano una lunga attenzione per scegliere quella più adatta a loro”.
Anche se nel contesto altoatesino le preferenze sui souvenir sono diversificate, ciò che accomuna tutti è il desiderio di non voler dimenticare quel viaggio. È evidente che il loro valore, anche se cambia nel corso del tempo, rimane intatto per coloro che apprezzano la connessione emotiva e l’identità culturale che questi piccoli oggetti portano con sé.

Chiara Caobelli

 

 

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