Museion e l'arte che vuole cambiare il mondo: intervista ad Andreas Hapkemeyer

E’ una vita dedicata all’arte e alla letteratura quella di Andreas Hapkemeyer. Nato a Osnabrück e cresciuto a Bolzano, per oltre trent’anni è stato una presenza costante e uno dei pilastri di Museion fin dagli inizi: prima accanto a Piero Siena, poi come direttore e quindi come responsabile della ricerca e dell’insegnamento. Da quest’autunno Hapkemeyer è in pensione -ma continua l’insegnamento all’Università (non voglio perdere lo slancio! ci dice subito). Una buona occasione per una chiacchierata su Museion, i musei e l’arte in generale. E naturalmente sui cambiamenti, che lui sembra accogliere con un sorriso di saggio disincanto, che però non scalfisce le sue passioni.

Partiamo dagli inizi, di quando la sede del museo era nel vecchio ospedale. Personalmente lo ricordo come un posto un po’ speciale, dove succedevano cose diverse rispetto agli altri luoghi della cultura di Bolzano…

Sono arrivato nell’autunno del 1988, si lavorava con il fax e le macchine da scrivere ed eravamo in pochissimi… forse anche un po’ dilettanti per certi versi. All’inizio non avevamo nemmeno una collezione, solo singole opere donate. In fondo, in quegli anni e fino al 2006 somigliavamo più ad un Kunstverein, un’istituzione piccola, che costava anche relativamente poco e, di conseguenza, era anche poco “sotto osservazione”. Con l’inaugurazione della nuova sede in via Dante la cosa è cambiata.

Negli anni Museion è cresciuto

Si, il museo vive e continua a svilupparsi, e cambia come cambiano i tempi, il concetto di arte, e naturalmente il mercato. Mi ricordo che quando Siena (primo direttore di Museion, ndr) ha cominciato a sentire che i prezzi per assicurare o acquistare un’opera stavano arrivando oltre i 300, 500 milioni… per lui era un imbroglio, un’esagerazione.

Rimanendo sui numeri: “quanti visitatori avete?” è un tema ricorrente nel valutare i musei, in particolare quelli di arte contemporanea…

Si perché oggi è un’unità di misura e alla fine il politico si chiede “quanto cosa a testa questa struttura?” In questo senso, per Museion essere diventati “visibili” non è stato solo un vantaggio. Ma nessun museo di arte contemporanea ha fiumi di visitatori, vale anche, ad esempio, per la musica contemporanea. E’ giusto che si faccia di tutto per attirare il pubblico di ogni età, ma è un continuo lavoro, lavoro, lavoro e non si otterranno mai grandi numeri. Al Museion nel corso degli anni è stato sviluppato un reparto di mediazione e didattica eccellente, ma non possono fare i miracoli.

Comunque sotto la tua direzione sono stati fatti diversi progetti di arte nello spazio pubblico e partecipativa.

Si, facendo ordine tra le mie carte ho ripercorso tante iniziative a cui abbiamo lavorato, ad esempio le bandiere di Matt Mullican tra le vie di Bolzano, gli enormi manifesti della mostra Flirts su arte e pubblicità e quelli di Hamish Fulton, l’iniziativa di Jochen Gertz in collaborazione con i giornali, o ancora “Guida” in cui abbiamo portato l’arte in diversi luoghi in Alto Adige con un nostro pulmino. Abbiamo fatto tante cose, ma alla fine scopri che non hai cambiato il mondo. Sul momento la gente loda questa o quell’iniziativa bellissima, poi si dimentica. Da questo mi deriva un certo scetticismo nei confronti anche dei più  giovani che arrivano e vogliono cambiare tutto. Ci riusciranno? Sarebbe bello, naturalmente.

A proposito dei cambiamenti, cosa ne pensi della direzione presa da Museion attualmente?

Con Bart van der Heide si è aperto un nuovo capitolo in cui il museo ha un ruolo importante nell’impegno sociale, nel cambiare la società.

E in particolare ti piace la musica techno?

Non mi appartiene, anche per motivi biografici. Certo è stato interessante nel progetto a Museion confrontarsi con il concetto di evasione a tempo determinato, per un giorno o due lasci il tuo mondo, ti immergi in quello della techno e poi torni al tuo lavoro. Fa pensare ad Adorno o Horkheimer, Kulturindustrie. La prima mostra Techno per me era vuota, c’era l’opera di Benassi che a mio avviso era forte e le altre per me erano assenze -e nemmeno assenze come quelle di Ceal Floyer (artista britannica, ndr) che lavora sistematicamente con il concetto l’assenza. Eppure..

C’è un “ma”?

Si devo dire che sono stato avvicinato da due miei studenti dell’Università e mi hanno detto di essere molto sorpresi positivamente, che Museion stava facendo cose molto belle, inaspettate. Un’altra mia studentessa fa la deejay ed era entusiasta. Insomma, se si riesce ad attivare i giovani che colgono l’occasione per visitare il museo, allora va bene così.

In molte mostre e rassegne internazionali emerge quanto siano importanti gli aspetti riguardanti l’impegno politico e sociale dell’opera d’arte e delle mostre, vedi l’ultima documenta. Non c’è il rischio che tutto ciò vada a discapito degli aspetti “formali”?  

Anche l’arte concettuale degli anni ’60 voleva trasmettere un ‘idea e quindi la realizzazione materiale passava in secondo piano. Però a mio avviso l’opera d’arte rimaneva comunque al centro. Forse mi sbaglio o non ho capito, ma attualmente mi sembra che l’opera sia diventata un punto di partenza -un mezzo- per fare dei discorsi filosofici e socio politici. Io appartengo a una generazione che vede mette l’opera al cento dell’attenzione.

Cosa significa in concreto?

Quando faccio una guida e analizzo un’opera d’arte, di solito dico al pubblico di avvicinarsi, per seguire quello che sto dicendo e soprattutto verificarlo, per decidere liberamente se il mio discorso è convincente o meno. E’ un atteggiamento che commuoveva le mie colleghe più giovani a Museion – gli pare un po’ antiquato, un po’ come il nonno che parla del passato.

Perché, come si parla oggi al pubblico durante una guida?

Si tende a parlare della biografia dell’artista, nel caso specifico (mostra di Erika Giovanna Klien, ndr) della difficoltà ad affermarsi come artista donna.

Tornando a Museion e al suo ruolo rispetto al contesto: un tema caldo è quello degli artisti locali, dell’importanza di sostenerli. Ha senso parlare oggi di una distinzione tra arte locale e internazionale?

Forse c’è una visione un po’ distorta, ma ho visto che un po’ dappertututto gli artisti locali pensano di non essere abbastanza supportati. E forse la questione è più complicata a Bolzano, perché qui ci si comporta un po’ come la Svizzera “facciamo vedere i nostri artisti!”. Ma la nostra provincia ha circa 500 mila abitanti ed è come un quartiere di Milano – e nessuno vuole vedere gli artisti di un quartiere di Milano. E’ vero, abbiamo tanti artisti di alto livello, magari su 300 ne abbiamo 50 bravissimi/e e i restanti 250 … rimangono offesi, scontenti.

Riguardo ai tempi del “vecchio” Museion nella sede dell’ex Ospedale, c’è qualche episodio curioso che ricordi?

Si, quando vidi uscire dal museo l’artista Sarenco con sotto braccio un’opera esposta presa dalla mostra… voleva provocare e creare uno scandalo. Io ero il più giovane e toccò a me andar da lui e dirgli fammi la cortesia, restituisci l’opera …

Qualche mostra a cui sei più affezionato?

Le mostre di Laurence Weiner, Maurizio Nannucci e Heinz Gappmayr sono state importanti come punto di partenza per il filone espositivo sul rapporto tra arte e letteratura. Inoltre, la mostra di Hamish Fulton sul concetto del camminare era molto bella, con grandi murales in ogni sala del vecchio Museion e nel corridoio.

Un pensiero sul tuo percorso…

Non ho mai tentato di essere curatore o professore o germanista o storico dell’arte. Tutto sommato ho sempre tentato di essere me stesso e fare a meno di definizioni. Nella mia visione, dire di una persona che è curatore, curatrice o artista è riduttivo, preferisco dire che non sono professore, ma insegno, non sono curatore, ma ho curato una mostra… un po’ come quando ti dicono che hai la tosse: no, solo tossisco!

 

Andreas Hapkemeyer (1955, Osnabrück) è curatore, autore e docente universitario a Bressanone e Innsbruck. Dal 2000 al 2007 è stato direttore di Museion, museo d’arte moderna e contemporanea di Bolzano. Tra il 2006-2008 è stato coordinatore di Manifesta 7, European Biennial of Contemporary Art. Dal 2009 al 2022 è stato responsabile della ricerca e insegnamento a Museion. Ha sempre messo al centro delle sue ricerche il rapporto tra arte e letteratura curando numerose pubblicazioni e mostre sulla poesia visiva e visuale. Un filone che ha sviluppato con costanza anche a Museion e con cui ha allargato il respiro dell’istituzione a una prospettiva internazionale, contribuendo ad attirare importanti donazioni alla collezione del museo, come l’Archivio di Nuova Scrittura di Paolo Della Grazia.

 

Caterina Longo

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