Il 29% dei lavoratori in cassa integrazione durante il lockdown. Ma ora la fiducia torna a crescere

La fiducia e le aspettative dei lavoratori dipendenti altoatesini relativamente all’andamento economico nei prossimi 12 mesi migliorano lievemente rispetto a quanto osservato nell’edizione primaverile del Barometro IPL. Allo stesso tempo ci si attende un notevole peggioramento della situazione generale del mercato del lavoro, sia per quanto riguarda il numero delle persone in cerca di occupazione che per le prospettive di trovare un posto di lavoro equivalente. Ciò nonostante solo pochi lavoratori dipendenti in Alto Adige percepiscono un concreto rischio di poter perdere il proprio posto di lavoro. La sorpresa: i giudizi dei lavoratori dipendenti relativamente alla capacità di arrivare a fine mese con il proprio stipendio nel periodo covid-19 sono migliori rispetto al periodo pre-covid. “L’unica spiegazione può essere il differente stile dei consumi”, dice il Direttore IPL Stefan Perini, “visto che non può certo essere riconducibile ad un aumento degli stipendi o degli introiti.”

I dati secondari attualmente disponibili per l’Alto Adige riflettono la crisi soltanto in modo molto parziale. “I punti dolenti sono la significatività, la completezza e la tempestività del dato”, rimarca Perini. “Un monitor della crisi, sviluppato all’interno del sistema statistico provinciale, dovrebbe vedere la luce in autunno”. Già ora si sta comunque configurando quali siano le categorie più colpite dalla crisi: l’intera platea dei cosiddetti “precari”, ossia lavoratori stagionali, tempi determinati, lavoratori interinali e a domicilio, percettori di bassi redditi, part time involontari, donne. “Il rischio concreto è che il coronavirus contribuisca alla disaggregazione sociale”, avverte il Direttore IPL.

Nella parte speciale l’IPL ha voluto sapere se e come il lockdown abbia cambiato il lavoro quotidiano dei lavoratori e delle lavoratrici dipendenti in Alto Adige. A detta del 96% degli intervistati è cambiato qualcosa, a detta del 4% nulla. Il 43% si è ritrovato a smaltire ferie residue o prendere le ferie dell’anno in corso, il 25% ha dovuto recuperare straordinari, il 29% è stato posto in cassa integrazione (con punte nel commercio e nel manifatturiero). Unendo queste tre categorie si può affermare che per il 58% il Covid-19 ha significato ‘interruzione lavorativa’. Passando all’altro estremo, per il 32% il Covid-19 ha significato ‘più lavoro rispetto a prima della crisi’. Per il 39% il lockdown ha significato ‘cambiare modello di lavoro’: 4 lavoratori dipendenti su 10 hanno potuto continuare in modalità homeoffice (con punte nel settore pubblico, nel manifatturiero e nei servizi privati). “Il fatto che la crisi da Covid-19 si sia manifestata in modo molto disomogeneo rende necessaria una visione differenziata per settore e misure più mirate rispetto a quelle oggi in vigore”, conclude Perini.

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