La luce oltre la siepe. La "consegna dei diplomi" nel carcere di Bolzano

Cori da stadio, sfottò tra i compagni, ovazioni per le ragazze e paternali dei professori e della preside. E’ la mattina del 15 giugno e sembra l’ultimo giorno di scuola in occasione della consegna dei diplomi, non fosse che la “cerimonia” non si sta tenendo nel cortile di un istituto scolastico, ma in quello di un carcere.
Si stanno consegnando ai detenuti gli attestati relativi ai corsi di alfabetizzazione in lingua e di cucina nonché quelli relativi ai progetti “Formarsi per ripartire” e “Art of Freedom” (qui i dettagli).
L’improvvisato palco di premiazione è collocato davanti al disegno della porta di un improbabile campo di calcio, un “terreno di gioco” che, però, non è delimitato da righe di gesso o di vernice, ma da muri, filo spinato e torrette di guardia. Erjon Zeqo, project manager di unibz, nonché voce e chitarra di “Zio Cantante”, svolge il ruolo di cerimoniere davanti a un pubblico eterogeneo come pochi altri: assessori, autorità, giornalisti, mediatori, guardie carcerarie e, soprattutto, detenuti.
Terminata la sfilata dei “diplomati”, prendono il via i saggi di fine corso, anche questi simili a quelli di fine anno scolastico. C’è chi si è scordato la parte, chi mostra un insospettabile talento, chi si vergogna e chi esagera, ma va benissimo così, perché si finisce per ridere tutti insieme e tanto basta a decretare il successo dell’evento.
A grande richiesta, un detenuto viene invitato sul palco per esibirsi in un rap “free style”. Il brano viene accompagnato dal battito di mani di tutto il pubblico e qualcuno chiede il bis. Il “rapper” lo concede, ma ci tiene ad avvisare che il testo contiene alcune parolacce, per questo chiede anticipatamente scusa.
Poco dopo, tocca a un gruppo che sale sul palco accompagnato da Valeria Raimondi di Babilonia Teatri. Ogni recluso descrive le proprie paure e le proprie piccole soddisfazioni quotidiane.
Dopo la rappresentazione, Valeria Raimondi ci racconta che il lavoro svolto in carcere insieme a Enrico Castellani per il Teatro Stabile di Bolzano l’ha particolarmente soddisfatta: “Quest’anno abbiamo incrociato ragazzi entusiasti del lavoro. Dopo la pandemia, ci immaginavamo una situazione peggiore, siamo rimasti piacevolmente stupiti. Non sono mancate le abituali difficoltà nel creare un gruppo e dare continuità al lavoro, ma siamo riusciti a superarle”.
Molto intelligentemente, il duo di Babilonia Teatri non ha provato ad adattare i frequentatori del corso a un testo o a un progetto prestabilito, ma è partito dalle parole e dai pensieri dei detenuti stessi. “Non si può lavorare diversamente – precisa Valeria Raimondi – queste persone non si trovano in carcere per fare teatro, hanno altri interessi e priorità, per questo abbiamo cercato il modo migliore per passare un po’ di tempo insieme e per invitarli alla partecipazione. Sapevamo che andando alla ricerca delle loro contraddizioni, avremmo scoperto le nostre, che svelando le loro paure avremmo svelato quelle di tutti. C’è molto più ascolto che insegnamento”.
I racconti presentati sul palco sono figli legittimi di tutto questo e, per esempio, hanno permesso di comprendere come le paure di chi vive in cella siano molto più concrete di chi, all’esterno, ha paura di loro. “Per questo – conclude – è un peccato non aver potuto presentare il lavoro all’esterno, perché sono parole che devono incontrare orecchie diverse. Da parte nostra, siamo rimasti particolarmente colpiti dal testo di uno dei detenuti, uno di quelli all’apparenza più “difficili”, che ci ha raccontato come sia riuscito a far nascere una pianta di basilico in carcere curando la crescita di un piccolo semino e di come abbia ripreso gli insegnamenti di sua madre  per far germogliare aglio e cipolle. Sono storie che avrebbero bisogno di essere ascoltate anche fuori dal carcere, speriamo di riuscirci prima o poi”.

Avvicinandosi al finale, alle storie raccolte dal laboratorio di Babilonia Teatri segue una originale interpretazione de “L’Italiano” di Toto Cutugno. Dato il contesto, quando parte l’ormai notissimo “Buongiorno Italia, buongiorno Maria”, tutti pensano alla Maria sbagliata, ma il coro su “Lasciatemi cantare, con la chitarra in mano…” finisce comunque per coinvolgere tutti.
Terminata la cerimonia, le autorità e i giornalisti attendono che i detenuti rientrino nelle celle del carcere più fatiscente d’Italia prima di poter usufruire di un gradito buffet. C’è così il tempo di notare un pallone giallo e blu incastrato tra le punte del filo spinato che delimita il cortile. Visto che non procura fastidi, lo hanno lasciato lì, sgonfio, a osservare il cielo.

Massimiliano Boschi

Le fotografie sono di Rosario Multari

 

Ti potrebbe interessare