Groenlandia: meglio la libertà o i soldi di Trump? Intervista a Robert Peroni

Orizzonti. Da qualche settimana, la Groenlandia si ritrova nell’occhio del ciclone mediatico senza aver fatto nulla per finirci. Il merito, si fa per dire, è del presidente statunitense Donald Trump che ha pubblicamente dichiarato di considerare l’occupazione della Groenlandia “un’assoluta necessità per la sicurezza degli Stati Uniti”. Per comprendere come stessero reagendo gli abitanti dell’isola artica alle “attenzioni” del presidente statunitense, abbiamo inviato una mail a Robert Peroni, sudtirolese di Collalbo che da oltre quarant’anni vive in Groenlandia. L’ultimo contatto risaliva agli anni della pandemia, quando ci eravamo collegati con Peroni isolato nella sua “Red House” a Taasiilaq in uno dei  peggiori momenti della sua permanenza in Groenlandia.
La risposta è arrivata in tempi rapidissimi Peroni, non solo non era alle prese con l’inverno artico, ma si trovava in Alto Adige e proponeva un incontro in un bar di piazza Walther a Bolzano. Come rinunciarci?


Robert Peroni © Ulrike Fischer

Peroni, che nel 2024 ha compiuto 80 anni, si è scusato per non essere in ottima forma, reduce da un problema che l’ha colpito in Islanda, ma lo sguardo è quello attento e vivace di sempre. Riguardo agli obiettivi di Trump, Peroni ha idee piuttosto chiare, mentre valutare la risposta della popolazione della Groenlandia è decisamente più complicato: “Credo occorra tenere presente due aspetti fondamentali – premette – . I cittadini della Groenlandia sono molto attenti alla loro libertà e indipendenza, ma hanno sempre considerato gli statunitensi come dei buoni amici. Molti subiscono il fascino esercitato dalle possibilità economiche di Trump. Il figlio del presidente degli Stati Uniti è atterrato in Groenlandia sull’aereo privato del padre. un Boeing 757, e c’è chi non è restato indifferente all’esibizione di ricchezza”. Per comprendere meglio il contesto, va precisato che la Groenlandia fa parte del Regno di Danimarca e che ha una popolazione di 56.000 abitanti su un territorio di oltre due milioni di chilometri quadrati (densità di popolazione 0,03 per Kmq, la più bassa al mondo).
La Danimarca fornisce all’isola un sussidio annuale di quasi 4 miliardi di corone, oltre mezzo miliardo di euro, una cifra che copre metà del bilancio pubblico del paese. “Sono molti soldi per meno di sessantamila abitanti – precisa Peroni – ma la Danimarca ha molto da farsi perdonare. Le passate politiche discriminatorie nei confronti della popolazione della Groenlandia, non sono ancora state dimenticate, soprattutto l’invio dei bambini in Danimarca per civilizzarli”.
Il premier Múte Bourup Egede, leader del partito di sinistra e indipendentista Inuit Ataqatigiit (Comunità Inuit), ha precisato che la Groenlandia non è in vendita, ma, a quanto pare, la questione è più complessa. “Il sentimento dei groenlandesi nei confronti della Danimarca è articolato. E’ vero, non si sono dimenticate le politiche coloniali passate, ma altri paesi si sarebbero comportati meglio? Le attenzioni di Trump non promettono bene, ma in Groenlandia il sentimento filo-americano è molto forte e risale agli anni della seconda guerra mondiale e alla guerra contro i nazisti”.
Una memoria ancora bene presente, sul tetto del museo Narsaq, per esempio, è ancora ben visibile la scritta A-34 che risale alla seconda guerra mondiale. Un codice che copriva altri tetti delle case della Groenlandia, allo scopo di fornire punti di riferimento all’aviazione statunitense, anche per indicare il punto in cui paracadutare i beni di prima necessità per la popolazione.


“Non si può dimenticare che sull’isola erano presenti tre basi militari statunitensi – prosegue Peroni – ora ne resta una sola, ma quando i militari abbandonarono altre  basi, lasciarono molto materiale in dono alla popolazione locale. C’è ancora molta riconoscenza, ma è chiaro che gli Stati Uniti sono interessati alla Groenlandia sopratutto per questioni strategiche e per i giacimenti di terre rare e uranio, ma rispetto a questo, la popolazione locale si mostrerebbe contraria a nuove estrazioni”.
Appare evidente che convivono sentimenti contrastanti, che, al momento, non permettono previsioni certe. “C’è chi ammira Trump considerandolo un uomo del fare – conclude Peroni – un politico che non si perde in chiacchiere, ma c’è anche chi ricorda bene come gli Stati Uniti abbiano trattato l’Alaska, considerata poco più di un giacimento minerario, tanto che gli Inuit della Groenlandia si sono uniti a quelli dell’Alaska per protestare contro le politiche statunitensi. Ma gli Inuit sono una minoranza piccolissima ed emarginata che ragiona con schemi molto diversi dai nostri. E’ difficile prevedere come andrà a finire”.

Massimiliano Boschi

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