Giochi, balli, aperitivi: Verboten! Questo non è un paese per giovani

Nei mesi scorsi, ha avuto larga diffusione una fotografia che mostrava un gruppo di ragazzini seduti sui divani del Rijksmuseum di Amsterdam. Lo “scandalo” era suscitato dal fatto che erano tutti intenti a guardare il proprio smartphone mentre nessuno degnava di uno sguardo “La Ronda di notte” di Rembrandt. Inevitabilmente, è partita l’ennesima ondata di indignazione di chi, non sapendo più combattere l’ignoranza, si è scagliato contro i (presunti) ignoranti. Qualche giornalista, però, ha provato ad approfondire la questione scoprendo che molto probabilmente i ragazzi stavano utilizzando la “app” fornita come guida dal Rijksmuseum.

Non si può negare, però, che la foto fosse quanto meno verosimile. I più giovani passano ore attaccati allo smartphone, soprattutto quando sono in compagnia dei genitori, ma la questione andrebbe approfondita. Per questo, decido di fare un giro sulle 10 di mattina, quando quasi tutti i ragazzi nella fascia 6-18 anni sono a scuola. Parto da piazza Municipio e nemmeno a farlo apposta, un quarantenne con occhiali da sole rischia di venirmi addosso perché sta guardando il cellulare. Giro verso Vicolo Gumer e sulla panchina di fronte al Comune un uomo osserva il cellulare, una donna mi passa a fianco mentre telefona e poco più avanti, un dipendente comunale in pausa digita qualcosa sul suo smartphone. Attraverso piazza Walther, la maggior parte dei presenti chiacchiera, solo in tre lo fanno al telefono, mentre un terzo delle persone sedute al bar di una nota azienda di wafer si intrattiene con il proprio smartphone. Arrivo alla fermata di Piazza Verdi, una ragazza in attesa del bus si intrattiene guardando i messaggi whatsapp . Salgo sul bus, siamo in quattro, due guardano qualcosa sullo smartphone, io lo uso per scrivere queste righe, una sola signora guarda fuori dal finestrino. Scendo, sbrigo qualche commissione e prendo il bus per il ritorno, un passeggero sta guardando i goal delle partite della sera prima a tutto volume, gli chiedo di abbassare, ma non mi sente neanche. A quel punto infilo gli auricolari nello smartphone e sparo il volume della musica fino a coprire le urla dei telecronisti.

Sociologia spicciola

Scendo, continuo ad osservare chi mi sta intorno e mi accorgo di avere materiale sufficiente per provare a fare della classicissima sociologia spicciola. L’unica, apparente, differenza che ho notato tra gli adulti rispetto ai giovani rispetto all’utilizzo degli smartphone è che i secondi lo utilizzano più facilmente anche quando sono in compagnia. Più complicato il ragionamento sulle coppie, i numeri sembrano equivalersi, ma gli adulti senza smartphone si parlano, i giovani si baciano o abbracciano. A Bolzano molto meno che in altre città italiane, ma, comunque, dieci a zero per loro. Nulla, però, sembra giustificare l’atteggiamento di disprezzo che il mondo degli adulti mostra nei confronti dei giovani al cellulare. Non è una novità, tutti consideriamo normali le nostre abitudini e patologiche quelle degli altri. Ci identifichiamo in gruppi quasi esclusivamente per quello.

“Noi” usiamo il telefono per lavoro, gli “altri” hanno una dipendenza.  Così tocca anche trovare un nome a questa patologia. L’hanno chiamata “nomofobia” e descrive “la paura di rimanere sconnessi dal contatto di rete di telefonia mobile.” Nell’apposita pagina sulle dipendenze tecnologiche si legge che “la sola idea di essere senza smartphone genera malessere, irrequietezza ed aggressività”. Ecco qui, dal patologico siamo passati al criminogeno. Naturalmente, in pochi si chiedono come sarebbe insorta questa presunta patologia. E’ vero, gli adolescenti utilizzano lo smartphone più frequentemente e assiduamente degli adulti, ma chi la ha abituati a essere perennemente intrattenuti? Quanti genitori, pur di pranzare o cenare tranquilli, mollano uno smartphone ai bambini? Qualcuno ha mai provato a contare i bambini in passeggino che si intrattengono con tablet o smartphone?

Non solo, quali altre attività, oltre ovviamente allo studio, potrebbero praticare spontaneamente durante l’infanzia senza incastrarsi in corsi con orari su misura per i genitori? Nel dopoguerra si costruivano condomini con cortili, spesso, condivisi in cui i bambini potevano giocare. Il gioco lo sceglievano loro, non gli adulti, perché se scelgono questi ultimi non si gioca mai, non va mai bene. Ora, infatti, i cortili sono occupati dalle auto e i giardini pubblici sono pieni di cartelli di divieto. Ne avevamo scritto qui, ma chi non volesse rileggere l’articolo può accontentarsi di sfogliare la fotogallery (si può fare anche da telefono).

A titolo esemplificativo ricordiamo anche l’articolo di un quotidiano locale in cui si potevano leggere parole che rendono benissimo il livello raggiunto “I bambini delle vicine scuole elementari occupano il parco in fondo a via Ugo Foscolo a Merano, vociando e impedendo così ai residenti di pranzare o di guardare il telegiornale in tranquillità». Si invoca pubblicamente il silenzio dei bambini per potere guardare in pace un telegiornale all’ora di pranzo. Senza nessun imbarazzo.

I delinquenti

E’ vero, i giornali degli ultimi mesi non riportano i problemi sollevati dal vociare dei bambini, ma evidenziano risse e atti di vandalismo compiuti soprattutto da giovani. Anche in questo caso è meglio procedere con attenzione, poi ci si ritornerà. Nell’ultimo anno e mezzo, tra lockdown e restrizioni dovute alla pandemia, la socialità, quella reale, non digitale, è risultata fortemente penalizzata. Proprio quella che i giovani non apprezzerebbero perché troppo impegnati a “guardare il cellulare”. Bene, all’uscita dal lockdown, sono stati riaperti i parchi gioco dei bambini ma non gli skatepark. Alcuni giovani hanno quindi deciso di utilizzarlo comunque, ma purtroppo è intervenuta la polizia municipale e sono fioccate le multe.

Questo accadeva a febbraio, due mesi dopo, quando lo skatepark era finalmente fruibile, sono spariti i vigili e sono arrivati i carabinieri. Insieme ai cani anti droga. Così, dopo mesi in cui i giovani erano stati considerati degli irresponsabili untori (qualcuno li aveva definiti addirittura degli assassini) perché osavano farsi un aperitivo in centro, i giovani hanno provato a tornare alla normalità con risultati decisamente deludenti. Con le discoteche chiuse, hanno provato a ballare in centro, ma lì disturbavano i residenti e non è proprio il caso. Hanno, quindi, provato con i parchi pubblici. Il risultato è stato questo:“Il problema della musica a tutto volume e dei festini alcolici a Bolzano non riguarda solo piazza Erbe. Al parco Mignone i residenti sono esasperati dai bivacchi notturni di un gruppo di giovani sbandati e ora si pensa alla chiusura dei cancelli nelle ore serali”. Poco male, l’Alto Adige è pieno di boschi. Si potrà ballare almeno lì? Assolutamente no, trattasi di “Rave party illegale”, sono intervenuti i carabinieri, fine della festa.

Non resterebbe che sperare nella riapertura completa delle discoteche, ma i segnali non sono molto incoraggianti. Come apprendiamo da Video33:  “I Carabinieri hanno disposto la chiusura, per 5 giorni, di una discoteca di Lana dopo che da controlli sono emerse violazioni delle norme anti-Covid. In particolare all’arrivo dei militi era in corso una festa con moltissime persone prive di mascherina e del tutto inottemperanti all’obbligo di distanziamento interpersonale. Il titolare del locale è stato sanzionato”.

A questo punto, chiudersi in camera con il proprio cellulare sembra quasi una scelta obbligata. Non fosse che su questo incombe l’incubo degli Hikikomori. L’allarme risale a prima della pandemia, come scriveva l’Agi a febbraio 2019: “In Italia sono sempre di più gli hikikomori: i giovani che smettono di andare a scuola, non escono di casa (e a volte nemmeno dalla propria stanza) e rifiutano il contatto con amici, insegnati e parenti. In altre parole, si isolano, come suggerisce il termine giapponese che significa “stare in disparte”. Quanti sono? È ancora presto per avere un quadro completo, alcune stime (non ufficiali) riportano almeno 100.000 casi”. L’articolo contiene tre “tag”, tre “parole chiave”: Hikikomori, giovani, disagio, giovanile.  Per il prossimo articolo ne sceglieremo un’altra: #morte della politica.

(segue…) 

Massimiliano Boschi

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