Gli «ultimi» al tempo del Coronavirus. La giornata di uno street worker

Sono le 23.15 di ieri, venerdì 3 aprile, quando leggo il lancio stampa relativo alle dichiarazioni dell’assessore provinciale alla Protezione Civiel Arnold Schuler sulla questione della “gestione dei senza fissa dimora e dei profughi”.

L’assessore ha spiegato come in Alto Adige: “120 dei 750 profughi presenti sul territorio siano stati spostati in altre strutture (l’ex caserma di Colle Isarco, nonché negli ostelli di Merano, Bressanone e Bolzano) a causa dei casi di Coronavirus registrati. Mentre per quel che riguarda i senza tetto, 30 troveranno provvisoriamente spazio nell’ex Alimarket in attesa che entro la fine della prossima settimana, sia allestita una speciale struttura nell’areale della Fiera”.

Parole che mi spingono ad approfondire la situazione, vista l’ora mi limito a girare il lancio stampa a Sergio Previte, “streetworker” del “Forum Prevenzione” che mi aveva accompagnato a Parco Stazione in una delle precedenti puntate di Alto Adige Doc. Spero che non mi maledica per l’orario, passano pochi secondi e mi arriva un messaggio di risposta, poi due poi tre, poi quattro. In totale me ne arrivano dieci, tra cui tre link: uno alle pagine dello statunitense National Low Income Housing Coalition (che si occupa di politiche pubbliche di contrasto alla povertà), uno a quelle del Los Angeles Times e uno alla Bbc.

Le altre risposte, in sintesi, spiegano che:

1) I link dimostrano come nel mondo anglosassone si stiano muovendo in maniera molto diversa rispetto all’emergenza

2) Che da ormai tre settimane Comune e Provincia di Bolzano si rimpallano la responsabilità.

3) Che gli spostamenti previsti potrebbero non essere in grado di risolvere il problema degli assembramenti.
Sullo sfondo, una domanda precisa: “Perché non cogliere la palla al balzo e fare ospitalità diffusa e serio housing sociale? In Alto Adige non mancano le risorse o il know how, quel che manca è la volontà politica e la volontà di chi opera nel settore sociale di rimodulare il proprio lavoro”.

Rimando la mia risposta alla mattina successiva, ovvero oggi.  Lo contatto appena sveglio e gli chiedo di spiegarmi più precisamente il suo punto di vista sulla situazione. Mentre racconta, mi accorgo che Previte può uscire e girare per la città per svolgere il suo lavoro. Me lo immagino mentre percorre le strade deserte di Bolzano con la sua aria tenebrosa tra giardini e piazze e una malsana invidia mi spinge a bloccarlo a metà del discorso. “Sergio, scusa, mi racconti una tua giornata tipo?”.

La sua perplessità dura pochi secondi, poi incomincia a raccontare, anche se l’intervista si trasforma in una specie di interrogatorio: “A che ora sei uscito?” “Dove sei andato?” “Chi hai  visto?” La cosa non sembra meravigliarlo, sembra esserci abituato. Meglio non indagare i motivi… Premette, però, che non esce tutti i giorni e che potrebbe raccontarmi come è andata in una delle giornate più proficue, quella di lunedì scorso.
A me pur che mi racconti di vita all’aria aperta, va benissimo tutto.

Sergio Previte

“Mi sono svegliato sulle 7.30, mi sono preparato un caffè e mi sono fumato una sigaretta perché senza non riesco proprio a mettermi in moto. Poi sono uscito in bicicletta per iniziare il solito giro nei luoghi in cui so che trovano rifugio i senza fissa dimora”.

Qui omettiamo le coordinate per evitare che gli appassionati di droni ossessionati dal controllo si facciano venire cattive idee. “Solitamente incrocio pochissima gente, solo qualche anziana che rientra dalla spesa. Quasi sempre indossano la mascherina, io una bandana di quelle che piacciono tanto all’amministrazione provinciale. Lunedì ho iniziato il mio giro da quello che era l’accampamento principale dei senza fissa dimora in città. Era stato sgomberato, ma nei pressi ho incrociato un ragazzo africano con l’aria di quello che si era appena svegliato e ho immaginato che il campo si stesse riformando. In effetti qualche tenda è ricomparsa e un gruppetto di persone provava a scaldarsi, apparentemente senza successo. Tutto sembrava tranquillo, per cui ho proseguito e individuato altre tende piazzate in giro, anche in questo caso nulla da segnalare. Poi, mi sono diretto verso il centro, in particolare verso Parco Stazione. Lì, ormai, sono una faccia conosciuta, per cui mi sono messo a parlare con un capannello di ragazzi africani, gli ho ribadito le solite cose: le precauzioni da usare e che usiamo tutti, solo che per loro sono complicatissime da seguire. Non solo non hanno l’igienizzante per le mani, ma nemmeno hanno un facile accesso ai bagni, l’acqua che possono utilizzare è spesso solo quella delle fontane. Devo dire che incominciano a riconoscermi come una persona di fiducia, per cui le informazioni che fornisco vengono fortunatamente tradotte e girate al loro gruppo di pari. Prima di salutarli, lascio un numero di telefono per informazioni e assistenza e proseguo il giro. Molto altro non posso fare, il gel e le mascherine non ce le ho nemmeno per me. Risalgo in bici e vado a cercarmi i vecchi tossicodipendenti, spesso italiani con cui ho maggiore confidenza. Uno in particolare mi spiega che il vero problema è il reperimento delle sostanze, il mercato è quasi fermo, quel po’ che gira è carissimo e tagliato malissimo. Se potessero farne a meno lo farebbero, ma sono dipendenti, per cui cercano sostanze alternative per riuscire a passare le giornate, il più facile da recuperare è l’alcol. Da quel che so, Binario 7, dove spesso si ritrovano ha, ovviamente, chiuso tutti gli spazi comuni, ma riesce comunque a garantire la distribuzione di materiale sterile. Immagino anche che al Sert si trovino a gestire una situazione complicata ma non ho ancora avuto modo di sentirli. Ai tossicodipendenti che incontro non mi resta che rifilare il solito sermone, questa volta più specifico: Se bevete non scambiatevi la bottiglia, se fumate non passatevi le sigarette qualunque sostanza contengano. State attenti anche all’involucro in cui tenete le sostanze, non portatele alla bocca. Preciso anche che tutto andrebbe disinfettato ma, anche in questo caso, hanno a disposizione solo l’alcol”.

La giornata di tutti i senza fissa dimora è, ovviamente, dedicata innanzitutto alla lotta per la sopravvivenza. I servizi di assistenza, anche alimentare, sono ovviamente molto limitati. Per molti, non restano che gli espedienti, anche illegali, che consentivano di raggranellare qualche soldo. Ma per lo spaccio manca la materia prima, i furtarelli, anche quelli di beni di prima necessità ai supermercati, sono resi quasi impossibili dalla gestione degli ingressi e in giro per la strada si vedono quasi esclusivamente agenti delle forze dell’ordine.

“La tensione – prosegue Previte – è salita notevolmente nelle ultime settimane. Lo stato di necessità li ha spinti a rubarsi le cose tra di loro, l’uso di alcol che riempie lo stomaco e calma le altre dipendenze, peggiora la situazione e gli episodi violenti rischiano di diventare sempre più frequenti. Complessivamente, quel che emerge dai miei giri è una situazione di incertezza e paura amplificata spesso dalla mancanza di informazioni, di conoscenza della lingua e dal venir meno di aiuti e servizi che spesso erano fondamentali. Molti erano abituati, per esempio, a poter ricorrere alle visite in ospedale visti i precari stati di salute, ma sono saltate anche quelle. La paura del virus li spinge a cercare di stare alla larga dai rifugi in cui vengono messi troppo vicini uno all’altro. Per cui dormono all’aperto, al freddo e tutto contribuisce a peggiorare questo circolo vizioso”.

Il quadro è sufficientemente chiaro, ringrazio Previte e lo saluto. L’invidia per i suoi spostamenti in città è svanita, la frustrazione del mio essere rinchiuso in casa molto molto ridotta. Mi alzo e d’istinto metto una mano sul termosifone, è appena tiepido ma molto rassicurante.

    Massimiliano Boschi

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