I giovani, le strade e i marciapiedi. Il punto di vista di Anxhela Kuka “più bolzanina dei bolzanini”.

Anxhela Kuka vede quel che non vogliamo vedere e sente quel che non vogliamo sentire. Sarà per questo che dice tranquillamente quello che pensa, senza fronzoli. E’ nata a Kamëz, città della prefettura di Tirana, ma per le sue amiche e i suoi amici “è più bolzanina dei bolzanini”. “E me lo dice chi è nato qui, non gli albanesi – precisa –  comunque confermo, Bolzano mi piace, farei fatica a cambiare città. Mi piace immergermi nella natura e camminare. E’ un luogo che sento mio”.
E’ già strano così, se poi si aggiunge il lavoro che fa… “Sono un’operatrice sociale dell’unità di contatto, identificazione ed emersione delle vittime di tratta e sfruttamento. Il mio lavoro per una parte consiste in attività in strada per contattare le persone vulnerabili, quelle che più facilmente potrebbero essere sfruttate, e per un’altra in ufficio per colloqui, per valutare accoglienza e protezione o fare perizie per i servizi sociali”.
Fuori dal linguaggio burocratico, si occupa, per esempio, di mettersi in relazione con chi vive e lavora in strada e sui marciapiedi. Zone del capoluogo che i bolzanini “per bene“ evitano o fingono di non frequentare.
“E’ un lavoro complicato che non finisce con le 38 ore previste dal contratto. Occorre trovare la giusta distanza per non farsi condizionare troppo, occorre gestire le emozioni per non farsi travolgere. E’ davvero difficile, ma agisco su cose a cui tengo davvero tanto, rispetto ai primi tempi ho imparato tanto e ho cambiato prospettiva. Le persone con cui mi rapporto non sono solo bisognosi che necessitano di assistenze. Mi hanno insegnato molto, non solo rispetto all’attività lavorativa”.

Anxhela Kuka

Lavora per Volontarius, ma, meglio precisarlo, non è una volontaria, ha studiato per il lavoro che fa. Laureata in “Servizio sociale” a Unibz, nel tempo che le lascia il lavoro, sta studiando per la laurea magistrale in “Innovazione e ricerca per gli interventi socio-assistenziali-educativi”. Ha un contratto a tempo indeterminato che, però, non le permette di pagarsi un affitto o un mutuo. “Ho ventisette anni, ma vivo con la mia famiglia perché i costi degli affitti di Bolzano sono troppo alti. Nel sociale ci sono grandi professionalità, ma credo non vengono adeguatamente valorizzate. Sarà che sono lavori principalmente femminili…”.
E’ giovane e ha un contratto a tempo indeterminato: qualcuno, sbagliando, potrebbe considerarla fortunata. Piuttosto, occorrerebbe chiedersi se è giusto, intelligente e utile non investire sul lavoro sociale e sulle competenze necessarie a svolgerle adeguatamente, ma, come noto, i giovani non godono di ottima stampa nel paese più vecchio d’Europa.
“Forse è anche colpa nostra, forse dovremmo tornare a impegnarci per i nostri diritti. E’ vero, rispetto al passato ce ne siamo trovati molti, ma per quel che riguarda il lavoro si sono fatti molti passi indietro. Il lavoro nel sociale svolge inevitabilmente un ruolo politico, in senso alto, non legato ai partiti, ma parlare di politica sembra sbagliato e questo affonda ogni spinta al cambiamento. Poi c’è chi gioca a mettere uno stigma sui giovani, sembrano quei professori che invece di individuare i responsabili di qualche malefatta preferiscono punire tutta la classe e dietro a ogni gruppetto di ragazzi c’è chi vede una baby gang. C’è molta paranoia”.
Lei stessa ammette di non essere una che ama “far serata”, non lo sente un suo bisogno, ma, appositamente stimolata, butta lì qualche proposta: “Credo manchino spazi in cui i giovani possano stare insieme, aperti a tutti. Le restrizioni e le decisioni autoritarie non risolvono il problema, anzi, molti giovani se le sentono sulla pelle anche se non fanno nulla di male. Chi sbaglia deve pagare, ma chiudere intere zone a certe ore punisce tutti indistintamente”.
Più in generale, crede che servirebbe anche un approccio diverso riguardo ai centri giovanili: “Dovrebbero essere più vissuti e meno curati, più spontanei. Le modalità di interazione dovrebbero essere diverse, senza gerarchie, ma è un discorso lungo, non mi interessa polemizzare. Le critiche sono utili quando spingono ai miglioramenti”.
Tornando al suo essere “più bolzanina dei bolzanini”, questo non significa che Anxhela Kuka non abbia mantenuto forti legami con la sua terra d’origine: “Torno spesso a Tirana, quattro volte nell’ultimo anno. Io posso tranquillamente sembrare una nativa italiana e quindi non subisco le spinte identitarie di chi non ha questa possibilità. Per la mia famiglia e per la mia comunità è importante che si mantengano le tradizioni, ma personalmente posso scegliere come rapportarmi con il mio paese di origine, non tutti lo possono fare”.

Massimiliano Boschi

 

Questo articolo fa parte dello speciale My Generation: un progetto che dà voce alle nuove generazioni attraverso strumenti creativi. Il progetto – promosso dalla cooperativa Young Inside con il contributo dell’Ufficio Politiche Giovanili della Provincia Autonoma di Bolzano –  oltre alle interviste pubblicate in questo speciale, esporrà opere di poster art che permetteranno di potenziare le parole e le narrazioni dei ragazzi e delle ragazze coinvolgendo tutta la città di Bolzano.

Tutte le interviste >>>

 

 

Ti potrebbe interessare