"L'Alto Adige deve rinnovarsi, ma l'Svp è il partito della rendita e non può cambiare". Intervista a Michele Buonerba

La carenza di personale riguarda numerose attività economiche ed è un fenomeno globale che riguarda tutta Europa. Eppure, ogni territorio sembra cercare una propria causa interna. Per gli altoatesini è colpa del bilinguismo, per molti italiani è colpa del reddito di cittadinanza e in quasi tutta Europa la collegano ad una gestione “errata” della crisi scatenata dalla pandemia. Per analizzare il fenomeno sia dal punto di vista globale che locale, abbiamo chiesto un commento a Michele Buonerba, attuale presidente Laborfonds e già segretario generale della Cisl altoatesina.  La sua analisi riparte da una crisi di quasi quindici anni fa: “La pandemia – premette – ha accelerato un fenomeno già in corso che personalmente faccio risalire alla crisi del 2008. Una crisi che rese evidente il dominio del capitale finanziario sull’economia reale. Nell’occasione, le classi politiche hanno salvato le grandi banche, ma non hanno cambiato il sistema delle regole allo scopo di contrastare le disuguaglianze che aumentavano e continuano a ad aumentare. Oggi la classe media è praticamente è azzerata e i lavoratori si sono sentiti traditi da scelte politiche che hanno tutelato il sistema finanziario e non i salari. Senza dimenticare che il tema della qualità del lavoro è stato sottovalutato anche da chi rappresenta lavoro con l’ottica del Novecento. Il conflitto capitale lavoro oggi non esiste più e il sindacato è ridotto a una società di servizi, come, per altro Confartigianato, Confindustria etc…”.

Ma questo non avrebbe dovuto aumentare l'”esercito di riserva”, ovvero i precari o i disoccupati alla ricerca di un lavoro regolare? Invece continua a mancare il personale in diversi settori economici

Non  è accaduto perché ai fenomeni citati in precedenza, vanno aggiunti il consumismo dilagante che ha prodotto il calo demografico iniziato alla fine degli anni Settanta e il tema della flessibilità. Le persone nate tra gli anni Trenta e Cinquanta del Novecento hanno potuto usufruire di un lavoro stabile e sono potute andare andare in pensione presto, ma già dalla fine degli anni Settanta si è incominciato a parlare di flessibilità attraverso una campagna sostenuta in particolare da grandi gruppi editoriali.

Il risultato?

Il risultato è la diffusione del precariato soprattutto nel settore terziario che, preciso, è divenuto il più importante in Alto Adige. Se a questo si aggiunge la riduzione salariale, i salari reali sono fermi ai tempi della lira, si comprendono le cause che hanno portato al netto decremento della natalità e quindi alla mancanza di lavoratori. La pandemia ha, inoltre, isolato socialmente una montagna di giovani i Neet (Not in Education, Employment o Training) quelli che non lavorano e non studiano, in Italia sono tre milioni e evidenziano un tragico fallimento educativo. Ecco, in tutto questo si trovano le radici della crisi occupazionale che affrontiamo oggi.

Passando all’Alto Adige?

In Alto Adige, la mancanza di lavoratori nel turismo dopo la pandemia era prevedibile. I lavoratori del turismo sono stati un anno in cassa integrazione a 1149, 27 euro lordi al mese, circa 900 netti. Cifre con cui in Alto Adige non si campa. In molti hanno, quindi, cercato un lavoro in altri settori e sono passati al settore industriale, dove si lavora meno, il fine settimana è libero e si guadagnano gli stessi soldi se non di più. Da questo punto di vista, la pandemia ha fatto aprire gli occhi.

Ma il problema non riguarda solo il turismo…

L’Alto Adige ha bisogno di lavoratori, ma viviamo in un territorio in cui la chiusura nei confronti di chi viene da fuori è evidente e fa parte della storia. Il bilinguismo, che difendo, è stato, strumentalmente utilizzato per porre barriere a chi è nato da un’altra parte. Senza i lavoratori immigrati il sistema non sta in piedi. E’ inevitabile, dobbiamo aprirci per rendere il territorio attrattivo, non solo per i turisti, ma anche per chi vuole lavorare qui. Serve un radicale cambio di rotta, servono appartamenti per i lavoratori non per i turisti. Le agevolazioni per l’edilizia abitativa risalgono al 1998 e non sono adeguate al mondo di oggi.

La politica è in grave ritardo?

Il partito di maggioranza, l’Svp è il partito della rendita, difende quelli che hanno le proprietà sul sacro suolo della Heimat e non può smettere di farlo. Nel frattempo, però, il mondo è cambiato, non risiedono in Alto Adige/Südtirol solo i madre lingua tedeschi, italiani e i ladini, una fetta della popolazione è nata all’estero e un’altra è formata da italiani che non sono nati in Alto Adige. Le basi dell’Autonomia sono state poste in un contesto molto differente, Austria e Italia non avevano la stessa moneta, ma l’euro esiste da vent’anni ormai. C’era tutto il tempo per adattarsi al cambiamento, ma si è preferito non farlo e oggi si è arrivati alla resa dei conti. L’Svp continua a perdere consensi e credo che oggi debba essere posto anche il tema di un cambiamento del sistema elettorale, dobbiamo uscire dalla logica dello sbarramento su base etnica.

Il tema della disuguaglianza non conosce confini?

E’ cresciuta anche in Alto Adige seppur in forma minore che altrove, e ha cambiato il contesto. La rappresentazione etnica non è più sufficiente, inoltre, una volta terminati gli studi, i laureati tornavano in Alto Adige mentre ora preferiscono restare fuori, il territorio ha perso attrattiva. Questo ha causato un abbassamento della qualità della classe dirigente e quindi, si è avviato un circolo vizioso che rende il territorio sempre meno attrattivo e riduce ulteriormente il rientro dei laureati o di chi vuole costruire il proprio futuro qui.

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