"Sta scomparendo il rapporto tra immagine e realtà". Lo sguardo sul mondo di Ferdinando Scianna

“Ognuno ha le proprie vicende, ma tutti noi siamo costruiti di quello che cucinava nostra madre, della luce che c’era quando eravamo bambini, delle persone che ci hanno insegnato le cose, ma anche dei libri che abbiamo letto, sennò uno non si metterebbe a piangere quando Anna Karenina si butta sotto il treno… i libri sono i nostri padri, i nostri nonni e le nostre madri” ci racconta Ferdinando Scianna. È un gigante della fotografia, ma ama i libri e le parole. Come fotografo e fotoreporter, in oltre 50 anni di carriera Scianna (Bagheria, 1943) ha creato un universo fotografico che è entrato nella storia, dal racconto delle feste religiose popolari della sua terra, la Sicilia, alle Ande boliviane fino al mondo della moda con gli scatti iconici per Dolce & Gabbana. Primo fotografo italiano a entrare nell’agenzia internazionale Magnum Photos, Scianna ha stretto legami con personaggi come Leonardo Sciascia, Henri Cartier-Bresson e Jorge Louis Borges. Lo incontriamo a Bolzano al Centro Trevi, invitato dal Circolo Tina Modotti in occasione della mostra su un altro grande della fotografia, Mario Dondero (ne abbiamo parlato qui ). Voce imperiosa, segnata da un caldo accento siciliano e una parlata brillante, densa, Scianna ci racconta della sua fotografia, ma anche di come è cambiato, oggi, il nostro rapporto con le immagini.

A proposito della sua fotografia, lei scrive “amo toreare con il caso”

È il tipo di fotografia che ho fatto io, certo uno cerca delle cose, ma tiene la finestra aperta per cogliere quello che entra e lo becca, sperando che abbia un senso, narrativo, culturale, politico e formale. Il vero impegno di un fotografo sta più nella maniera di guardare il mondo che nelle cose, qualunque cosa tu guardi la guardi in un certo modo. E poi le immagini raccontano un momento tuo di relazione con la vita: torni a casa dopo un viaggio e porti un vestito a tua figlia di otto anni che se lo mette subito e fa la campana e dice guarda papà…e quella foto finisce in un libro sui bambini. Oppure esci di casa per un reportage e “incontri” un paesaggio che ti emoziona, e ti fermi.

Lei ha scattato anche foto di moda memorabili…

Si, ho fatto anche la moda, ma la mia moda interseca la vita delle persone, i luoghi. È una forma di reportage.

Dice di non amare troppa la strumentazione tecnica…

Quando sono arrivato a Milano dalla Sicilia avevo 25 anni e ho incontrato un grande fotografo, Paolo Monti che un pomeriggio mi ha detto ricordati che le foto si fanno con i piedi … io lì per lì ho pensato che fosse un insulto, ma la vita mi ha insegnato che è verissimo, appena i piedi non hanno potuto più ho dovuto smettere.

A volte però la tecnica aiuta.

Certo dipende dal tipo di foto che devi fare, ma io sono per l’economia dei mezzi, in linea di massima più semplifichi gli strumenti con i quali lavori e meglio lavori. Io poi non ho avuto mai un feticismo né per le macchine fotografiche né per le automobili, quando mi dicono ‘ma come va questa macchina?’ io dico funziona, e va bene, perché non è che se tu vai a comprare le patate con una Mercedes è meglio che andarle a comprare in motorino, sempre patate rimangono.

Con la diffusione degli smartphone e l’esplosione dei social, oggi siamo tutti un po’ fotografi.

Non si sono mai fatte tante fotografie private come oggi, perché c’è il telefonino, mangi una pizza e fai una foto, un selfie e un altro selfie…ma per quanto riguarda la fotografia, che non è arrivata a compiere 200 anni, probabilmente è già fuori dalla centralità culturale che ha avuto per tanto tempo.

Proprio lei dice così…perché?

La fotografia ha cambiato il nostro modo di relazionarci con il mondo e con le emozioni non solo attraverso il veicolo pubblico delle immagini, ma soprattutto con quello privato. Grazie alla fotografia, noi per la prima volta potevamo sapere come erano i nostri nonni, come erano vestiti i nostri genitori quando si sono sposati, come eravamo noi da piccoli. Questo nel passato non esisteva e ha cambiato il rapporto con la memoria. Per me, il monumento più straordinario che la fotografia ha consegnato alla cultura occidentale è stato l’album di famiglia, è come i lari del mondo antico. Oggi facciamo tante fotografie, ma nessuno le stampa, l’album non lo fa più nessuno.

E qualcosa va perso.

Si, si spezza quella relazione che è stata così forte con le immagini: ti mettevi in tasca la foto di tua mamma anche se aveva 20 anni e tu non eri ancora nato o la foto del cane morto quando eri bambino. La fotografia aveva un rapporto con la nostra dimensione esistenziale profondissimo, e invece evidentemente questo nesso oggi non fa più parte della centralità della cultura contemporanea. Come diceva Flaiano, ci fotografiamo invece di vivere. Viviamo in un presente assurdo senza passato e probabilmente senza futuro.

Ferdinando Scianna durante l’intervento al Centro Trevi, Bolzano

Insomma, siamo sommersi da immagini, che si autoannullano.

È un grande problema culturale, ma non mi piace fare moralismi, io considero che l’oltre milione e mezzo di fotografie che ho fatto come parte del mio album di famiglia, perché io c’ero e ogni fotografia mi ricorda qualcosa della mia vita. Meglio guardare un’immagine mediocre, approssimativa, magari quella di un banale tramonto ma che ti ricorda un momento unico con la persona che ami, che significa qualcosa per te,  piuttosto che accumulare centinaia di tramonti nello smartphone. Ma c’è un altro aspetto.

Dica

Non solo si è interrotto il rapporto tra immagine e memoria, ma sta per scomparire anche il rapporto tra immagine e realtà, che la fotografia testimoniava. Il virtuale ci sta invadendo, e posso creare un’immagine che sembra la foto di una pipa senza che ci sia stata nessuna pipa davanti a me. Sarà meglio, sarà peggio? Io sono contento di morire prima, ma magari sarà meglio.

La copertina del libro “Feste religiose in Sicilia” di Ferdinando Scianna e Leonardo Sciascia
(presentazione al Centro Trevi, Bolzano, 15 marzo 2024)

Nel suo intervento ha parlato anche di fotoreportage e di Mario Dondero

Quando si parla di fotogiornalismo si pensa alle foto che finiscono nei giornali, ma non è solo questo, vuol dire fotografare la realtà, la società, quello che accade. A un fotografo come Mario Dondero non glene fregava assolutamente niente della fotografia, era un poeta della vita, della realtà e trasformava quello che incontrava con la sua grazia. Era molto impegnato a livello politico, ma non era questa la materia delle sue fotografie, la materia erano le persone, era un genio dell’incontro. Uliano Lucas (che ha tenuto un intervento all’interno della stessa rassegna, ndr)  ha fatto della formula dell’impegno politico la sua pratica di vita, una sorta di missione. Questo è un aspetto che ci accomuna, volevamo cambiare il mondo con le nostre fotografie, ma poi il mondo ha cambiato le nostre fotografie.

Siamo a Bolzano e la domanda è d’obbligo, lei scrive di non amare particolarmente la montagna: è vero?

Sì, abbastanza, sono molto marittimo, oggi dal treno con mia moglie vedevo paesaggi stupendi, dicevamo quanto è bello da guardare, ma c’è molta gente che ci vuole addirittura salire.. e mi chiedo: perché? La risposta l’ha data quello che ha conquistato il K2 quando gli hanno chiesto ‘perché l’hai scalato?? e lui ha risposto ‘perché era la’.  Ma io ho bisogno tornare a immergermi regolarmente nel mare della mia infanzia.

Caterina Longo

In apertura: Ferdinando Scianna a Bolzano. Foto Venti3

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