Da Delhi a Termeno: Rosalyn D'Mello sul femminismo, la scrittura e il potere delle emozioni

Tra Delhi in India e Termeno in Alto Adige ci sono quasi seimila chilometri: tanta è la distanza percorsa da Rosalyn D’Mello quando si è trasferita nel paesino dell’Oltradige per amore, nel 2020. Scrittrice, ricercatrice, critica e artista, D’Mello si definisce “femminista intersezionale”. Collabora con importanti riviste internazionali d’arte – da Art Review a Vogue, da Artsy fino a STIR, oltre a curare una rubrica settimanale di femminismo per il quotidiano indiano mid-day. Nel 2015 è uscito il suo provocatorio libro di memorie erotiche A Handbook For My Lover. La scrittura di D’Mello colpisce per la sua forza immediata, che riesce a trasmettere punti di vista decisi e inaspettati, anche sul femminismo, ma sempre con un approccio “accogliente”.

Come si trova in Alto Adige e quali impressioni ha avuto, anche del panorama culturale?

Grazie al mio lavoro, conoscevo già diverse persone del mondo della cultura in Alto Adige e in Europa. Da un lato sento che le istituzioni culturali sono aperte a collaborare con me. Dall’altro, la barriera linguistica tiene le persone come me al di fuori del sistema. È impegnativo dover raggiungere la padronanza di due lingue per potersi candidare a qualsiasi tipo di posizione nelle istituzioni culturali. Mi sono sentita forzatamente dequalificata e continuo a sentirmi così. Ho dovuto fare affidamento su reti precedenti ed esterne per potermi sostenere finanziariamente. Fortunatamente, sono stata selezionata per far parte di due programmi davvero fantastici, uno come mentore per la borsa di studio OCEAN di TBA21 a Venezia e l’altro è la residenza Künstlerhaus Büchsenhausen a Innsbruck.

Guardando al suo lavoro sono rimasta molto colpita dal suo approccio al femminismo…

La mia comprensione e pratica del femminismo è radicata in quello che viene definito ‘femminismo del Terzo Mondo’: è un femminismo abbracciato come ideologia vissuta, assicurandosi che il suo ethos si manifesti in ogni aspetto della propria vita, dalla cura di sé alla cura degli altri e alla costruzione della comunità. Questa versione del femminismo, che è stata sostenuta dalle femministe nere, si impegna nel rendere visibili le storie non raccontate e soprattutto molto del lavoro che rimane inosservato e non riconosciuto.

È un discorso che vale anche nel campo dell’arte: lei ha scritto spesso di artiste che si esprimono attraverso il ricamo, come Varunika Saraf e Nour Shantout o, restando a progetti in Alto Adige, per il progetto di Kira Kessler per Eau & Gaz

Le arti praticate dalle donne sono state storicamente svalutate. Questo le ha rese arti marginali, estranee. Nella mia attività di critica d’arte, ho cercato di rendere visibili queste pratiche e di metterle in relazione con le manifestazioni contemporanee dell’arte femminista e femminile. Il lavoro di Kira Kessler mi ha entusiasmato per il suo coinvolgimento nel ricamo e nella maternità. Incorpora senza soluzione di continuità entrambe queste facoltà e forme di lavoro. Anche con il progetto “Traminer Marmeladen-Almanach” ho voluto esaminare come le persone continuano a praticare forme matrilineari di impegno con l’ecologia attraverso la conservazione della frutta. Dal 2021, perseguo attivamente questi diversi filoni di pensiero attraverso il progetto di ricerca ‘In the Name of the Mother’.

Il progetto “Traminer Marmeladen-Almanach” raccontato da Rosalyn D’Mello in un post dal suo profilo IG

Questo approccio ha a che fare con la costruzione di spazi di libertà diversi da quelli imposti dalla cultura comune?

Il mio progetto è legato al fatto che gran parte del lavoro delle donne è stato interpretato come tempo libero… il che, a mio avviso, costituisce una cancellazione della quantità di tempo, di talento e di energia che serve a portarlo avanti. È anche un modo per garantire che le donne rimangano non pagate. Attualmente, come madre immigrata che sta affrontando la maternità in Alto Adige, mi sento piuttosto allarmata da quanto siano prive di potere molte delle altre madri che incontro, e da come gran parte del loro lavoro non sia semplicemente remunerato. Molto di questo è facilitato da politiche che non incoraggiano il ritorno delle donne al lavoro e anche dall’assenza di sistemi di assistenza all’infanzia a prezzi accessibili.

 

Anche nel “ricco” Alto Adige?

Sono scioccata quando mi viene riferito il numero di donne che semplicemente non tornano al lavoro. Per me questo è allarmante. Non perché io pensi che tutti debbano lavorare, ma perché sono convinta che le donne non abbiano abbastanza voce in capitolo per poter definire la decisione una scelta. Suppongo che mi aspettassi di meglio dal ‘primo mondo’ o dai ‘Paesi sviluppati’. Spesso mi accorgo che, quando si tratta di politiche e pratiche veramente femministe, c’è un vuoto enorme.

Rosalyn D’Mello. Foto courtesy © 2016 Pallavi Gaur

A proposito di maternità, lei ne parla spesso nei suoi articoli: come ha cambiato il suo approccio all’arte e alla scrittura?

Questo è proprio il tema del libro che sto scrivendo attualmente, intitolato ‘Milking Time’’. Tratta di come la maternità richieda molto tempo e quindi, come scrittrice, si perda la capacità o il privilegio di creare narrazioni a lungo termine. Se si esamina gran parte della letteratura in circolazione (e attualmente ce n’è una gradita abbondanza) di scrittrici i cui romanzi e saggistica nascono da un’esperienza vissuta di maternità, si nota come le narrazioni siano sempre frammentarie. Il recente romanzo di Kate Briggs, ‘The Long Form, ne è un ottimo esempio. Ho smesso di scrivere sul computer portatile – ci scrivo giusto le mie rubriche e i miei pezzi di critica d’arte. Ma la mia scrittura veramente personale la faccio con una penna a inchiostro su una carta da lettere, ogni volta che trovo il tempo, perché non ho più il lusso di scrivere frasi elaborate e carine, che potrebbero rimanere nella coscienza di chi legge..

Eppure non ha smesso di scrivere…

Scrivo per un senso di urgenza e di profonda incontenibilità. Scrivo per ricordarmi della mia soggettività, perché la maternità, nell’ambito del patriarcato, minaccia di privarti di tale soggettività e di ridurti a un essere escluso dalle interazioni intellettuali. Non credo che la mia scrittura sia mai stata così politica come nel periodo post-parto. Credo che la maternità abbia modificato per sempre il mio rapporto con la scrittura.

Nella sua scrittura tutto sembra fluire con facilità e naturalezza, in un intreccio di vita privata e pensiero… da dove viene?

Mi fa piacere che abbia sentito che c’è un’immediatezza. È qualcosa per cui mi impegno. Ma soprattutto si tratta di arrivare a un’onestà e a una trasparenza radicali, riconoscendo anche il potere e la potenza delle emozioni e ciò che significa articolarle in modo sfacciato e audace.

L’aspetto personale, quindi, è importante.

Da quando ho iniziato a trovare modi per articolare la mia consapevolezza, ho sentito che la dimensione personale è sempre politica. Sara Ahmed, la scrittrice di ‘Living the Feminist Life’, ci dice che l’aspetto personale è qualcosa di strutturalmente rivelante. Anche i miei momenti di felicità e di disperazione sono governati dalle intersezioni tra patriarcato, supremazia bianca e capitalismo. Scrivere attraverso il prisma della mia vita personale mi permette di navigare nella mia dimensione autoriale. Mi permette di rivendicare la mia narrazione, attingere all’unicità della mia esperienza e anche alla mia eredità ancestrale, alla mia storia di immigrata da un luogo due volte colonizzato (mia madre è nata e cresciuta a Goa, occupata dai portoghesi, mentre mio padre era un immigrato goano di prima generazione a Bombay, occupata dagli inglesi (oggi Mumbai).

Non so se ha seguito i recenti fatti di cronaca con l’ennesimo femminicidio e l’ondata di emozioni che ha prodotto in Italia, che idea si è fatta?

Leggendo di questo caso, mi è sembrato così terribilmente familiare. L’Italia è un Paese profondamente patriarcale. Credo sia giunto il momento di riconoscere i modi in cui la società permette agli uomini di farla franca sentendosi autorizzati e impuniti. Anche in Alto Adige, le persone amano fingere che non ci sia un problema di violenza domestica e di abusi. Molte donne sono bloccate in relazioni regressive, ma non lo riconoscono. L’idea che ho tratto da questo ennesimo femminicidio è quanto l’Italia abbia disperatamente bisogno di una rivoluzione femminista intersezionale.

Caterina Longo

Immagine in apertura: Rosalyn D’Mello a Termeno. Foto courtesy of the artist.

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