
Un esempio da imitare: “Ponti”, il carcere visto da vicino
Le carceri italiane sono spesso ospitate in zone periferiche o poco frequentate delle città. Lontane dagli occhi, lontane dal cuore, ma molto, troppo, vicini alla pancia del paese. Luoghi evocati ed invocati con continuità, di cui si sa pochissimo e su cui circolano idee vaghe e distorte, spesso ispirate alla cinematografia statunitense e quindi decisamente fuorvianti. Purtroppo, anche quando non sono ospitate in periferia, ma in pieno centro, come a Bolzano, vengono totalmente ignorate, (cfr qui).
Nell’affollatissima e fotografatissima Venezia ne sono presenti addirittura due, ma non le nota nessuno nemmeno lì. C’è la casa di reclusione femminile, sull’isola della Giudecca, e il carcere maschile nel sestiere Santa Croce, non distante da Piazzale Roma. La denominazione ufficiale di quest’ultimo è “Casa circondariale di Venezia-Santa Maria Maggiore”, ospita 274 detenuti per 159 posti regolamentari (fonte Ministero della Giustizia) e ce ne occupiamo perché dal mese di aprile pubblica “Ponti”, un giornale interno che intende dare voce ai detenuti e “offrire loro uno strumento di espressione, di confronto e di crescita”.
Sedici pagine su temi sociali direttamente collegati al carcere: lavoro, crisi abitativa, sanità e dipendenze, ma trovano spazio anche informazioni di servizio, pagine culturali e persino le ricette. Uno strumento utile per i detenuti, ma anche per tutti coloro che volessero cominciare a farsi un’idea sulla quotidianità degli istituti di pena italiani.
Il nome della pubblicazione, “Ponti”, non è ovviamente casuale e i motivi della scelta sono spiegati nelle prime pagine della rivista: “Un ponte unisce, collega due sponde, permette il passaggio. E questo vogliamo che sia Ponti: un collegamento tra dentro e fuori, tra il carcere e la società, tra chi sta costruendo un nuovo percorso e chi può offrire una possibilità di riscatto”.
Per comprendere meglio come sia stato realizzato il giornale e come si sia attrezzato per la complessità delle sfide che lo attraverseranno, abbiamo intervistato Massimiliano Cortivo, il giornalista che coordina i lavori e la redazione di “Ponti”.
Partiamo dalla periodicità e dalla diffusione?
Sì, dovrebbero uscire tre o quattro numeri all’anno, il prossimo a luglio, ma si naviga a vista. Il carcere non permette di programmare con molta precisione, al momento, stampiamo 600 copie che vengono distribuite a tutta la popolazione carceraria, compresi gli operatori, e in alcuni mercatini. Ma il pdf può essere liberamente scaricato sul sito dell’associazione di volontariato “Il Granello di senape” a cui ci siamo appoggiati per la riuscita del progetto. Al momento la testata non è ancora registrata e usciamo come supplemento a Ristretti orizzonti, storica pubblicazione padovana dedicata al mondo carcerario
Obiettivi?
L’obiettivo principale è quello di dare spazio a chi sta cercando di costruirsi un nuovo inizio, dando voce e speranza a chi ha trovato un lavoro o sta realizzando un percorso di formazione, fondamentalmente cerchiamo di sostenere chi è impegnato a costruirsi un nuovo futuro.
La redazione come è composta?
Da otto/dieci persone che, oltre al lavoro giornalistico, svolge un’importante funzione di socialità. Io coordino la redazione aiutato da un paio di volontari che operano in carcere durante la settimana, sono loro ad avere il polso della situazione che cambia continuamente. Operiamo in una casa circondariale, non ci sono detenuti condannati a lunghe pene e molti sono in attesa di giudizio, per cui c’è un continuo ricambio che ovviamente può complicare la progettazione del lavoro.
Il ponte di fronte alla casa circondariale Santa Maria Maggiore
A proposito di complicazioni, quali sono i problemi principali che affrontate?
Le difficoltà sono molte, innanzitutto occorre trovare il punto di equilibrio tra le richieste dei detenuti e quelle dall’amministrazione penitenziaria. Sono necessarie capacità di mediazione non indifferenti, ma le difficoltà sono compensate dall’entusiasmo dei detenuti che lavorano alla realizzazione di Ponti e ringraziamo la direzione per aver concesso la possibilità di realizzare un prodotto editoriale complicato, ma che può migliorare la vita dei detenuti e mostrare all’esterno una realtà di cui si parla molto, ma si conosce pochissimo.
Molti detenuti non sono italiani, questo complica il lavoro e il raggiungimento degli obiettivi?
Ovviamente sì, per questo produciamo anche una pagina in inglese per andare incontro a chi non ha familiarità con la lingua italiana, una pagina in arabo sarebbe stata probabilmente più utile, ma per motivi di sicurezza al momento non siamo in grado di realizzarla.
Massimiliano Boschi