Sempre meno neve sulle montagne dell'Alto Adige a causa dei cambiamenti climatici

Sono 28 le stazioni metereologiche sparse a quote diverse in Alto Adige che forniscono dati sulla neve dal 1981. Analizzando le serie storiche si osserva che nei mesi da dicembre a marzo la neve è diminuita specialmente al di sotto dei 1500 metri, mentre tra i 1500 e i 2000 metri i dati sono più equilibrati. Nei mesi a fine stagione il saldo è negativo ovunque: ad aprile sotto i 1500 metri praticamente non c’è più neve, nemmeno in località come Sesto o Pennes dove quarant’anni fa era normale averne oltre venti centimetri ancora in primavera. I cambiamenti che riguardano l’Alto Adige sono del resto comuni a tutto il versante sud delle Alpi: qui da sempre nevica il 20-30 per cento meno di quanto non nevichi sul versante nord e dagli anni settanta il trend è in peggioramento, almeno fino ai 2000 metri. Oltre è difficile valutare visto che le stazioni ad alta quota non sono tante.

Che in autunno e primavera le nevicate siano più scarse è dovuto ai cambiamenti climatici e se il riscaldamento globale non verrà rallentato, in futuro i fenomeni si acuiranno: in autunno le nevicate arriveranno sempre più tardi, in primavera smetteranno sempre prima e la neve già caduta si scioglierà prima. Entro la fine del secolo le condizioni della neve a 2000 metri corrisponderanno a quelle che si trovano oggi a 1000-1500 metri, con uno scarto di quota di 500-1000 metri. Se riusciremo a contenere il riscaldamento globale entro i 2° C, questo scarto verrà ridotto a 250-500 metri.

“Se è vero che per il futuro dobbiamo aspettarci in media meno neve, è vero anche che le nevicate estreme non scompariranno”, sottolinea Michael Matiu, ricercatore dell’Istituto per l’osservazione delle Terra di Eurac Research e autore principale di un dossier che fa il punto delle ricerche finora disponibili. Per effetto dei cambiamenti climatici aria e acqua si scaldano e l’aria assorbe più umidità; in questo modo può piovere o nevicare in modo più intenso. Con i modelli climatici che abbiamo a disposizione è però difficile fare previsioni sull’entità dei rischi che correremo, per esempio cadute di alberi, blackout, frane e slavine.

I dubbi riguardano anche le conseguenze che i cambiamenti della neve avranno sull’industria dello sci. Risposte più precise possono arrivare solo da modelli che tengono conto delle caratteristiche climatiche e topografiche di ogni località specifica perché clima e neve in montagna variano molto. Quello che comunque già si può dire è che la stagione sciistica come la conosciamo oggi in futuro difficilmente potrà essere garantita. I comprensori a quote più basse potrebbero non essere più convenienti per il consumo sempre maggiore di energia e acqua che servono per far funzionare gli impianti di innevamento. Non solo, i cambiamenti climatici rendono più rare anche le condizioni metereologiche necessarie per innevare artificialmente e questo potrebbe mettere a repentaglio persino la stagione natalizia. Per questo gli operatori contano sul progresso tecnologico e sperano in impianti più efficienti e sistemi di previsione più accurati per scegliere il momento ottimale per innevare.

Oltre all’impatto sul settore turistico con i suoi posti di lavoro, non si può dimenticare che la neve è un fondamentale serbatoio di acqua. Si riempie in inverno, quando la vegetazione ne ha meno bisogno, e rilascia acqua in primavera ed estate, quando sia la natura sia l’agricoltura ne hanno più bisogno. Meno neve che si scioglie prima equivale a siccità nelle stagioni più calde, sia in Alto Adige sia a valle.  Chi amministra le risorse idriche dovrà quindi concentrarsi su una gestione integrata che tenga conto di tutte le parti interessate, per evitare conflitti. Il dossier sulla neve include anche una tabella che sintetizza le misure impiegate oggi nelle Alpi per affrontare i cambiamenti – dagli invasi allo snowfarming .

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