Tra ricordo e contesto: dalla stazione a Piazza Vittoria, viaggio tra i monumenti del centro di Bolzano

I monumenti sono calamite per le identità, non tutti ma quasi. Sono cicatrici pronte a tornare a  infettarsi al primo cambio di vento e in Alto Adige non occorre spiegarlo a nessuno. C’è chi ha fatto saltare il “Monumento al genio del fascismo” a Ponte Gardena, chi la statua di Andreas Hofer a Merano, chi quella dell’Alpino a Brunico, mentre non si contano gli attentati contro il “Monumento alla Vittoria” o le decapitazioni del monumento a Sissi. Fortunatamente, di recente le cose sono cambiate, depotenziare è diventata la parola d’ordine per approcciarsi alla questione, ma in gran parte, i monumenti, qui come altrove, restano del tutto inosservati.

Robert Musil ha dedicato al tema un capitolo del suo “Pagine postume pubblicate in vita” (Einaudi, traduzione di Anita Rho): “Capita di girare intorno ai monumenti tutti i giorni, oppure di servirsi della base come salvagente, e ancora di utilizzarle come bussole o indicatori di distanza andando verso il luogo dove si elevano, non importa, sono considerate come un albero, come una parte dello scenario e tutti sarebbero molto sorpresi se un bel mattino non ci fossero più, ma non le guardano mai e non hanno la minima idea di ciò che rappresentano: tutt’al più sanno se è un uomo o una donna. (…) Ma lo scopo della maggior parte dei monumenti comuni è quello di suscitare un ricordo, di incatenare l’attenzione o di dare ai sentimenti un indirizzo pio, perché si presume che ve ne sia bisogno; e a questo scopo principale i monumenti falliscono SEMPRE” (Il maiuscolo è mio).

E’ animato da queste parole che, nonostante la pioggia, mi sono incamminato verso la stazione ferroviaria di Bolzano per provare a censire tutti i monumenti nel tragitto che da lì porta a Piazza Vittoria. Nessun desiderio di essere esaustivo, solo di comprendere meglio il contesto.

Dalla Stazione

Sul binario 1 sono presenti due monumenti che molti avranno potuto notare nell’attesa di treni in arrivo o in partenza. Uno è collocato verso il lato sud ovest, poco prima di raggiungere il marciapiede da dove partono i treni per Merano. Proprio alla fine dell’edificio principale si trova un crocifisso in ferro che si appoggia sopra un pezzo di rotaia. Alla base qualcuno ha collocato due lumini, altri hanno posto una grande rosa rossa a fianco della testa del Cristo, al collo gli è stato appeso un rosario in plastica rosa.

Sempre sul binario uno ma a sinistra dell’accesso principale, si trova l’altro, quello dedicato “ai caduti di guerra e del lavoro” installato nel 1976. Qui nessuno ha appeso nulla, ma a fianco fa bella mostra di sé un grande secchio per le pulizie, uno strumento di lavoro.

Trascurando le grandi statue collocate all’esterno dell’edificio della stazione, mi dirigo verso piazza Magnago dove sorge il palazzo della Provincia. A fianco dei menhir di recente collocazione, sorge la statua di Re Laurino. Eretta nel 1907 sulle passeggiate Lungotalvera, fu vandalizzata dai fascisti nel luglio 1933 e restò al museo di Rovereto fino al 1994. Da qualche settimana il Re Laurino è dotato di mascherina che non copre più la bocca, ma resta appesa al collo come, per altro, a molti concittadini che ci camminano o bivaccano intorno.

Di fronte a Laurino, al di là di viale stazione, possiamo ammirare la statua in marmo di Lasa dedicata a Heinrich Noë scrittore tedesco seppellito a Gries. Un tipico e classico monumento, proprio uno di quelli su cui si era concentrato Musil.

Da viale stazione proseguo verso la statua di Walther von der Vogelweide collocata al centro dalla piazza omonima. Costruita nel 1889 da Heinrich Natter, anch’essa in marmo di Lasa, la statua è tornata alla sua collocazione originaria solo nel 1985. In epoca fascista era stata relegata al parco Rosegger, il giardinetto che sorge su via Marconi tra via Carducci e via Dante, dove ora è collocato il monumento a Salvo D’Acquisto “In ricordo del suo sacrificio per la libertà e la dignità dell’uomo”. (opera di David Moroder, 1990)

Da piazza Walther proseguo per Piazza Parrocchia, dietro al Duomo. Proprio davanti al “Papperlapapp” mi imbatto nella colonna dedicata a Peter Mayr, compagno di Andreas Hofer nella guerra contro i francesi e fucilato da questi ultimi, a Bolzano, il 20 febbraio 1810. Realizzato su progetto di Georg von Hauberrisser era stato gravemente danneggiato dai bombardamenti del 30 settembre 1943. Parzialmente restaurato, venne ricollocato e benedetto nel febbraio del 1960 con tanto di scontri con la polizia. Il restauro definitivo venne completato e ribenedetto nel 2010, senza tafferugli.

Rientro verso via della posta e dopo aver superato una targa collocata sulla casa che fu di Max Valier (“scrittore e pioniere dell’aeronautica”) mi dirigo verso il Lungotalvera San Quirino.

Qui, subito dopo il ponte di Museion, noto un albero “incatenato”. Trattasi di Mirabolano “Simbolo di speranza in un luogo frequentato da anziani”, proseguendo per qualche decina di metri verso sud si incontra la lapide (datata 2007) che ricorda “Il sacrificio degli esuli giuliano-dalmati 1943-47 ed il loro contributo allo sviluppo della città”.

Decido di non proseguire per tornare sui miei passi e dirigermi verso “IL” monumento, quello alla Vittoria. Mentre cerco lo scatto migliore sotto la pioggia, mi accorgo che nei pressi del semaforo pedonale di via S.Quirino sorge una scultura di Claudio Trevi “Grande volo”, ammetto di non essermene mai accorto prima. Sul Monumento alla Vittoria è stato scritto di tutto negli ultimi settant’anni ed è inutile aggiungere altro. Io mi limito a riportare quanto scritto fisicamente sul monumento stesso: “Hic patriae fines, siste signa / Hinc ceteros excolvimvs lingva legibvs artibvs” (“Qui sono i confini della patria, pianta le insegne. Da qui educammo gli altri con la lingua, con le leggi, con le arti”). Una evidente “fake news” (Falsum Nuntium) in passato nota come “propaganda”, azione, solitamente maldestra, di chi vuol far credere qualcosa di falso a chi ci teneva tanto a crederlo.

Prima di proseguire risalendo il Talvera, compio un giro attorno al Monumento dove scovo l’unico monumento imbrattato: la colonna che sorge in mezzo al giardinetto a ricordo dei caduti in Africa e Spagna durante il regime fascista. E’ stata parzialmente coperta di vernice rosa nelle notti passate.

Il ritorno verso la Stazione

Rientro verso il parco Talvera passando a fianco del monumento collocato dall’Azione Cattolica nel 1956 per celebrare “I martiri di Ungheria”.

Proseguendo verso nord mi metto alla ricerca della targa dedicata all’Orso Pippo, la trovo semi nascosta nei pressi dell’ingresso del Pippo Stage. E’ dedicata all’orso che per 36 anni visse recluso in una gabbia di Parco Petrarca per la gioia di diverse generazioni di bambini…

Riattraverso il torrente per dirigermi verso nord, per fotografare una lapide più visibile di molte altre, perché collocata sui muri di una casetta che sorge poco dopo aver superato Castel Mareccio. E’ dedicata a Nardo Rocco Edoardo, morto nel luglio del 1998. L’hanno collocata i suoi amici per omaggiare “Il giardiniere della passeggiata”.

L’itinerario è quasi concluso, scendo dalle passeggiate e imbocco via Talvera, lì, in un angolo delle casa che fu del borgomastro Stockhammer è stata collocata una lapide che ricorda che in quell’edificio, il 23 dicembre 1769, era stato ospitato Wolfgang Amadeus Mozart. Il quale, va detto, non mostrò particolare gratitudine. Dopo aver definito il capoluogo altoatesino “un porcile” scrisse alla sorella che “Se a Bolzano devo tornare piuttosto mi voglio schiaffeggiare”.

Proseguo verso Piazza della Madonna (Marienplatz) dove mi riposo osservando il monumento più “attuale” dell’itinerario. Dedicato alla Maria Vergine, è un “complesso monumentale” realizzato nel 1909 dallo scultore Andreas Kompatscher secondo un progetto dell’architetto Theyer. Ai suoi piedi sorge una sorta di “Bollettino Covid 19 della protezione civile” ante litteram: “Nell’anno 1836 imperversava in Sudtirolo il colera asiatico e di 1191 malati ne morirono 216”.

Decido di terminare qui l’itinerario, chi volesse riposarsi può proseguire per un centinaio di metri e scegliere uno dei tanti locali che sorgono non lontano dalla targa collocata in una casa all’incrocio tra via Bottai e via Vintler. che ha ospitato Peter Mayr e Andreas Hofer.

In conclusione, dopo aver visionato una ventina tra statue, targhe e lapidi non mi sento di smentire quanto scritto da Musil nel già citato libro edito da Einaudi: “Perché si fanno i monumenti agli uomini più importanti? Poiché in vita non possiamo più far loro del male, li buttiamo, con un epitaffio al collo, nel grande oceano della dimenticanza”. Se servisse un ulteriore chiarimento, qui non si è discusso dell’abbattimento dei monumenti, si è provato a comprendere cosa spinga a erigerli.

Massimiliano Boschi

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