Perché vogliamo Merano capitale della cultura

A volte un gesto può contare molto più di mille parole. Ed è per questo che ci auguriamo che Merano venga scelta come capitale italiana della cultura per il 2020. Certo, la scelta del 16 febbraio prossimo non sarà facile. Le città in lizza – 10 quelle rimaste – rappresentano al meglio un Paese, il nostro, dove la cultura si respira solamente girando per vie e piazze. E ci sono città (pensiamo ad Agrigento, Parma, Piacenza, Reggio Emilia) che hanno dimensioni e forse una storia più conosciuta di Merano. Non diciamo maggiore, ma più conosciuta. Perché ognuna delle dieci finaliste ha il suo appeal, ha le sue ragioni per essere scelta.

Noi vorremmo proporne una geopolitica. Per una volta ci sembrerebbe un ottimo criterio. La scelta, infatti, cadrà proprio in un periodo in cui il dibattito lanciato da Vienna sul doppio passaporto sta dividendo l’opinione pubblica. Avevamo già esplicitato i nostri dubbi. Riassumibili in un passaggio: «Come distinguere infatti, a cento anni dalla separazione dall’Austria, i gruppi linguistici? Perché non applicare il criterio anche agli ex sudditi dell’Impero in Trentino o ai figli degli espatriati (come peraltro ha goffamente fatto l’Italia)? E soprattutto, quali sarebbero poi le conseguenze concrete? A cosa servirà mai un doppio passaporto in un’Europa dove il Brennero è un valico senza frontiera? I sudtirolesi con il doppio passaporto voterebbero alle politiche sia in Italia che in Austria? E le tasse?». Per questo pensiamo che la scelta di fare Merano capitale della cultura italiana potrebbe essere un bel segnale. Un gesto simbolico. E – perché no – un premio al buon senso che sta spargendo il presidente della Provincia di Bolzano Arno Kompatscher. Anche a costo di sembrare magari meno simpatico a qualcuno che lo appoggia. La battaglia sul doppio passaporto, più che giusta o sbagliata, forse è semplicemente anacronistica, fuori dal tempo. Guardando indietro si rischia di perdere il futuro: non passerà una seconda volta.

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