Da Baghdad a Bolzano, alla ricerca di una vita "su misura": la storia di Raed

“Bisogna essere ordinati sennò non si fa niente, ci tengo ad essere puntuale” spiega Raed, mentre nel suo negozio di sartoria guardo le file di giacche, camicie e pantaloni appesi, suddivisi in blocchi di colori diversi. “Ogni colore corrisponde ad un giorno di consegna”, continua. Appoggiate a terra ci sono le shopper dei negozi più cari del centro di Bolzano, che si rivolgono a Raed per riparazioni, modifiche e adattamenti. E sanno perché. “Bisogna saperlo fare, anche solo stringere o cambiare una cerniera, vede, tutto deve essere allineato, qui e qui e non devi vedere la differenza con il resto”, mi spiega, mentre mi mostra una giacca di pelle a cui ha sostituito la chiusura lampo, le cuciture allineate, perfette. Raed lavora di fino.
Nato a Baghdad in Iraq 43 anni fa, ha imparato il mestiere dallo zio subito dopo le superiori, a 17 anni. “All’inizio mi faceva fare solo le pulizie” racconta ridendo. Sarà, ma solo due anni dopo già gestiva il negozio da solo, sartoria di abiti su misura da uomo. “Qui a Bolzano non conviene fare abiti su misura, costa troppo tempo, tra prendere le misure e lavorazione etc., mi conviene fare orli”. Raed è un sarto esperto nell’adattare i vestiti delle persone, ma non si è mai adattato alle circostanze, anzi: ha sempre provato a costruirsi una vita su misura, nonostante tutto.
Il “tutto” è la distanza tra le shopper delle boutique di lusso bolzanine e un viaggio lunghissimo, fatto di tappe e avventure per fuggire da una Baghdad  in cui era appena scoppiata la guerra civile. “Nel 2006 hanno ammazzato mio zio mentre andava al lavoro, insegnava matematica. E’ rimasto in terra per sei ore prima che gli americani potessero portare via il cadavere”, continua. Di lì la decisione di partire definitivamente e raggiungere la Grecia dalla Turchia. “Ho pagato 900 dollari per arrivare a Samos da Smirne” racconta. Ovviamente su un barcone o, meglio, gommone, ma per fortuna per una traversata di meno di un’ora – e mentre lo racconta Raed non perde l’umorismo: “Alla fine il gommone si è sgonfiato, sono rimasto l’ultimo a scendere perché mi si era addormentata una gamba, c’era una signora somala incinta, che durante la traversata mi pesava proprio addosso. Ma per fortuna tutto è andato bene”. Per qualche tempo Raed ha lavorato come sarto ad Atene insieme ad un collega siriano e un egiziano “prendevo 3,50 Euro all’ora ma le spese non erano tante”, mi dice. Poi nel 2008 si apre uno spiraglio con la possibilità di richiedere lo status di rifugiato in Italia. Raed riparte, stavolta per Crotone. Una nuova spiaggia su cui dormire e poi il centro accoglienza e poi l’attesa.
Durerà sei mesi, durante i quali non si può lavorare. E nemmeno imparare l’italiano? “C’era una grande stanza in cui un insegnante ci mostrava come si chiamavano le parti del corpo, questa è la mano, questo è l’orecchio, ma tu sei nel dubbio, non sai se la tua richiesta verrà accettata e quindi non hai voglia di impegnarti… ma il consiglio che do è invece di mettere lo stesso tutte le energie per imparare la lingua”, spiega. Lo status di rifugiato arriva dopo aver superato l’esame di una commissione “Mi hanno chiesto di indicare su una cartina esattamente dove abitavo a Baghdad e come andare in questo e quel posto, come se chiedessi a uno di Bolzano quali mezzi si prendono per andare a Merano, se ci abiti lo sai. Questo perché ad esempio molti egiziani dicono di venire dall’Iraq ma non è vero”, continua.
Esame superato, a Raed viene dato un biglietto del treno per Roma. E basta. Ma l’happy end è ancora lontano: prima ci sono le settimane in cui dorme nei giardini della stazione Tiburtina, in attesa di un posto per il centro di accoglienza, che arriva dopo un anno. E poi finalmente il lavoro per una nota catena di sartorie in franchising, a Civitavecchia e Frascati. Da quegli anni a Raed è rimasta una morbida inflessione romanesca nella parlata.

E’ una storia costellata di racconti di amicizie, tentavi di progetto, leggi e procedure quella di Raed. Una fitta rete di informazioni su cui si decide la tua vita, informazioni che provengono spesso da contatti umani, legami passati e persone incontrate sul cammino. E così che un amico lo chiama a Bolzano per aprire un negozio in società, nel 2012. Dopo altri passaggi, Raed arriva ad una sartoria tutta sua, prima in via Manci e ora in centro, non lontano da piazza Walther. La sartoria va bene, c’è fin troppo lavoro “ma non posso permettermi un dipendete” racconta. E nemmeno una casa più grande dei 40 metri quadri in cui vive con la moglie Hanin e i due figli. “Dormiamo sul divano, abbiamo lasciato la camera da letto a mia figlia di sei anni, è giusto così”, dice. Per cambiare casa ci vogliono molti soldi, mentre per un alloggio IPES “mancano pochi punti, ma cambiano i criteri e se per una cosa si alza il punteggio me li tolgono per l’altra”. Per il resto a Bolzano la coppia ha trovato una propria dimensione. Prima che nascessero i figli, Raed e la moglie Hanin erano iscritti al Cai (Club Alpino Italiano) e andavano spesso in montagna. Anche se appena può la famiglia fa le valigie: “ci piace molto viaggiare, siamo andati a Berlino e in Olanda, ora col piccolo è un po’ più difficile, ma per le vacanze di fine ottobre siamo stati a Rimini a visitare l’Italia in miniatura e poi i delfini”. E poi l’Iraq: “mio padre è morto nel 2009, me l’hanno detto due settimane dopo, ero per strada che stavo andando al lavoro, mi sono fermato a piangere per strada”, ricorda. Ora torna di tanto in tanto per visitare la mamma. Quando lo racconta si commuove.  E’ l’unico momento in cui sembra scalfirsi per pochi secondi la forza serena di un uomo che va avanti col coraggio di chi sa il fatto il suo.

Caterina Longo

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