Viaggio nel ventre dell'Hotel Laurin, il gigante addormentato dal Covid

Gli hotel dell’Alto Adige sono chiusi da settimane e l’idea di percorrerne i lunghi corridoi desolatamente vuoti mi affascinava da qualche giorno. Non che volessi trasformarmi in un novello Danny Torrance, non avevo nessuna intenzione di slogarmi un’anca nel tentativo di appallottolarmi su un triciclo, ma una discreta passeggiata me la sarei fatta volentieri. Magari stando ben lontano dalla stanza 237 e pronto a fuggire alla prima apparizione di due gemelle in grembiule. L’idea si è concretizzata quando Franz Staffler, proprietario del Parkhotel Laurin di Bolzano, non solo ha accettato di aprirmi le porte dell’albergo, ma anche di farmi da guida. Le differenze con l’Overlook Hotel di Shining reso immortale da Stanley Kubrick sono subito apparse evidenti: la moquette dei corridoi del Laurin non ha nulla a che spartire con quella decisamente banale dell’Overlook e soprattutto, dalle pareti trasudano arte e design e non il sangue e le angosce che hanno reso immortale il film di Kubrick.

Al Laurin gli arredi rimandano a un’atmosfera di inizio Novecento perché, come precisato da Staffler: “Abbiamo conservato quanto possibile di antico, ma accordandolo con il nuovo. Quello che è stato possibile riutilizzare, maniglie, mobili, lampade o parti di esse, è stato reinserito nella nuova concezione progettuale che ha ispirato il restauro tra il 1991 e il 1993”. L’Alto Adige/Südtirol non è il Colorado, e il Laurin ne esprime il lato migliore in versione “indoor”. Ne sottolinea quella capacità di armonizzare il passato con il presente che, per esempio, si può ancora trovare sul Renon e molto meno in Val Gardena.

 

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Il Laurin è stato costruito nel 1910 e ha attraversato due guerre mondiali,  ma è stato il restauro dei primi anni Novanta, realizzato insieme all’architetto Boris Podrecca a renderlo quel che è oggi. Un luogo in cui tutti vengono accolti allo stesso modo, ovvero molto bene, attraverso un lusso che non è esposto grossolanamente, ma nascosto nei minimi dettagli: dall’esagramma riprodotto sui tappeti del bar, agli alberi in sequenza, quasi invisibili, realizzati da Marilù Eustachio per il ristorante, oltre, ovviamente, alle opere d’arte ospitate in giardino e nelle stanze dell’hotel “Abbiamo voluto offrire ai nostri ospiti la possibilità di avvicinarsi alle opere d’arte in un’atmosfera di intimità -precisa Staffler – e sin dalla fondazione, abbiamo provato a far dimenticare tutto ciò che riguarda l’inquietudine del viaggio, offrendo tutto ciò che fa sentire l’ospite a casa propria”.

Le stanze sono perfettamente in linea, nella prima che visitiamo, Staffler si allunga su divanetto per mostrarne la comodità e i rivestimenti e tutti i mobili in stile Liberty ancora utilizzabili sono stati conservati così come, le antiche doppie finestre e le preziose persiane in legno. Come detto,  l’hotel è praticamente chiuso, non incrociamo ospiti e di conseguenza il Laurin finisce per apparirmi come  un museo, un costosissimo museo. “Solo di manutenzione spendiamo almeno 500.000 euro l’anno, tra tubature, infissi, elettricità, giardino etc e, l’emergenza Covid ci ha costretti a bloccare gran parte degli investimenti previsti. La grande Spa che avevamo progettato è praticamente morta, proveremo a salvare il salvabile”. Staffler me lo racconta mentre ci incamminiamo verso la serra, una casa di vetro con vista sul roseto in grado di ospitare, ricevimenti, conferenze, cene o matrimoni. Terminata a inizio 2020, non è mai praticamente potuta entrare in funzione. Staffler me la mostra con un ben celato orgoglio, fa scendere dall’alto il lungo tavolo in grado di ospitare 38 persone e fa alzare magicamente l’opera d’arte che rappresenta una nuvola di radici per mostrare un modernissimo schermo “smart”. Tutto è curato nei minimi dettagli, le lampade le ha comprate personalmente in Inghilterra ed è evidente che doverla lasciare inutilizzata gli pesa tantissimo. “Non so quando potremo riutilizzarla, per noi la crisi proseguirà almeno fino a primavera, forse potremo aprire il bar un po’ prima, ma i nostri ingressi economici dipendono dall’occupazione delle camere, in questa situazione le stanze rimangono vuote indipendentemente dalle scelte dell’amministrazione locale. Noi viviamo soprattutto di ospiti d’affari e di turismo internazionale e se i secondi non sono potuti arrivare e non so quando potranno tornare, i primi si sono affidati allo smart working”.

Questo, probabilmente, costringerà la dirigenza dell’albergo a modificare il riposizionamento sul mercato: “Purtroppo, non solo non potremo investire come pensavamo, ma probabilmente dovremmo ridurre il personale. Per evitarlo cercheremo di puntare maggiormente sul turismo e su una clientela più qualificata, faremo il possibile per recuperare i numeri del fatturato degli anni precedenti, ma sarà molto complicato”.

Ovviamente, non è contento della risposta del governo di Roma all’emergenza Covid: “Siamo governati da una massa di incapaci che si limita a piccoli aiuti, dal monopattino al bonus vacanze, assolutamente inutili”. Difficile dargli torto, ma in questo caso emerge una mentalità tipica del territorio, per cui le indifendibili politiche del governo italiano finiscono per rendere difendibile qualunque politica dell’amministrazione provinciale. Non è una questione etnica, molto pragmaticamente, per troppo tempo qui non si è compreso come la questione sanitaria fosse terribilmente intrecciata con quella economica, non dovevano essere contrapposte. Staffler me ne da atto, ma poi preferiamo guardare avanti, al come ripartire quando l’emergenza sarà terminata. Perché quel riposizionamento di cui si parlava, non potrà ottenere i risultati sperati se non verrà accompagnato da profondi cambiamenti nell’offerta turistica della città. “La crisi spero possa limitare certi eccessi, penso, per esempio, al lago di Braies, ma andrà sfruttato al meglio il potenziale di una città come Bolzano. Il capoluogo non ha una propria identità turistica e non può essere legata al mercatino che comunque si può fare molto diversamente. La città ha potenzialità enormi su cui occorre lavorare professionalmente in maniera precisa e con un piano a lungo termine. Bolzano può contare anche su assi formidabili dal punto di vista culturale che non vengono adeguatamente sfruttati”.

Difficile dargli torto, ringrazio e saluto Staffler, pensando che i numerosi amministratori locali che frequentano assiduamente il bar del Laurin, forse farebbero meglio a chiedere a Erwin Kuprian come si accoglie un ospite, invece di limitarsi ad ascoltare le lamentele di imprenditori bulimici o a leggere i corsivi dei loro fratelli.

Nel frattempo, il sole ha finalmente fatto capolino tra le montagne illuminando le finestre del Laurin che ho appena visitato. Una luce che mi ricorda quella descritta da Marcel Proust ne “La strada di Swann”. “M’ero disteso sul letto con in mano un libro, nella mia stanza che proteggeva tremando la propria fragile e trasparente frescura contro il sole del pomeriggio dietro le imposte semichiuse, dove un riflesso di luce aveva tutta via trovato modo di far passare le sue ali gialle e stava immobile tra il legno e il vetro, in un angolo, come una farfalla in riposo“.

Ecco, quando potremo valutare meglio il “tempo perduto” in questo 2020, sarà opportuno prendersi un momento per “accordare” il nuovo con gli eventi accaduti in questi mesi. Perché di una cosa possiamo essere certi, nell’anno che verrà “non sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno”.

Foto: Annette Fischer / Andrea Fazzari

Massimiliano Boschi

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