"Le immagini perfette mi hanno stancato". Intervista al fotografo Davide Perbellini

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Bolzano/ Merano. “Sai cosa, forse sarebbe il caso di abbandonare Instagram, ormai scrolli, scrolli, vedi una foto in bianco e nero con un nido e un testo e la foto dopo è un palestrato o la ragazza in bikini e li ti fermi. E poi se ci pensi c’è una standardizzazione incredibile, l’algoritmo per i reel ti suggerisce una certa canzone perché è quella più utilizzata…eh sì, dai, facciamo tutti la stessa cosa, bravo!”.
È un sorriso amaro quello del fotografo meranese Davide Perbellini quando ci parla di come funzionano le immagini sui social. Il suo approccio è esattamente l’opposto. Attraversato da un’inquietudine e una testardaggine preziose, che forse derivano anche dalla sua seconda passione oltre la fotografia, quella per l’arrampicata, Perbellini prova a opporsi al vento che soffia, al mainstream e al già visto (ne avevamo parlato anche qui). Lo incontriamo per farci raccontare del suo nuovo progetto “Positive BN” che propone ritratti scattati in studio e in analogico, al banco ottico. Il risultato è una fotografia cartacea unica, che rimane come traccia irripetibile di un istante preciso, e solo quello.

Come nasce l’idea di “Positive BN”?

Per tanti anni ho scattato foto di architettura, poi quest’estate ho attraversato un momento di profonda crisi e ho sentito il bisogno di cambiare il soggetto, di confrontarmi con le persone. L’idea di fotografare con il banco ottico in positivo diretto mi è venuta anche sperimentando nei test per un altro progetto a cui tengo molto e che mi ha dato nuova linfa, il Ra-4 reversal – insieme ad Andrea Pizzini ci stiamo occupando della riattivazione del grande Cube di Christian Martinelli (fotografo scomparso nel 2022, ndr).

Il banco ottico che utilizzi ricorda le vecchie macchine dei fotografi del passato.

Si, è pesante ed è necessario investire del tempo, quando le persone si siedono per la fotografia capiscono subito che bisogna fare le cose con calma; invece, quando scatti in digitale è tutto molto più veloce, fai una foto al volo e via…

Quindi è una tecnica che permette di dilatare il momento.

Bisogna capire che quella foto è unica, stiamo registrando un momento che forse i figli i nipoti conserveranno…

A proposito, guardando il tuo lavoro ho ripensato a quanto mi ha detto Ferdinando Scianna in un’intervista, cioè che in passato la fotografia aveva un rapporto con la nostra dimensione esistenziale profondissimo per il suo legame con la memoria, ad esempio con gli album di famiglia. Non abbiamo mai fotografato tanto come oggi, la memoria degli smartphone è piena, eppure, le immagini sembrano aver perso di significato…

Racconto un dettaglio personale: ho una cartella nel computer che si chiama biografia con la scansione dei negativi delle mie foto dalla nascita e sai quando si interrompono? A 15 anni, quando è arrivata la macchina digitale in casa…Per me è fondamentale, l’ho sempre detto, lavoro per creare una memoria, il giorno che purtroppo non ci saremo più che cosa rimane di noi? I ricordi. Deve rimanere traccia di noi, l’album famiglia è importantissimo e lo sto facendo anche per i miei figli.


Un ritratto dal progetto Positive BN di Davide Perbellini, 2025, foto courtesy of the artist

Per te lasciare traccia significa  scattare in analogico e stampare?

Vedi, abbiamo una grande fiducia nel digitale, ma basta una nuova macchina o un aggiornamento per rendere un file inutilizzabile. Io ho un album con negativi, che per me è una sicurezza se se dovesse saltare tutto…poi è ovvio, il digitale è più comodo, se non sei un imbecille la fotografia viene fuori, se hai fatto una cavolata la sistemi. Ma l’approccio alla pellicola ti porta a rallentare, non scattare random, pensare a quello che stai andando a fotografare. È un processo più imprevedibile e c’è l’errore umano.

Errore a cui siamo diventati intolleranti…eppure non è quell’errore, quella sbavatura, che gli strumenti digitali cancellano, ma che invece può dare un senso e un fascino più profondo alle immagini, e non solo?

Sono d’accordo, è una cosa che ho vissuto anche nel fotogiornalismo. Una volta se portavi a casa una foto mossa, sgranata, amen, però ce l’avevi, avevi magari lo scatto della vita, e si accettava. Ora bisogna avere immagini perfette e queste immagini perfette mi hanno francamente stancato. (sorride)

Le immagini che circolano sono ormai standardizzate.

Seguono un canale mainstream, ma attenzione sono le foto che però a livello social – e questo dice tanto- hanno più seguito.

Come hai vissuto il passaggio dall’analogico al digitale?

Durante gli studi scattavo in analogico poi al lavoro sono partito in digitale e ho sperimentato la svolta. Ad esempio, negli anni in cui lavoravo per il quotidiano Alto Adige mi raccontavano di fotografi prima di noi, che c’era una particolare attenzione nella fotografia…per un paio d’anni ho provato a scattare seguendo una certa cifra personale, ma mi sono reso conto che era inutile, le immagini concettualmente troppo ricercate non funzionano per la stampa. E poi mi dicevano ‘tanto va il giornalista con l’iPhone’. L’ho notato anche nella fotografia di architettura –  la maggior parte delle fotografie sono tutte uguali, non conta più la ricerca di un proprio stile.

Davide Perbellini, Trittico, parte del progetto Positive BN, 2025, foto courtesy of the artist

Tornando invece ai ritratti del tuo ultimo progetto “Positive BN”, come reagiscono le persone?

La cosa bellissima è che c’è un rispetto profondo dell’attimo che si sta vivendo – le persone devono stare ferme per qualche secondo e non siamo più abituati a farlo. Poi c’è un’emozione incredibile quando vedono emergere la fotografia in camera oscura, l’immagine ci mette circa un minuto a comparire. I giovani non conoscono questa tecnica, ed è anche un motivo per cui mi piacerebbe molto portarla nelle scuole, come ho fatto in passato con la cianotipia.

Tu fotografi e ti arrampichi, come si coniugano queste due cose ?

In passato erano due aspetti della mia vita che tenevo separati, anche per paura di essere considerato meno professionale come fotografo…ma poi sono arrivato a un punto in cui mi sono detto si, sono un fotografo e un allenatore di arrampicata, perché devo scindere le due cose? Sono due passioni viscerali, due processi che vanno di pari passo: le idee migliori mi arrivano quando mi arrampico o sono nel bosco.

Caterina Longo

Immagine in apertura: Davide Perbellini (dettaglio), 2025, foto courtesy of the artist

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