Berise, la voce reggae del Renon che canta l'anima ribelle del Sudtirolo (e sfida Achammer)

Nessuno lo direbbe, ma lama andini, mucche giapponesi e musica reggae hanno due cose in comune: la passione per “l’erba” e il Renon. Il viaggio sull’altopiano che sovrasta Bolzano non smette di sorprendere. Tra le sue pendici, infatti, la Volksmusik ha trovato un concorrente nato a ottomila chilometri di distanza. Il genere musicale reso celebre da Bob Marley, riscuote un notevole successo tra Auna di Sotto e Collalbo grazie alla band multilingue e multietnica degli Shanti Powa e soprattutto al loro front-man: Bertrand Risè aka Berise. Ultimamente si è fatto notare anche senza il resto degli “Shanti Powa” grazie al brano “Es isch Zeit” “rappato” insieme a “Casa Roccia”. Una risposta che intendeva essere rapida e «chirurgica» al video prima pubblicato, poi rimosso, da Jürgen Wirth Anderlan, comandante degli Schützen. La chiacchierata con Berise è partita proprio da questo: «Per noi – premette – si trattava di sottolineare che il rap, tipica espressione della cultura black negli Stati Uniti non può essere utilizzato, per altro malissimo, per veicolare un messaggio che ritengo razzista. Niente di personale contro gli Schützen, ma abbiamo deciso di rispondere per le rime ad Anderlan, utilizzando i suoi stesso cavalli di battaglia a partire dalle uova e da Andreas Hofer…». (Il titolo «Es isch Zeit/E’ giunto il momento» è un notissimo slogan dell’eroe tirolese Ndr).

https://www.youtube.com/watch?v=df4PAixq1Ao&feature=emb_title&ab_channel=RauschKind

Inevitabilmente, con Berise siamo finiti a parlare dell’immagine «tradizionale» del Sudtirolo. «Rappresentarsi come un paradiso tra le montagne in cui tutti stanno bene serve soprattutto a fini turistici. E’ propaganda, ma purtroppo funziona ancora, soprattutto tra chi abita tra queste montagne. Non è vero, ma ci credono. Si rifanno continuamente a Dio, Patria e Famiglia, ma, anche qui, contano soprattutto i soldi». Anche questa volta, Berise ha preferito raccontarlo a modo suo, attraverso un rap in dialetto sudtirolese «Südtiroler rudebua» (Rude boy sudtirolese, un ragazzo che dice quello che pensa) che ci ha fatto ascoltare in anteprima. Causa Covid la pubblicazione è stata rimandata al mese di marzo, la traduzione non è stata semplicissima, ma il messaggio è chiarissimo: «Mi sento solo, sono a casa, ma non mi sento a casa. Dalla testa alle gambe non sono uno che si adatta”. In particolare, Berise non si adatta allo sguardo verso il “diverso” che, nonostante gli aspetti “esotici”, colpisce anche il Renon. Un’altra strofa del brano lo spiega in maniera molto diretta: “Da noi nelle montagne si sta bene, ma non tutti però. Se sei gay o italiano o nero, generalmente da noi non si è considerati normali. Perché l’hater sudtirolese non apprezza».

Dal «vivo» Berise argomenta con maggiore precisione: «E’ un atteggiamento diffuso, ma, ovviamente, non colgo solo gli aspetti negativi di questo territorio. In Sudtirolo il senso di comunità è molto forte e in questi tempi di pandemia in cui non posso andare in giro per concerti, ho lavorato nei campi per tredici contadini diversi. Una mano ce la diamo sempre, al di là delle opinioni differenti». La pandemia e il conseguente lockdown non hanno bloccato la sua creatività, ma gli hanno impedito di vivere della sua musica. «Dall’assessore provinciale alla cultura tedesca (Philipp Achammer, ndr) sono arrivate molte parole e pochissimi fatti e noi musicisti non stiamo guadagnando nulla. Fatichiamo anche a farci ascoltare». Ma non è solo questo che lo ha spinto a buttarmi lì la sua candidatura a sostituirlo. Scherzava, ma nemmeno troppo. «Voglio diventare Assessore provinciale alla cultura e prima o poi ci riuscirò. Perché a differenza di molti altri, ascolto quello che mi viene detto e sono una persona empatica».

Tanto valeva chiedergli il primo punto del suo programma: «Darei la stessa importanza a tutti i tipi di musica, non esistono solo la Volksmusik e la classica. Le alternative ci sono anche qui e non tutte si rifanno alla tradizione locale. Prenderei ispirazione dal modello francese, finanziando attraverso un fondo mensile tutto il mondo culturale compresi i tecnici, i fonici, i videomakers…. Non la considero una soluzione all’emergenza Covid, credo sarebbe un modo efficace per far compiere un salto di qualità a tutta la cultura locale, non solo quella che non si interessa minimamente a quel che succede fuori di qui. Sarebbe una spinta a renderci più internazionali».

Massimiliano Boschi

di Massimiliano Boschi

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