“Aspettando Risciò”: in missione per salvare il teatro

Sono invecchiato aspettando Godot
Ho sepolto mio padre aspettando Godot
Ho cresciuto i miei figli aspettando Godot
(Claudio Lolli)

Al termine di un’altra stagione di Covid, Caterina Simonelli e Marco Brinzi sono tornati in Alto Adige e, smessi i panni di Arlecchino e del Dottor Balanzone dell'”Arlecchino da marciapiede”, hanno indossato quelli di Vladimiro e Estragone di un “Aspettando Godot” trasformato in “Aspettando Risciò”.
Lo hanno fatto per chiedersi (e chiederci) cosa dobbiamo aspettarci dal futuro, se l’attesa si può ingannare e soprattutto chi siamo o, ancor meglio, cosa siamo diventati.
Domande difficili a cui, ovviamente, è impossibile dare una risposta definitiva, ma al termine delle loro “incursioni” almeno una, parzialissima, la si può fornire, a patto di non lasciarsi ingannare da bombette e gilet da Vladimiro e Estragone o dalle citazioni di altre notissime coppie teatrali e letterarie: Rosencratz e Guildersten, Don Chisciotte e Sancho Panza, Paolo e Francesca, Don Giovanni e Sganarello, Renzo e Lucia….

Perché, fatte le debite proporzioni, Brinzi e Simonelli altro non sono che dei novelli “Blues Brothers” che, invece di essere impegnati nel salvataggio di un orfanotrofio per conto di Dio, provano a salvare il teatro per conto di Walter Zambaldi, direttore del Tsb di Bolzano.
Una sana coscienza ecologica gli ha impedito di farlo a bordo di una Dodge Monaco acquistata a un’asta di auto usate della polizia di Mount Prospect e provano, quindi, a portare a termine la missione pedalando su una ciclo-carrozzella acquistata a Rimini e riadattata a Bolzano, detto altrimenti su un “risciò mari e monti”. Perché è inutile nasconderlo, questi anni Venti del duemila rimandano direttamente al tragico elenco di scuse “piagnucolate” da Jake “Joliet” Blues alla sua ex fidanzata abbandonata sull’altare nel celeberrimo “monologo delle cavallette”.

A complicare la “missione” di Brinzi e Simonelli non sono, però, tutte le forze dell’ordine dell’Illinois, nazisti compresi, ma quelle di un pubblico che dopo mesi di lockdown e restrizioni fatica a riappacificarsi con la vita sociale e con luoghi e modalità condivise.
Brinzi e Simonelli, dopo una settimana trascorsa su e giù per vie e piazze dell’Alto Adige, ne sono perfettamente coscienti: “Tutti sembriamo aspettare qualcosa che non arriva, nel frattempo ci intratteniamo con i cellulari, sommersi da immagini e informazioni che ci tengono lontani dal presente, dal qui e ora di cui vive il teatro. Anche per questo siamo partiti da Aspettando Godot di Samuel Beckett”.
In “Aspettando Risciò” il coinvolgimento del pubblico è auspicato, previsto e incentivato, anche se un secondo anno di pandemia ha complicato il lavoro. Caterina Simonelli si mostra comunque ottimista: “Noi notiamo una grande voglia di stare insieme, è vero alcuni comportamenti si sono rafforzati, i bambini sono più agitati e il pubblico, a volte, appare, almeno inizialmente più diffidente. Ma va precisato che ci confrontiamo con un pubblico che non paga il biglietto, che spesso inciampa nei nostri spettacoli. Persone che importuniamo e che spesso non frequentano il teatro. Questo stupisce a affascina, ma a volte veniamo visti semplicemente come quelli che distruggono la quiete, come ci è capitato in maniera clamorosa in una data in Val Pusteria”.

Esperienze che possono risultare frustranti e faticose, ma che entrambi trovano estremamente formative: “E’ una palestra mostruosa che restituisce il senso profondo del nostro mestiere. Shakespeare sosteneva che tutto il mondo è un palcoscenico, ma durante gli spettacoli itineranti si scambiano i ruoli e troviamo un modo di stare insieme che ha molto a che fare con il senso del teatro. Noi, ovviamente, siamo attori non artisti di strada, solitamente recitiamo nei teatri, ma questa esperienza ci ha mostrato come il palcoscenico finisca per instaurare un rapporto di potere. Per strada invece, siamo tutti sotto lo stesso cielo, siamo dei celebranti di un rito, non c’è un prodotto, si crea una relazione e ci siamo accorti che a volte, salendo su un palco ci prepariamo a uno scontro più che a un incontro”.

Per completare la non semplice “missione” servono alcuni paletti che, in conclusione di intervista, Brinzi e Simonelli ricordano a scarso di equivoci: “In gran parte d’Italia, il costo dei biglietti è aumentato a dismisura, allontanandolo soprattutto dalle famiglie, ma non possiamo fare teatro solo per quelli che possono permetterselo. Il teatro deve essere accessibile a tutti fosse solo perché è finanziato dalle tasse di tutti. Chi ci lavora non dovrebbe mai dimenticare che sta svolgendo un servizio pubblico, in Alto Adige, al Teatro Stabile in particolare, questa attenzione è evidentissima, altrove, purtroppo, molto meno”.

Massimiliano Boschi

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