Il leone a Bolzano. La scomoda mostra "Inhabited Dissonance" sull'eredita fascista

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Bolzano. La mostra Inhabited Dissonance. Bozen Bolzano 1922–2025, ospitata alla Galleria Civica fino al 23 novembre prossimo, è una mostra “scomoda”, non solo perché si occupa delle tracce lasciate a Bolzano dal fascismo, ma anche perché per vederla bisogna piegarsi, alzare la testa, abbassare lo sguardo, salire gradini …e non esistono didascalie e lunghi testi a parete a rassicurarci e annoiarci allo stesso tempo, come succede spesso nelle mostre (ma niente paura, le informazioni sono contenute in un esauriente libricino a disposizione del pubblico).
“Si crea l’invito a compiere un’azione, il fatto del doversi piegare serve a ricordare che le cose di cui stiamo parlando non sono semplici, hanno diverse interpretazioni” ci spiega Roberto Gigliotti,mentre camminiamo sulla moquette che accompagna il percorso espositivo, attutendo ogni passo. Docente di Interior and Exhibit design di unibz, Gigliotti ha curato la mostra insieme a Elisabetta Rattalino (unibz), Lisa Mazza (BAU) e Angelika Burtscher e Daniele Lupo (Lungomare).

Inhabited Dissonance Inhabited Dissonance. Bozen Bolzano 1922–2025, exhibition view. Foto Tiberio Sorvillo.
Il progetto di allestimento della mostra è di Claudia Mainardi (Fosbury Architecture)

Non è storia nuova: i monumenti e le architetture fasciste a Bolzano sono stati e tornano a essere, ciclicamente, oggetto di polarizzazione politica, di cui il contestato Monumento alla Vittoria di Marcello Piacentini è il simbolo più noto. La mostra alla Galleria Civica -legata a un progetto di ricerca interdisciplinare della Facoltà di Design e Arti- non si focalizza però sulle solite questioni eclatanti. Inhabited Dissonance lavora piuttosto in controluce sugli interstizi, sulle tracce visibili e invisibili conservate negli archivi e nella memoria collettiva e racchiuse nei luoghi che attraversiamo ogni giorno. “La mostra indaga le loro risonanze e dissonanze e invita a un rapporto più consapevole con lo spazio pubblico – un rapporto che contrasti possibili strumentalizzazioni” sottolinea Gigliotti.

È un approccio interessante, che invita a aprire gli occhi su quello che la città “dice” attraverso la sua architettura, le sue forme e le sue scritte. Come scrive Italo Calvino nella sua critica alla “città scritta”, le epigrafi e iscrizioni non sono solo decorazioni, ma un linguaggio che racconta storie e invia messaggi, definendo una relazione di potere. Non a caso una delle nuove installazioni in mostra porta il titolo “A Written City”: l’intervento volutamente ambiguo di Gianluca Camillini e Benedetta De Rossi può essere visto e toccato dal pubblico, o semplicemente ignorato, come le architetture della città che ogni giorno percorriamo.

L’opera di Eduard Freudmann, von Jetztzeit erfüllt, 2025, esposta nella mostra Inhabited Dissonance.
Bozen Bolzano 1922–2025. Foto Tiberio Sorvillo

Come noto, l’italianizzazione voluta dal fascismo per Bolzano, città di confine “conquistata” durante la prima guerra mondiale, passa anche attraverso l’architettura: Bolzano doveva avere un volto nuovo, un volto italiano (ne abbiamo parlato anche qui). In mostra, le tavole del 1935 illustrano gli interventi auspicati per il centro storico e mai concretizzati del piano regolatore piacentiniano, come ad esempio l’allargamento dei portici – quello che emerge è anche la visione segregazionista sulla città, con una suddivisione ben precisa tra quartiere operaio e borgate “rurali” e popolari. Le tavole sono poggiate a terra, si è obbligati a chinarsi (l’avevamo detto che è una mostra scomoda) ma il bello è che si possono prendere in mano e toccare, in quanto copie dei documenti originali, come molte opere in mostra.
La visione zenitale di Piacentini è “calata dall’alto”, ma dove va a posarsi o, meglio, dove piomba? Su questo si interroga il toccante lavoro Landing di Gaia Piccardo, che attraverso le fotografie storiche di Sergio Perdomi e documenti d’archivio ci mostra le abitazioni scomparse per far posto al nuovo Foro della Vittoria (odierno corso Libertà) immergendoci nel cantiere di un’operazione che costa demolizioni ed espropri dolorosi: “(…) la somma di risarcimento offerta dal Comune di Bolzano non arriva neppure a coprire le ipoteche gravanti sulla casa (…) L’esproprio significa perciò l’annientamento della famiglia” si legge in un documento comunale del 1934 sulla famiglia Trafojer.

Quando a Bolzano c’era il leone

Il regime demolisce e costruisce, ma si impone anche attraverso interventi botanici, con flora e  fauna. Nell’attuale Parco Petrarca, pini, tamerici e cespugli di bosso rimangono come testimonianza di uno dei rari esempi di arte dei giardini di epoca fascista. Nello slideshow in mostra scopriamo che negli anni trenta il parco si anima anche con la presenza di animali, aquile – donate dalla Val Gardena- e addirittura un leone (!), la cui iconografia era spesso associata al Duce. Dalle belve feroci alla fattoria il salto è breve: le aquile cominciano a perdere le penne, e le gabbie ospiteranno poi animali più innocenti, come porcellini d’india, conigli, criceti, pavoni e galline. Al posto del leone arrivano gli orsi – e qui il pensiero dei bolzanini corre al celebre Orso Pippo.

Roberto Gigliotti, co -curatore della mostra Inhabited Dissonance, davanti alle fotografie di Stefano Graziani
Foto Venti3

La battaglia culturale per una Bolzano italiana tocca anche il patrimonio storico artistico, come ad esempio il complesso dei domenicani e gli affreschi trecenteschi della Cappella di San Giovanni, tirati in ballo come “prova” di italianità artistica della provincia in articoli e pubblicazioni, presentati nel percorso.
Diversi documenti ritrovati da Elisabetta Rattalino testimoniano poi la mobilitazione dei monumenti come veicoli simbolici messa in atto dal fascismo. E’ il caso, tra gli altri, della statua di Walther von der Vogelweide, considerato traccia scomoda del recente passato austro ungarico. Al suo posto nell’odierna piazza Walther ne doveva sorgere una dedicata a Nerone Claudio Druso, sulle cui vicende varrebbe la pena continuare a ricercare.
Ma la mostra racconta anche di un dopo il fascismo: dei nuovi utopistici progetti per ricucire la frattura tra centro storico e “città nuova” come quello dell’architetto Oswald Zoeggeler nel 1979. Le opere di Karin Welponer e Jakob De Chirico sul Monumento alla Vittoria dimostrano che l’arte ha il potere sovversivo di disinnerscare e appropriarsi di certi simboli, aprendo nuove vie verso una loro contestualizzazione.
Tra i diversi lavori contemporani, la traccia audio dell’artista Ela Spalding, A River Time, relativizza le correnti ideologiche mettendole in relazione con i cicli dell’acqua. Come accennato, Inhabited Dissonance è una mostra scomoda, con un allestimento sofisticato e sfidante, che è mezzo e messaggio di un contenuto, e di un approccio, più che mai necessari. Ed in cui, al di là di tutto, molti bolzanini e bolzanine possono trovare tracce di ricordi e memorie preziose, come l’anziana signora che ci raggiunge emozionata durante la visita, chiedendo a Gigliotti un contatto dell’Archivio storico di Bolzano “Nel piccolo monitor ho visto la foto di casa dei miei, che è stata distrutta…”.

Caterina Longo

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