
Tagli cesarei, l'Alto Adige modello "virtuoso"? Parola al primario Martin Steinkasserer
Bolzano. Circa 140 milioni: tante sono, secondo l’OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità, le nascite che avvengono ogni anno nel mondo. La maggior parte si svolge senza complicazioni, a dimostrazione del fatto che il parto è un evento fisiologico e non una malattia. Eppure, da oltre 40 anni in Italia -e in altri paesi europei, tra cui la Germania e la Svizzera- si è assistito a un progressivo aumento dei tagli cesarei, di pari passo con una medicalizzazione del parto. Facendo un passo indietro, dal 1980 al 2000 il ricorso al cesareo ha conosciuto un exploit sul territorio nazionale con un incremento del 196%, e picchi che arrivano fino al 500% nelle regioni del Sud.
La tendenza non si è arrestata nei decenni a seguire; in base agli ultimi dati disponibili, la media italiana di cesarei nel 2023 era del 30,3%, quindi ben oltre le raccomandazioni fissate nel 2018 dell’OMS che indica un 10-15% come valore ottimale di parti cesarei sul totale. “Vogliamo che le donne partoriscano in un ambiente sicuro con ostetrici esperti in strutture ben attrezzate. Tuttavia, la crescente medicalizzazione dei normali processi di parto sta minando la capacità di una donna di dare alla luce un figlio e influisce negativamente sulla sua esperienza di nascita” scrive l’OMS.
L’Istituto Superiore di Sanità ha inoltre sottolineato più volte come in Italia il ricorso al parto cesareo sarebbe eccessivo e non sempre motivato, evidenziando, come sopra accennato, il grande divario tra le regioni del Sud e quelle del Nord: se nel 2023 la percentuale di parti cesarei in Toscana era del 17%, in Campania toccava addirittura il 42,7% (dati relativi al 2023). Con un 21% di parti cesarei sul totale delle nascite nel 2023, la Provincia di Bolzano rientra tra i territori più virtuosi a livello nazionale (fonte: Azienda Sanitaria dell’Alto Adige).
Ma perché questo divario tra le regioni? Lo abbiamo chiesto a Martin Steinkasserer, Primario del reparto di Ginecologia e Ostetricia dell’Ospedale di Bolzano, che insieme a Brunico, Bressanone, Merano e Silandro è uno dei cinque punti nascita dell’Alto Adige. “Meno un punto nascita è adeguato -o dal punto di vista strutturale o del personale- e più emergono timori, che per certi versi possono anche essere giustificati, se so di avere lacune è importante prevenire e proteggersi e il parto cesareo può sembrare una buona soluzione. Anche se a posteriori non è la decisione migliore perché ha conseguenze che possono essere nell’immediato post partum, ma anche su una prossima gravidanza”, ci ha risposto Steinkasserer, che su un punto non ha dubbi “diminuire o tenere basso il tasso di tagli cesarei primari vuol dire effettivamente migliorare la vita della donna”.
Martin Steinkasserer, primario del reparto di Ginecologia e Ostetricia dell’Ospedale di Bolzano.
Foto courtesy Azienda Sanitaria dell’Alto Adige
Cosa fanno di diverso i territori in cui si praticano meno cesarei e le donne partoriscono in modo naturale? “Un numero ridotto di cesarei dipende da una combinazione di diversi fattori, per quando ci riguarda abbiamo sempre avuto molta attenzione per questo aspetto, grazie anche alle strutture e alla pianta organica a disposizione – certo qui la situazione è diversa rispetto a un ospedale in Calabria. In altre realtà c’è poi una spiccata attenzione verso problematiche giuridiche, a cui viene data un’importanza talvolta esagerata, che da noi è minore, perché ci si sente preparati e c’è un attento percorso nascita, che rende le donne e le famiglie molto più partecipi, seguite e informate –una collaborazione tra chi deve partorire e chi deve gestire la parte clinica e psicologica della gravidanza” ci risponde Steinkasserer.
Al di là dei casi in cui è veramente indicato e necessario per problematiche legate alla gestante o al feto, ci chiediamo se il ricorso ai cesarei non sia anche frutto di una certa mentalità che ricerca il controllo e del voler programmare ossessivamente ogni singolo aspetto della vita…“È vero, anni fa il parto era una cosa totalmente naturale, ma bisogna considerare che i rischi per la donna e i bambini erano molto più alti di adesso e il tasso di mortalità materna e fetale non era paragonabile a quello di oggi. C’è stato poi un periodo di medicalizzazione assoluta, le sale parto sembravano sale operatorie e sono aumentati gli interventi ostetrici, con i tagli cesarei e le nascite col forcipe o con la ventosa” ci dice il Primario, notando però che “questa tendenza di medicalizzare in maniera assoluta il parto è in regressione perché si è capito che è e deve rimanere il più naturale possibile. Ma attenzione, non possiamo permetterci di aumentare i rischi. E in questo la diagnosi precoce aiuta molto, ci permette di valutare bene quale donna debba affrontare un eventuale taglio cesareo e quale – e qui parlo della stragrande maggioranza – può partorire in maniera naturale”. Insomma, il “lavoro” da fare è prima del parto, che non va quindi considerato un evento a sé e che avviene quel giorno e basta, ma che è inscritto in un percorso di preparazione strutturato “in cui tutti gli aspetti di una gravidanza vengono presi in considerazione e in cui la diagnosi prenatale permette di individuare prima eventuali problematiche metaboliche, cardiache o un’ipertensione arteriosa – tutti aspetti che vanno colti per tempo con un counseling adeguato”.
Forse l’aumento dei cesarei ha anche a che fare con il progressivo innalzarsi dell’età in cui si ha il primo figlio? “Certo, le patologie associate alla gravidanza cambiano con il tempo: se a 20 anni una donna ha un probabilità minima di avere la pressione alta a 45 anni le cose sono diverse” dice il primario, che insiste sull’importanza delle diagnosi prenatale “è fondamentale perché ci permette di discriminare chi è a rischio e chi non e nel pubblico, mi permetto di dirlo, siamo bravi a farlo”. A proposito di sanità pubblica, l’alto tasso di cesarei sarebbe legato, secondo l’Istituto Superiore di Sanità, anche al ricorso a strutture private “che può andare bene, ma è importante che il percorso nascita sia condiviso con il pubblico, altrimenti ognuno fa valutazioni diverse e questo può aumentare il rischio per un parto che potrebbe presentare difficoltà a causa di eventi inaspettati, che portano poi a un aumento dei parti cesarei” dice Steinkasserer. E a proposito della sanità pubblica ci tiene a sottolineare che “In Italia abbiamo un Servizio Sanitario Nazionale che è il migliore in Europa, c’è il problema che è sotto finanziato, ma il pensiero che sta alla base è fantastico, molto meglio di quello vedo in Austria o in Germania … lavoriamo con meno soldi con la stessa efficacia”.
A proposito, ma i costi saranno più alti e risvolti organizzativi più complessi se si vuole essere “attenti” e ridurre i cesarei ai casi in cui sono realmente necessari? Qui Steinkasser rassicura “se riduci il tasso di complicanze, e la necessità di ricoveri acuti, se riduci gli esiti non ottimali della gravidanza e del parto con interventi preventivi si riducono anche i costi… in un sistema in cui si ha un’assistenza migliore e un impegno per far funzionare un programma di accompagnamento al parto, con visite durante la gravidanza, le spese non sono più alte in rapporto a un sistema in cui le cose non sono organizzate al meglio” conclude Martin Steinkasser.
Caterina Longo
Immagine in apertura: Foto di Filip Mroz su Unsplash