Thomas Mair, il designer degli oggetti intelligenti per un futuro sostenibile

A Thomas Mair piacciono le sfide: “non bisogna mai arrendersi e pensare che qualcosa non sia possibile, dobbiamo solo porci le domande giuste” ci racconta al telefono mentre lo raggiungiamo in una mattina piovosa ad Eindhoven, in Olanda, dove abita e lavora (attualmente per la società Flex/design). Cresciuto a Prato Isarco in Alto Adige, dopo la scuola geometri e qualche giro per il mondo -dall’Australia a Londra- Mair (Bolzano, 1998) si è trasferito in Olanda, dove ha studiato alla Design Academy di Eindhoven, lavorando già durante gli studi come product designer per Raak Desing e Anex, BlueCorner e Grindosonic. Nonostante la giovane età, Mair ha all’attivo diversi prototipi di oggetti, tutti animati da una fortissima attenzione alla sostenibilità e all’ambiente. Estetica pulita, semplicità e funzionalità caratterizzano i suoi oggetti funzionali, ma soprattutto capaci di guardare al futuro, senza voli pindarici “ogni giorno ci sentiamo ripetere che dobbiamo cambiare i nostri comportamenti e fare di più per l’ambiente, ma è difficile immaginarsi gli effetti che le nostre azioni avranno realmente sul futuro. Con gli oggetti che concepisco vorrei mostrare il futuro come se lo stessimo già vivendo”, racconta. A proposito di futuro, iniziamo la chiacchierata partendo da Kara, la macchina da caffè “sostenibile” progettata dal giovane designer pensando all’intero ciclo di vita, incoraggiando manutenzione e riparabilità.

Cosa rende la tua macchina da caffè “Kara” un prodotto sostenibile?

Oggi molti elettrodomestici sono delle “black box”, non si sa cosa contengono, come funzionano… in realtà sono macchine composte da diverse parti, se le costruiamo in modo che non sia possibile aprirle non avranno lunga vita.  La macchina che ho concepito è strutturata per moduli, in cui ogni singola parte è riparabile in sé, senza che il resto sia compromesso, così il suo ciclo di vita si allunga molto.

La macchina da caffè “Kara”. Foto courtesy Thomas Mair

Una cosa che si sente dire comunemente è che la parte elettronica ha preso il sopravvento rispetto alla meccanica, rendendo tutto più complicato nel momento della riparazione

Da un lato è tutto più complicato ma ad es. nella macchina del caffè il computer può aiutare a segnalare guasti e dare informazioni preziose, il problema sta più nel fatto che in genere solo le ditte produttrici hanno accesso ai dati dei prodotti e questo rende tutto più complicato, tutto sarebbe più semplice se ci fosse i dati fossero open source.

La tua macchina verrà prodotta?

Ho avuto qualche colloquio e riscontrato interesse, ma al momento rimane ancora un prototipo.

Sarebbe molto costosa da produrre e acquistare?

In realtà non molto rispetto alle macchine da caffè più diffuse! Anche se una macchina che dura 20 anni non è un buon affare per la ditta che la produce… ma esistono diverse possibilità e del resto sappiamo che il modello di business delle macchine da caffè più comuni è basato sul fatto che si è legati all’acquisto di forniture di capsule.

La struttura modulare della macchina da caffè Kara. Foto Femke Reijerman, courtesy Thomas Mair

Altri oggetti che hai progettato?

Ad esempio “Level”, uno strumento a forma di disco (giroscopio) che viene collegato ad un software e traduce semplici movimenti della mano in suoni. È concepito per “crescere” insieme a chi lo usa: all’inizio è molto semplice da programmare, poi le possibilità di composizione si evolvono e diventano più complesse grazie all’interazione prolungata.

Uno strumento per comporre musica insomma

Si, ma pensato in maniera semplice, rispetto agli apparati con decine di tasti.

Tra gli oggetti che hai programmato c’è anche un set da cocktail per lo spazio…

Si, con “Zero Gravity Cocktail Set” ho voluto mostrare come funzionerebbe bere un cocktail in assenza di gravità, nello spazio…

Non ha l’aspetto molto invitante, ricorda un po’ una siringa

Nello spazio non possiamo utilizzare bicchieri a causa della mancanza della forza di gravità, da qui nasce questo set, piuttosto sterile ed era mia intenzione provocare una certa repulsione … Si parla di viaggi privati nello spazio, ma come sarebbe, nel concreto? Lo vogliamo veramente? Credo che la forza del design sia proprio questo, portare nella realtà cose che altrimenti difficilmente riusciremmo ad immaginarci.

Di cosa bisogna tenere conto come product designer?

Devi avere tutto sotto controllo e non lasciarti scoraggiare, se qualcosa sembra impossibile, a volte occorre fare un passo indietro e capire perché non ti sembra possibile.

Come nasce in te la passione per gli oggetti?

Fin da piccolo mi interessava sapere come funzionano le cose, mi ricordo che avevamo un mixer e mi piaceva studiarlo … anche se non sapevo cosa facesse esattamente un product designer  sapevo che era quello che volevo fare. Non c’è nulla di meglio che fare un lavoro in cui crei cose che rendono la vita delle persone migliore.

Ti piacerebbe un giorno tornare in Alto Adige?

Al momento non ho piani in particolare, salvo quello di tornare per venire a trovare i miei genitori. Quello che mi piace qui in Olanda è che è tutto piuttosto vicino, basta salire su un treno.

E come te la cavi con l’olandese?

(ride) … ancora non lo parlo, eppure non sarebbe difficile per me partendo dal tedesco, ma appena sentono che non sono di lì iniziano a parlare inglese, e così è difficile impararlo!

Un fenomeno di cui si lamentano anche molti italiani a Bolzano. A parte tutto, cosa vorresti fare da grande?

Diventare sempre meglio in quello faccio, per il resto non si può sapere cosa farò tra 20 anni, non è detto che sia lo stesso di adesso. Spero di rimanere sempre un “principiante” nel senso positivo, cioè di capace di guardare alle cose con occhi sempre nuovi, cercando sempre nuove soluzioni.

Caterina Longo

Immagine in apertura: Thomas Mair

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