
“Fuori gli straccioni!” L’accoglienza, non solo turistica, del ricco Alto Adige
“Se non avete i soldi non venite all’Alpe di Siusi!”. Era l’estate del 2024 e il giornalista, noto autore di guide turistiche, veniva apostrofato così per aver chiesto all’addetto l’accesso al parcheggio gratuito, situato a venti minuti di cammino da quello a pagamento. Il giornalista, ovviamente contrariato, si è, quindi, recato all’ufficio turismo locale per “denunciare” l’accaduto e gli è stato consigliato di parlare con il direttore degli impianti di risalita, ma ha preferito lasciar perdere. Nonostante questo, sono stati presi dei provvedimenti per evitare che il problema si ripetesse: ora quel parcheggio gratuito costa 15 euro, questione risolta.
Che le parole del posteggiatore non fossero campate per aria ce lo conferma anche una lettera inviata a “L’altra montagna” da L.G., un turista che ha avvertito “la sgradevole sensazione di essere diventato solo un portafoglio da svuotare”.
Questo il racconto: “Poiché il costo dell’autobus Alpe di Siusi Express (linea 10) è esorbitante per un tragitto di soli 6 chilometri (€ 28,50 per gli adulti e € 17,00 ridotto), essendo la mia famiglia composta di tre persone abbiamo programmato di arrivare sull’Alpe con l’auto, accettando di pagare ‘solo’ il costo del parcheggio, comunque carissimo, di € 28,50 al giorno. Arrivati alle ore 8:30 l’addetto al traffico ci ha bloccati, dicendo che i posti al parcheggio erano esauriti e che dovevamo necessariamente prendere il citato autobus o l’impianto di risalita di Siusi allo Sciliar, il cui costo pure ammonta a € 28,50 a persona. A quel punto, stando già a metà strada, abbiamo deciso di parcheggiare l’auto all’InfoPoint e di prendere l’Alpe di Siusi Express (linea 10), pagando ben € 74,00 (€ 28,50 x 2 adulti + 1 ridotto da € 17,00), ripeto, per un tragitto di soli 6 chilometri”.
Un atteggiamento che ha spinto L.G a concludere: “È stato bello finché sono stato ‘a casa’, ma ora è tempo di traslocare, almeno fino a quando l’Alto Adige non ritroverà quella genuinità che lo ha reso per anni una meta tanto amata, creando legami che oggi sono stati spezzati dalla brama del profitto. Viva le Dolomiti (che, per fortuna, non sono solo altoatesine)!”.
Si dirà che l’Alto Adige non è solo l’Alpe di Siusi, magari no, ma altre località gli somigliano molto. Per esempio, sono passate poche settimane da quando una nota giornalista è giunta a Bolzano per presentare il suo ultimo libro in un’affollatissima presentazione pubblica. Ancora prima di sedersi al ristorante per la cena post presentazione, la giornalista ha chiesto ai commensali: “Ma a Bolzano che aria tira? Oggi ho chiesto un bicchiere d’acqua del rubinetto in un bar, dovevo prendere una medicina, e me l’hanno fatto pagare un euro e mezzo. Qui nessuno ha mai sentito parlare di San Francesco?”. Si precisa che la giornalista era “in tour” da mesi per presentare il libro e non le era mai successo nulla di simile.
La questione è nota, in Alto Adige anche l’acqua potabile del rubinetto è diventata un “lusso”. Ad agosto scorso avevamo pubblicato la lettera di una turista che si lamentava anch’essa del costo dell’acqua del rubinetto: “Il soggiorno in albergo prevede la mezza pensione per cui spesso per il pranzo usufruiamo di locali della stessa località o dei paesi limitrofi. Con stupore ho notato che l’acqua in caraffa viene addebitata a costi variabili fino ad arrivare al prezzo di 4,00 Euro, che considero del tutto esagerato. Richiediamo l’acqua in caraffa non per risparmiare, ma perché essendo in una località di montagna riteniamo assurdo bere l’acqua confezionata in bottiglia”.
Una lettera che abbiamo pubblicato anche sulla pagina Facebook di Alto Adige Innovazione che è stata commentata da un discreto numero di lettori locali che ha invitato i turisti “straccioni” a restare a casa loro. Per fortuna, i social non sono uno specchio fedele della realtà, ma il tono dei commenti degli altoatesini assomiglia sempre più a quelli resi immortali da Sergio Leone in “Giù la testa”. E non è un bel segno.
Quando gli “straccioni” non sono turisti
Purtroppo, il disprezzo per chi è povero sembra ispirare, da anni, anche le politiche delle amministrazioni pubbliche altoatesine. Sarebbe sufficiente citare l’assurda legge sul divieto di sdraiarsi sulle panchine (resa ancor più ridicola della recenti modifiche approvate a larga maggioranza) o gli sgomberi dei senza fissa dimora inaugurate della vecchia amministrazione. Purtroppo, la nuova ha pensato bene di fare anche peggio.
Per esempio, ha deciso di allontanare Carlo da Piazza Walther, un senza casa che da anni viveva a fianco dell’Hotel Città di Bolzano e che ora non si sa bene dove sia finito, e ha intensificato gli sgomberi lungo i fiumi, comunicando che d’ora in poi utilizzerà Seab, che solitamente si occupa della raccolta rifiuti di Bolzano, per rendere più “rapidi sistematici e frequenti” gli sgomberi di chi dorme lungo l’Isarco.
Evidentemente, a qualcuno piace pensare che chi alloggia in tenda lungo i fiumi lo faccia per hobby o per disturbare i “bravi cittadini” di Bolzano, non perché gli affitti del capoluogo altoatesino siano inavvicinabili per molti. Bolzano è una delle città più ricche e care d’Italia, ma questo non sembra minimamente influenzare l’atteggiamento di molti altoatesini verso chi fatica ad arrivare a fine mese.
Eppure, negli ultimi dieci anni non sono mancati i casi che dovrebbero far riflettere tutti sul livello di civiltà raggiunto in questa ricchissima provincia di confine.
Ecco un breve elenco:
Ottobre 2017. Adan, ragazzino curdo iracheno di 13 anni affetto da distrofia muscolare, arriva a Bolzano insieme ai genitori e a tre fratellini proveniente dalla Svezia. Dopo aver dormito in albergo grazie all’attivazione di “Sos Bolzano”, passa una notte in ospedale, poi viene dimesso. La famiglia passa l’intera giornata al parco della stazione e mentre la madre e i tre fratellini trovano alloggio in un albergo, Adan e il padre, causa barriera architettoniche, si ritrovano a dormire sul pavimento di una struttura adibita a centro giovanile. La notte successiva, i due trovano rifugio su un altro pavimento, quello della chiesa evangelica, ma, mentre si recano alla Caritas per un pasto caldo, Adan cade dalla sedia a rotelle e viene trasportato in ospedale dove gli viene diagnosticata una diffusa infezione. La situazione è più grave del previsto e Adan muore nella notte successiva.
Dicembre 2022. Mostafa Abdelaziz Mostafa Abouelela, 19 anni, muore assiderato in una baracca di legno tra i piloni della linea ferroviaria Bolzano-Merano a Bolzano Sud. Come sottolineano alcuni giornali: “Abouelela era in lista di attesa per un posto letto in dormitorio insieme ad altre 170 persone”.
Natale 2023. Come riportato da Rai Alto Adige: ”Il corpo senza vita di una donna è stato ritrovato la mattina di Natale a Ponte Adige all’interno di una baracca di legno. Le fiamme potrebbero essere state causate da un fornello di fortuna usato per scaldarsi. Non sono stati trovati documenti. Stando alle testimonianze raccolte dagli inquirenti si tratta di una cinquantenne di nazionalità rumena”.
Ottobre 2024. Un cittadino marocchino di 50 anni, senza fissa dimora, viene ritrovato morto lungo l’Isarco. Il medico legale conferma la morte naturale. Non si conoscono le generalità e non si hanno altre informazioni sulla vittima.
Settembre 2025. Un uomo di 46 anni, senza fissa dimora, viene trovato morto all’interno della stazione ferroviaria di Laces. La notizia è stata resa nota nella giornata di lunedì 29 settembre 2025.
Ancora settembre 2025. A pochi giorni dall’annuncio degli sgomberi “più rapidi, sistematici e continuativi” da parte dell’Amministrazione comunale, il sindaco di Bolzano Claudio Corrarati denuncia: “Due famiglie in strada e dagli alberghi 23 no”.
La sicurezza, il decoro e il passato
Verrebbe da chiedersi chi siano davvero i miserabili in questo contesto, quello in cui l’ossessione per la sicurezza e il “decoro” dominano il dibattito politico con gli effetti appena mostrati. Potrebbero aiutare le parole del sociologo Luciano Gallino che, nell’introduzione di un libro di William Sheridan Allen pubblicato da Einaudi nel 1968, sottolineava come gli avversari della democrazia circolassero numerosi ovunque: “ma stanno anche dentro di noi, nel perenne conflitto ch’è a un tempo sociale e psichico, tra bisogno di sicurezza e desiderio di libertà; tra l’impulso di ridurre l’angoscia del futuro e del dover scegliere, e la volontà di non sottostare a nessun capo che decida in nostra vece quel che va bene per noi”. Qualche pagina dopo, era lo stesso Allen a ricordare che “quando nella comunità c’è sicurezza, gli agitatori politici si ritrovano a declamare in sale quasi vuote: è necessaria una paura ossessiva, l’improvvisa coscienza di pericoli fino a quel momento non sospettati, per riempire le sale di ascoltatori che vedano nell’agitatore colui che li salverà”. Un agitatore che farà appello “a quanto vi è di brutale e sporco nell’uomo” e deliberatamente o no, sfrutterà “il fatto che ciò che gli uomini ritengono accada è a volte più importante di quel che accade realmente”.
Il libro di William Sheridan Allen si intitola “Come si diventa nazisti” e analizza la crescita del consenso nazista nei primi anni Trenta in una cittadina di nei pressi di Hannover, ma, come sottolineato nelle pagine del libro “che certe condizioni si ripetano è l’eccezione e non la regola, e quando queste ripetizioni capitano, non si verificano mai in condizioni perfettamente uguali”.
E’ vero, la storia, fortunatamente, non si ripete mai allo stesso modo e il contesto di oggi è decisamente differente da quello della Germania di quasi un secolo fa. In Europa, in Italia e anche in Alto Adige. Per esempio, come sottolineato da Allen, nel 1932, qualche mese prima della presa del potere di Hitler, “portare un distintivo antinazista equivaleva a provocare aggressioni”. Ecco, nell’Alto Adige di oggi serve qualcosa in più e di diverso da un semplice distintivo: