Pazienti dichiarati morti «tornano» in vita: il primo studio sulla sindrome di Lazzaro

Un paziente in arresto cardiaco viene rianimato dal medico d’emergenza. Il cuore non batte più, non ci sono più segni di vita. L’elettrocardiogramma rimanda solo una linea piatta o piccole fibrillazioni: la rianimazione non funziona. Dopo 20-30 minuti di tentativi il medico interrompe le manovre di rianimazione come previsto dalle linee guida. Improvvisamente, alcuni minuti dopo e senza alcun intervento esterno, il paziente mostra segni di vita: respira, ricompare il battito. È un fenomeno, quello della sindrome di Lazzaro, che hanno sperimentato molti medici rianimatori. Una équipe internazionale composta da medici d’emergenza di vari centri di ricerca – University Hospitals Morecambe Bay Trust (UK), Ospedale universitario di Losanna (CH), Eurac Research (I) e Paracelsus Medizinische Privatuniversität di Salisburgo – ha analizzato per la prima volta in modo sistematico tutti i casi pubblicati finora dalla letteratura scientifica in circostanze di terapia intensiva effettuata da personale qualificato: 65 dal 1982. Le indicazioni che ne traggono possono avere un effetto su tutta la medicina d’emergenza.

Sindrome di Lazzaro, i casi

I casi di sindrome di Lazzaro non sono eccezionali anche se le cause sono finora sconosciute. Sondaggi svolti in tutto il mondo riportano che tra il 37 e il 50 per cento di anestesisti e rianimatori ha vissuto in prima persona almeno un caso di pazienti che hanno mostrato segni di vita minuti dopo che la rianimazione era stata dichiarata fallita. Nella letteratura medica, che ha segnalato per la prima volta il fenomeno nel 1982, i quattro ricercatori Les Gordon, Mathieu Pasquier, Hermann Brugger e Peter Paal hanno rintracciato 65 casi documentati. “Riteniamo che questo fenomeno sia più frequente nella realtà di quanto riportato dalla letteratura”, afferma Les Gordon, medico d’emergenza britannico e primo autore dello studio.

Nella loro indagine, i ricercatori hanno classificato come “sindrome di Lazzaro” tutti i casi di pazienti in arresto cardiaco che hanno mostrato un ritorno spontaneo del battito dopo che la rianimazione cardiopolmonare operata da professionisti era stata interrotta. Dei 65 casi presi in esame un terzo è sopravvissuto e di queste 22 persone l’82 per cento (18 pazienti) non ha riportato danni neurologici. “Il numero potrebbe sembrare basso in assoluto, ma gli effetti sono rilevanti se pensiamo all’impatto sul personale medico e sui famigliari, se pensiamo alle conseguenze legali o al numero di pazienti che richiedono manovre di rianimazione”, specificano Hermann Brugger, direttore dell’Istituto per la medicina d’emergenza in montagna di Eurac Research e Peter Paal della Paracelsus Medizinischen Privatuniversität di Salisburgo.

“Il fatto che la maggioranza dei sopravvissuti non ha riportato danni è l’osservazione più significativa”, conclude Mathieu Pasquier. Sulla base delle loro valutazioni, i quattro ricercatori hanno elaborato delle raccomandazioni per i colleghi. Su tutte, quella di continuare a monitorare i pazienti con elettrocardiogramma per almeno dieci minuti dopo l’interruzione della rianimazione. Infatti, nei 63 casi documentati il battito è ricomparso in media entro i cinque minuti e nella maggior parte dei casi entro i dieci minuti.

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