Settant'anni di autonomia: così l'Alto Adige è diventato un modello

Una data che ha cambiato la storia dell’Alto Adige. Rendendola di fatto una terra efficiente come è ora, modello riconosciuto a livello mondiale. Era il 5 settembre del 1946 quando a Parigi i ministri degli Esteri di Italia e Austria, Alcide De Gasperi e Karl Gruber, firmarono l’accordo che riconosceva l’Autonomia all’Alto Adige. Da allora a garantire la pacifica convivenza tra tedeschi, italiani e ladini c’è un sistema giuridico complesso ma preciso in cui si intrecciano rotazione delle funzioni, presenza paritetica negli organismi e rappresentanza proporzionale di tutti i gruppi linguistici. L’equilibrio tra di essi si basa sulla partecipazione di tutti i gruppi etnici al processo politico decisionale, su un elevato livello di autonomia per ogni gruppo linguistico, in particolare nella politica culturale e dell’istruzione, sul principio della proporzionale come regola base della rappresentanza politica, dell’assunzione di personale nel servizio pubblico e della distribuzione di determinate risorse pubbliche (es. finanziamenti per la cultura o l’edilizia sociale abitativa), e sul veto della minoranza come ultima ratio a difesa di interessi fondamentali del proprio gruppo linguistico.
L’Autonomia dell’Alto Adige, dal punto di vista legislativo, si fonda sull’Accordo di Parigi, sulla Costituzione italiana e sul secondo Statuto di Autonomia.

In Alto Adige vivono 520mila persone: il 64% appartiene al gruppo linguistico tedesco, al gruppo italiano appartiene il 24% degli altoatesini, mentre i ladini sono circa il 4%. In aggiunta ai 3 gruppi linguistici storici vivono attualmente in Alto Adige circa 46mila stranieri, 31mila dei quali provenienti da altri paesi dell’Unione Europea.
La parte più consistente della popolazione è costituita dal gruppo tedesco: è riconducibile storicamente ai ceppi germanico, alemanno e baiuvaro che attraversarono l’attuale Alto Adige all’epoca della migrazione verso sud. Una parte di loro decise di fermarsi e insediarsi in quest’area.
Dal punto di vista storico-culturale il gruppo più “giovane” dell’Alto Adige è quello italiano, che visse il momento di maggiore incremento all’epoca del fascismo, negli anni ‘20 e ‘30 del Novecento, quando il regime di Mussolini cercò di potenziare il “carattere italiano” dell’Alto Adige attraverso una massiccia immigrazione da altre regioni. La politica di nazionalizzazione è testimoniata dai numeri: nel censimento del 1910 il Sudtirolo contava 7.339 italiani, nel 1961 erano diventati 128.271. La percentuale del gruppo linguistico italiano nella popolazione complessiva era salita in mezzo secolo dal 2,9% al 34,3%.
Il gruppo linguistico ladino è il più antico della provincia. Il ladino (detto anche retoromanico) è una lingua neolatina o romanica. Dopo la conquista delle regioni alpine ad opera dell’Impero romano nel 15 a.C., la popolazione locale adottò il latino popolare degli amministratori e dei soldati senza comunque rinunciare del tutto alla propria lingua. Il ladino si sviluppò quindi dall’idioma adottato dalle popolazioni retiche, nordiche e carniche in questa area. La struttura della lingua ladina denota anche influssi celtici.
La particolarità dell’Alto Adige è data dalla convivenza in una provincia relativamente piccola di 3 gruppi linguistici. La convivenza non è stata sempre pacifica: ci sono stati anche momenti di forte tensione come nel periodo degli attentati dinamitardi, ma l’attuale modello di autonomia è frutto di un lungo percorso di trattative che ha portato all’equilibrio fra i tre gruppi linguistici.

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