Sessant'anni di AutoBrennero, fra storia e rinnovo della concessione

“Costituita ufficialmente la Società” titolarono sabato 21 febbraio 1959 i quotidiani, da Modena a Bolzano. Il giorno prima, infatti, alla Camera di Commercio di Trento, a sottoscrivere l’atto con cui veniva fondata Autostrada del Brennero Spa, c’erano tutti i rappresentanti degli Enti locali dell’asse: oltre alla Regione Trentino Alto Adige/Südtirol, i rappresentanti dei Comuni, delle Province e delle Camere di Commercio di Modena, Reggio Emilia, Mantova, Verona, Trento e Bolzano. Nacque così, su impulso degli Enti pubblici locali, una Società a controllo pubblico di Regione, Province, Comuni e Camere di Commercio. Un avvenimento, i 60 dell’AutoBrennero, ricordati in un convegno al PalaRotari di Mezzocorona.

Il grande lavoro fatto per consegnare finalmente all’Italia un’arteria autostradale che la collegasse all’Europa non cominciò il 20 febbraio 1959, né quel giorno finì. Era ancora il 1952, quando la Giunta regionale guidata da Tullio Odorizzi decise che l’ammodernamento della SS 12 non sarebbe più stato sufficiente a garantire un adeguato sviluppo dei territori che vanno dalle pianure emiliane, lombarde e venete al passo del Brennero. Sette anni dopo, quando venne costituita Autostrada del Brennero Spa, non vi era ancora alcuna certezza in merito alla concessione di realizzazione e gestione di quella che sarebbe diventata la A22. Ancora nel 1961, il disegno di legge Zaccagnini prevedeva solamente una superstrada. Sarà, però, in quel testo, opportunamente emendato e divenuto legge, che verranno gettate le basi normative sulle quali costruire la futura Convenzione per la costruzione e l’esercizio dell’autostrada, che arriverà solo nel 1963.

Pochi mesi dopo, nel maggio del 1964, cominciarono i lavori per il viadotto dei Vodi di Lavis e per i ponti di Vadena e Zambana. L’impresa sognata nel 1952 smise di essere solo un progetto e cominciò a diventare una delle principali infrastrutture viabilistiche d’Europa. Solo quattro anni dopo, il 21 dicembre 1968, aprì al traffico la prima tratta, da Bolzano a Trento. L’11 aprile 1974, ad appena dieci anni dall’avvio dei lavori, l’autostrada del Brennero veniva terminata. Per una serie di contingenze, l’autostrada del Brennero non fu mai ufficialmente inaugurata. Una casualità cui, a posteriori, può essere attribuito un senso: i lavori di ammodernamento ed efficientamento della A22 non sono, in realtà, mai finiti.

Il discorso del presidente Olivieri

Ed ecco il discorso del presidente Luigi Olivieri.

«L’autostrada del Brennero rappresenta oggi, nel panorama europeo, un’infrastruttura di assoluta eccellenza: 73 milioni di veicoli sono transitati sulla nostra tratta autostradale nel 2018, più di 11 milioni hanno attraversato il Brennero usando A22 come collegamento con l’Europa, ogni anno oltre 35 milioni di tonnellate di merci da e per l’Italia attraversano il Brennero. L’incessante cura dell’ammodernamento tecnologico, unita alla rigorosa attenzione sul fronte delle manutenzioni e alle coraggiose politiche adottate, di concerto con la Polizia di Stato in materia di divieto di sorpasso ed altro, ne fanno un’autostrada efficiente e sicura. I dati sull’incidentalità sono di questo oggettivi testimoni. Il fermo impegno nel campo della tutela ambientale e paesaggistica ha permesso e ci permette di godere dei frutti della modernità, senza farne pagare il conto a un territorio che vive anche della bellezza del suo paesaggio. La costante oculatezza nella gestione economica è stata tale da poter garantire anche in futuro agli utenti, ai territori e al Paese un’infrastruttura di primo livello. Oggi, sul fronte dell’alimentazione elettrica e di quella ad idrogeno, Autostrada del Brennero riveste un ruolo di protagonista, in Italia e in Europa.

A22, insomma, è da tempo un’arteria vitale per la mobilità nazionale ed europea. Una realtà che dobbiamo alla brillante intuizione e alla tenace determinazione degli uomini che quasi settant’anni fa, in un’Italia che si stava appena riprendendo dal Secondo conflitto mondiale, capirono prima degli altri due cose: la prima la vitale necessità per il Paese di collegare la sua costituenda rete autostradale con il resto d’Europa; la seconda  la strategica opportunità per i territori attraversati dalla nuova arteria di esserne e rimanerne protagonisti grazie al controllo esercitato sulla Società dai propri Enti locali. È grazie a persone del calibro e della tempra di Tullio Odorizzi, Donato Turrini, Guido de Unterrichter, Lino e Bruno Gentilini e Walter von Walther, se oggi Autostrada del Brennero può vantare di essere una società a controllo pubblico territoriale con un’efficienza almeno pari a quella che potrebbe garantire un privato.

Sono anni che ho l’onore di occuparmi della cosa pubblica. Tuttavia, da quando mi è stato concesso il privilegio della presidenza di Autostrada del Brennero, ho conosciuto una storia, quella della Società, che non credo sia retorico definire a tratti eroica. Nei primi anni Cinquanta, i territori che vediamo oggi così economicamente e socialmente evoluti erano molto diversi. Fu in quella realtà, che appare distante anni luce, che si fece strada l’idea di realizzare per l’Italia un vero e proprio “ponte per l’Europa”. La scintilla – come si ricava dal bellissimo libro di Donato Turrini edito nel 1984 e da noi riedito in occasione del sessantesimo – la offrì anche il turismo. Lungo lo stretto valico del Brennero, che nei secoli aveva rappresentato un’ardua sfida per eserciti e Imperatori, i viaggiatori del Nord Europa avevano ricominciato a scendere per visitare questa nostra terra straordinaria, dove i ghiacciai e l’olivo convivono a pochi chilometri di distanza.

Il presidente della Regione Trentino Alto Adige/Südtirol, Tullio Odorizzi, già nel 1952 comprese che “era indispensabile migliorare radicalmente la viabilità”. Il suo assessore Donato Turrini fu incaricato di convincere il ministro della Repubblica Italiana, Salvatore Aldisio e i tecnici dell’Anas, della necessità di realizzare un’autostrada al Brennero. La risposta, nel marzo del ’53, non lasciava molte speranze: per il governo un miglioramento della Statale 12 era sufficiente, di autostrada si sarebbe riparlato, forse, più avanti. La legge Romita del 1955, che definiva la futura ossatura delle rete autostradale nazionale, non prevedeva alcuna autostrada al Brennero. Scriveva Turrini a tal proposito: “Senza tenere presente che questa rete interna mancava di una fonte fondamentale di alimentazione se non veniva allacciata all’Europa centrale attraverso le Alpi”. Questa fu la prima grande intuizione: in un’Europa che si stava promettendo di diventare unita, una rete autostradale interna, anche eccellente, sarebbe stata inutile se non connessa al resto del continente!

I dinieghi non intaccarono la volontà della Giunta regionale, né mai passò l’idea di rinviare il progetto a un incerto futuro, quando lo Stato prometteva di occuparsene. Si sondò da subito perfino la possibilità che fosse la Regione Trentino Alto Adige/Südtirol a realizzare direttamente l’opera. I margini legali c’erano, le risorse finanziarie no. Ma si andò avanti. Nel 1957 la Regione Trentino Alto Adige /Sudtirol istituii il Comitato Piani e l’ingegnere de Unterrichter fu incaricato di studiare il tracciato dell’autostrada. Sempre più fitti divennero i contatti con gli Enti locali e le Camere di commercio di Verona, Mantova, Reggio Emilia e Modena, che risposero da subito con entusiasmo, dimostrando di avere immediatamente colto l’opportunità di sviluppo che si profilava per i propri territori. Si arrivò così alla data che celebriamo oggi, il 20 febbraio 1959, quando presso la Camera di commercio di Trento fu fondata la società. Una data storica, oggi. Allora, quasi solamente un esercizio di ostinata volontà: quattro mesi dopo, il 13 giugno 1959, l’allora ministro Giuseppe Togni negò nuovamente alla neonata Società la concessione di costruzione ed esercizio dell’autostrada del Brennero, precisando nel suo diniego che altre erano in quel momento le opere giudicate prioritarie. Turrini tornò alla carica appena sei mesi dopo, a dicembre, chiedendo, in luogo del contributo statale, 70 anni di concessione: ottenne però un nuovo rifiuto. Nel frattempo, quasi ignorando le avversità, l’incarico per la progettazione di massima era già stato affidato agli ingegneri Guido de Unterrichter e Bruno Gentilini e sempre più stringenti si erano fatti, anche grazie all’aiuto del presidente della Camera di Commercio di Bolzano Walter von Walther, i contatti con le autorità austriache, da subito interessate al progetto.

La breccia si aprì nel 1961, con la legge Zaccagnini. La Brennero venne finalmente considerata un’opera da realizzare, ma, ancora una volta, i protagonisti di allora dovettero combattere contro diverse avversità: la realizzazione del tratto tra Verona e Modena veniva rinviata a un secondo tempo, pesando le pressioni di Bologna per il tracciato alternativo che la vedesse come meta finale; le caratteristiche tecniche previste relegavano l’arteria a un’autostrada di tipo C, di fatto una superstrada; infine, a realizzare l’opera sarebbe stata l’Iri. Per altro, allora non era ancora stata definitivamente sciolta un’altra riserva, quella sulla variante di Giovo, che avrebbe fatto passare l’autostrada da Merano attraverso la val Passiria, ipotesi poi accantonata per ragioni tecniche.

L’impegno finanziario che si profilava era enorme e, anche tra i soci, vi fu chi sperò nell’intervento dell’Iri. Non così il socio di maggioranza, la Regione Trentino Alto Adige/Südtirol. Chiarissime, in proposito, le parole di Donato Turrini: “Solo ipotizzare un rovesciamento dell’impostazione autonomistica di una Regione come la nostra avrebbe significato ribaltare impostazioni ormai generalmente acquisite. Non andava inoltre dimenticato che l’autostrada poteva diventare per gli enti regionali un importante strumento per l’equilibrio territoriale e lo sviluppo economico sociale. Sarebbe stata quindi miopia valutare il problema dell’Autostrada del Brennero su prospezioni a breve termine. Una sua irizzazione avrebbe significato una perdita da parte degli enti regionali del controllo di una importantissima struttura, favorendo situazioni di tipo burocratico centralizzato in contrasto con la filosofia pluralistica che è alla base degli istituti autonomistici”.

Le parole di Turrini valevano allora e sono altrettanto importanti ora. Nella storia dell’Autostrada del Brennero, i territori attraversati dal corridoio autostradale possono leggere una metafora della propria stessa storia, quella di una terra povera che trova nella propria comune laboriosità e nella comune difesa delle proprie prerogative di autogoverno la leva per costruire equa prosperità e felice convivenza. In quest’ottica, non è difficile capire che con l’autostrada non si realizzò solo una striscia d’asfalto in grado di spostare persone e merci, ma un ponte che mentre univa l’Italia all’Europa, univa anche una terra bilingue che poco più di quarant’anni prima aveva conosciuto l’orrore infinito di una guerra fratricida.

Le ultime perplessità le tolse l’Iri stessa, per bocca del suo presidente: nell’incontro del 30 gennaio 1962, Giuseppe Petrilli chiarì che la società statale non avrebbe cominciato i lavori prima del 1970. I dubbi di alcuni soci furono fugati, il 17 marzo 1962 il Consiglio di amministrazione della Società deliberò di procedere autonomamente. Nel frattempo, il 25 gennaio 1962, l’ Anas aveva approvato il progetto del tronco Brennero-Verona. Il governo concesse a titolo di contributo solo il 3,25% per la tratta Brennero-Verona, un simbolico 0,5% per il secondo tronco, quello da Verona a Modena, che ricevette a sua volta il via libera solo grazie al diretto intervento del presidente del Consiglio dei Ministri, Amintore Fanfani. Finalmente, il 29 gennaio 1963, fu sottoscritta la Convenzione per la costruzione e l’esercizio del tronco Brennero-Verona, il 15 maggio 1963 fu la volta del tronco Verona-Modena. La strada era tracciata, gli ostacoli da superare ancora molti ed ardui.

Uno su tutti, le risorse finanziarie. Dove trovare almeno 120 miliardi di lire, vista la deludente compartecipazione dello Stato? Il lavoro fu enorme nonostante il piano finanziario, corroborato dallo studio del professore Vittorio Zignoli, dimostrasse che i ricavi sarebbero stati tali da coprire mutui, manutenzioni e gestione prima del termine della concessione. 85 miliardi arrivarono da Venetofondiario, 45 dal Consorzio di credito per le Opere pubbliche e 15, a testimonianza del respiro europeo del progetto, dalla Banca europea per gli investimenti. Intanto, il 26 marzo 1964, prima ancora di avere certezze sulla concessione dei mutui, la realizzazione dei ponti di Vadena e Zambana veniva assegnata all’impresa Mantovani di Bologna, quella del viadotto dei Vodi, dove fu materialmente posta la prima pietra, all’impresa Del Favero. Un azzardo calcolato che aveva un solo obiettivo: fare presto, ma non fare male. All’esproprio, ad esempio, si preferì sempre l’acquisto a libero mercato. Alle legittime preoccupazioni della Provincia di Bolzano in materia di impatto ambientale, si rispose con l’affido di uno studio al celebre paesaggista  Piero Porcinai. È grazie a lui, ad esempio, se  per i guard-rail si scelse già allora l’acciaio corten, materiale all’epoca quasi sconosciuto. Gli approfondimenti e le migliorie apportate al progetto iniziale avevano fatto crescere i costi. A inizio anni ‘70, la svalutazione della lira se da un lato aiutava a pagare i mutui assunti in valuta nazionale, dall’altro rappresentò un vero e proprio macigno per il saldo dei debiti in marchi nel frattempo contratti. A tutto ciò si aggiunse, nel settembre 1973 in concomitanza con la crisi petrolifera, l’abrogazione del regime fiscale agevolato per il settore autostradale riconosciuto nel 1961. Anche il granitico Turrini temette di non farcela. L’eventualità del fallimento dell’impresa si palesò chiaramente in seno al cda.

I lavori, però, non si fermarono mai. Con un ritmo che anche oggi sarebbe difficile replicare, i lotti venivano assegnati e terminati uno dopo l’altro. Superati i danni provocati dall’alluvione del 1966, il 21 dicembre 1968, sotto un’inclemente nevicata, furono aperti al traffico i 50 chilometri che separano Bolzano da Trento. Eviterò di annoiarvi con la cronistoria dell’affido degli appalti delle singole tratte, anche se le difficoltà tecniche incontrate e superate ad esempio nella realizzazione del viadotto di Colle Isarco meriterebbero, da sole, un intero capitolo. “Da ingegnere – osserva il figlio di Lino Gentilini, Iacopo – progettare allora un ponte come Colle Isarco era navigare in mare aperto alla ricerca del nuovo mondo. Oggi, basta applicare un po’ di normative. Un po’ come paragonare un astrolabio ad un GPS”. Mi limito a segnalarvi che il 5 aprile 1971 l’Italia era finalmente collegata all’Austria, l’11 aprile 1974 l’opera veniva terminata: grazie alla Brennero, il nord della Norvegia era ora collegato con il Sud Italia come previsto nel 1950 dalla convenzione di Ginevra. Nonostante le enormi difficoltà tecniche sostenute nel tratto tra Bolzano e il Brennero, alla fine il costo medio a chilometro fu di 780 milioni di lire – 243 miliardi il costo complessivo – ben inferiore a quelli sostenuti per opere consimili nella stessa epoca. La revisione delle tariffe nel 1978 fece nuovamente respirare la società che nel 1984, a dieci anni dal termine dei lavori, poteva già vantare il primo bilancio in pareggio, ben prima di quanto inizialmente previsto nel piano economico finanziario.

Questa storia di successo ha avuto un prezzo non quantificabile, quello delle 36 persone che persero la vita lavorando per le ditte appaltatrici, per realizzare un’importante tappa dell’unificazione europea, un valore supremo per i nostri Padri costituenti di cui, purtroppo, si sta perdendo il senso. Per ricordare l’involontario e sommo sacrificio di questi lavoratori, cinque giorni fa abbiamo posto una targa all’ingresso della sede della Società  a imperitura memoria del loro contributo a questo grande sogno europeo  benedetta dall’Arcivescovo di Trento Monsignor Lauro Tisi che nuovamente ringrazio.

Oggi, a distanza di sessant’anni, la Società Autostrada del Brennero mostra di non aver perso quello sguardo lungo che ebbero i suoi padri. Loro intuirono, ancora negli anni ’50, la necessità dell’autostrada. Gli amministratori degli anni ’90 quella di contribuire alla realizzazione del Tunnel ferroviario del Brennero e di investire per tempo nell’intermodalità e nella logistica. A chi nelle scorse settimane ci ha attaccato perché, a fronte di fenomeni climatici eccezionali e di condizioni da noi non controllabili, non saremmo stati in grado di gestire al meglio la tratta, ricordo solo questo: sono più di vent’anni anni che siamo impegnati nel rafforzamento della ferrovia, perché da più di vent’anni denunciamo come il traffico merci che viaggia su gomma sia diventato eccessivo per il valico del Brennero. Da molti rappresentanti delle Istituzioni, al di qua e al di là del confine, siamo stati ascoltati. Da altri, purtroppo, no.

Nessuna società concessionaria per azioni finanzia la propria concorrenza, noi lo possiamo fare perché i nostri principali azionisti sono i cittadini ed è per loro che, dal 1998 ad oggi, sono stati accantonati oltre 700 milioni di euro destinati al Tunnel ferroviario del Brennero e alle tratte d’accesso. Se l’obiettivo di questa Società fosse stato quello di distribuire dividendi, come si è voluto talvolta lasciare intendere, non avremmo reinvestito in manutenzioni una media di 50 milioni di euro l’anno, non avremmo aiutato i territori colpiti da calamità naturali, non avremmo sostenuto i Comuni a tutelare il proprio patrimonio storico, non avremmo investito nella ferrovia e nell’intermodalità.

Nonostante tutto questo, stiamo ancora discutendo della nuova concessione di Autostrada del Brennero. Un percorso a ostacoli, faticoso, difficile, ma da noi affrontato memori delle difficoltà superate dai fondatori della Società. Non saremmo degni eredi dei loro sforzi e dei loro sacrifici, se oggi cedessimo di fronte ad avversità ben più modeste di quelle che loro incontrarono, perché Autostrada del Brennero non è una striscia d’asfalto. La Società Autostrada del Brennero è stata, è e auspichiamo possa continuare ad essere una Società delle Comunità locali al servizio dell’Italia e dell’Europa».

(foto Simone Cargnoni)

 

 

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