"Una porcheria": quando l'arte ha fatto scandalo in Sudtirolo

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“Martin, vai all’angolo e vergognati”* è il titolo -eloquente e divertito- di un’opera di Martin Kippenberger. Nella scultura l’enfant terrible dell’arte tedesca si autorappresenta con le mani dietro la schiena, nella tipica posizione dello scolaretto punito. Guardiamo il Martin all’angolo in una fredda giornata primaverile nella mostra “Remix. Von Gerhard Richter bis Katharina Grosse” all’Albertina di Vienna (fino al 14.09.2025) e immediatamente ci risuona come la risposta beffarda alle furiose proteste suscitate da un’altra sua opera coeva, ancora più celebre (almeno in Sudtirolo): Zuerst die Füße (1990). Come noto, la scultura, conosciuta come la “rana crocifissa”, suscitò nel 2008, all’apertura della nuova sede del Museion di Bolzano asprissime polemiche, tra accuse di blasfemia e strumentalizzazioni infinite, culminate, tra l’altro, con il licenziamento dell’allora direttrice del Museion Corinne Diserens. “E mio fratello Martin, che sta lassù in cielo, spero, si sta sbellicando dalle risate” aveva scritto la sorella di Kippenberger Susanne in un articolo sulla Tagesspiegel . Kippenberger aveva toccato un nervo scoperto della società sudtirolese. Lo scandalo intorno alla rana crocefissa “compirà” 17 anni il 25 maggio prossimo. Non ha raggiunto la maggiore età, ma ormai è acqua passata, almeno si spera. Anche se fu il più clamoroso, non fu però l’unico però nella storia sudtirolese. La scure della censura e della disapprovazione si è infatti spesso abbattuta sugli artisti contemporanei in Alto Adige, soprattutto quando si sono avvicinati a temi sacri e religiosi, ma non solo. Spesso l’unica colpa è stata quella di essersi espressi con linguaggi artistici nuovi e troppo “moderni”. Da Gotthard Bonnell a Peter Fellin, da Lois Anvidalfarei a Michael Höllrigl la lista è lunga, puntualmente passata in rassegna in un prezioso saggio di Gabriele Crepaz (Stadtgespräch. 60 Jahre verschmähte Kirchenkunst in Südtirol – ein Überblick. In “Kunst und Sakralraum”, Südtiroler Künslterbund, 2006).

Sfogliamo quindi un momento l’album degli scandali per imbatterci in quello che viene considerato il primo in assoluto nella storia sudtirolese. Martin Kippenberger non era ancora nato, ma già si levavano le proteste contro l’arte di Karl Plattner (Malles Venosta, 1919 -Milano, 1986). È il 1951 e il Comune di Naturno in Val Venosta chiede all’artista di realizzare un affresco per ricordare le vittime di guerra in una piccola cappella appositamente realizzata nel cimitero del paese. Plattner prepara gli schizzi nel suo atelier parigino e, ricevuto il benestare, realizza l’opera nell’autunno dello stesso anno. L’affresco rappresenta una pietà con personaggi immersi in un paesaggio montano in cui si riconosce la chiesa di S. Procolo a Naturno – l’artista sceglie insomma di calare la scena di dolore e sofferenza nell’oggi, nella quotidianità del paese. Una quotidianità in cui -scandalo!- compare anche un cane. “Una porcheria” (eine Schweinerei): così avrebbe definito l’opera il parroco di allora Franz Gasser nel suo discorso di Ognissanti. “In un primo momento alcune raffigurazioni furono considerate oscene per la presenza di un cane e di una donna troppo formosa” si legge nella didascalia esposta vicino alla cappella. Il disprezzo non si limita alle parole però, e l’affresco viene danneggiato da ignoti con dei punteruoli, che sfregiano i volti dei personaggi e il cane – solo le figure sacre di Cristo e della Madonna si salvano. Plattner chiede di poter restaurare l’opera a sue spese o di rimuoverla, ma il consiglio comunale delibera, nel 1955, che il dipinto non deve essere restaurato. In seguito, gli amministratori decidono addirittura di far coprire con dei pannelli di compensato l’affresco. Il restauro avviene solo nel 1968, ma il cane resta sfregiato a testimonianza della deturpazione. Plattner autorizza che durante le celebrazioni di Ognissanti l’animale venga nascosto con un ornamento adeguato per nascondere “le macchie dell’onore”.

L’affresco di Karl Plattner nella cappella del cimitero di Naturno, maggio 2025. Sulle figure delle donne e del cane esono evidenti i segni del danneggiamento. Foto Venti3

“Was der Bauer nicht kennt, frisst er nicht” (il contadino non si ciba di ciò che non conosce) recita un detto tedesco che ben riassume l’atteggiamento di diffidenza di certa popolazione rurale verso ogni novità. Ma non sono solo i parroci e parrocchiani tradizionalisti a mal tollerare che i soggetti sacri vengano rappresentati attraverso forme e linguaggi nuovi. Anche il pubblico e gli artisti stessi si indignano per l’arte troppo “moderna”.  Bressanone, fine luglio 1964. Alla galleria S. Erardo espone un gruppo di giovani artisti – un ventottenne Markus Vallazza , un 36enne Robert Scherer e Livio Conte, raccolti sotto il nome di Brix la nuit. Espongono una quarantina di opere tra tempere, disegni a penna e carboncino, monotipie e quadri. Passati un paio di giorni dall’inaugurazione della mostra, si presentano alla galleria delle persone “tra cui anche un noto pittore della corrente ‘conformista’, le quali hanno strappato dalle pareti sette disegni dicendo che non era il caso di esporli poiché inopportuni…” si legge in un articolo dell’Alto Adige (31.07.1964). Le ragioni della brutale censura non sono chiare. L’autore continua ipotizzando che “le opere epurate non possono neppure con la massima buona volontà essere considerate offensive al pudore. L’unico motivo plausibile è che i sette disegni non piacciono ai pittori agresti o di soggetti religiosi poiché si staccano dalla pittura conformista e in essi l’artista ha cercato un modo di espressione nuovo, di scuola moderna”. Le opere incriminate vengono sostituite per evitare polemiche. Riguardo agli autori, che poi si confermeranno come stimati artisti, il giornale precisa che “non si tratta di pittori estemporanei o dilettanti ma di veri e propri professionisti seri e capaci, i quali vogliono esprimere nelle loro opere i sentimenti dei giovani di oggi, staccandosi dalle forme espressive di cinquanta o cento anni fa”.

La scultura “Il Figliol prodigo” dell’artista Lois Anvidalfarei esposta nella Scuola professionale provinciale per le professioni sociali Hannah Arend a Bolzano, 2025. Foto gadilu.

Ma essere seri professioni conta poco in certi casi. Ne sa qualcosa lo scultore Lois Anvidalfarei, artista rinomato a livello internazionale, che ha spesso dovuto subire gli strali della condanna per la sua arte trattando, nella sua lunga carriera, soggetti a tema religioso. Nella terra che vanta una lunga tradizione dell’intaglio in legno, le sue possenti sculture in bronzo rompono infatti con un certo vocabolario inveterato di artigianato artistico; Avidalfarei disturba lo sguardo di chi è abituato a un gusto facile, locale e diffuso, un codice non scritto, ma radicato, su come debbano o non debbano essere rappresentate le figure religiose.

La scultura “Il Figliol prodigo” dell’artista Lois Anvidalfarei esposta nella Scuola professionale provinciale per le professioni sociali Hannah Arend a Bolzano, 2025. Foto gadilu.

Maggio 2003, nel parco dei Cappuccini di Bolzano, che è in ristrutturazione, viene collocata la sua scultura “Il Figliol prodigo”. L’opera proprio non piace ai padri Cappuccini, che trovano sconveniente la sua nudità. Anche se ad essere messe a nudo sono ben altre e forse inconsce paure, come emerge dalla dichiarazione del padre provinciale dei Cappuccini Beikircher: “A mio modo di vedere il figliol prodigo dovrebbe essere affannato e affamato. Non mi sembra che l’autore abbia colto questo aspetto: l’uomo raffigurato, al contrario, è virile, prepotente. Ripeto: non sono uno specialista, ma mi sembra che dall’opera traspaia una carica di omosessualità” (!) dichiara all’Alto Adige del 22 giugno 2003. E pensare che già il poeta Oswald von Wolkenstein si chiedeva, in una lettera al Vescovo di Trento, se l’arte dovesse magnificare l’essere umano o il divino**. Ma era più di 500 anni fa e i problemi in questo caso sono molto più terreni. La polemica infiamma l’estate e scoppia la querelle tra l’allora assessore provinciale Mussner, che aveva fatto collocare la statua, e i padri. “La Giunta provinciale è sorda alle richieste dei Cappuccini, rimane testarda sulla statua con la sua fissazione per il pene” (originale: Die Landesregierung ist taub für die Wünsche der Kapuziner. Sie bleibt stur bei der penisfixierten Statue) dice padre Beikircher al quotidiano Dolomiten (27.08.2003). Come precisato da Crepaz, per la cronaca, la Tageszeitung si preoccupa addirittura di misure l’organo oggetto di tanta attenzione: 9 cm. La statua viene rimossa, e oggi si trova nella sala ipogea della vicina Scuola provinciale per le professioni sociali. Lontano dagli occhi, lontano dallo scandalo, sia mai.

Caterina Longo

*Titolo originale “Martin, ab in die Ecke und schäm dich”

**Pubblicata in “Trio. Bonell Anvidalfarei”, catalogo della mostra, Südtiroler Bürgerinstitut, 2023.

Immagine in apertura: Martin Kippenberger, Martin, ab in die Ecke und schäm dich, 1989-90, mixed media, installation view Albertina Modern, Vienna, nella mostra “Remix. Von Gerhard Richter bis Katharina Grosse”
Foto Venti3

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