Quando la normalità è fuori dal comune. Intervista a Rocco Papaleo

Dieci anni fa per le riprese di  “Un Boss in salotto”, poi a teatro, prima con “Peachum”, e ora con  “L’ispettore generale”: Rocco Papaleo è ormai di casa a Bolzano e chi ha imparato a conoscerlo fatica a nasconderne l’ammirazione. Per qualcuno è “empatico, sensibile e mai divo”, per altri “non si riesce a non volergli bene come uomo e come artista”. Per Walter Zambaldi, direttore del Teatro Stabile di Bolzano: “Rocco è un grandissimo attore e una persona straordinariamente sensibile. In teatro fa un gran gioco di squadra che valorizza chi lo circonda, ha visioni ambiziose ma tiene i piedi per terra. Sa inventare e partecipare alla costruzione di progetti complessi e di ampio respiro. Come faccio a non adorarlo?”.Papaleo ha condotto Sanremo e ha recitato nei film di Checco Zalone e Leonardo Pieraccioni, di conseguenza il suo viso e la sua voce sono popolarissimi e inconfondibili. Altri girerebbero con le guardie del corpo, lui si è fatto (ri)crescere i baffi.

Lo incontriamo in una pausa delle prove de “L’ispettore generale” di Gogol, produzione del Tsb che debutterà in prima nazionale il prossimo 26 ottobre. La prima domanda riguarda proprio le difficoltà della gestione della sua “popolarità”, ma lui sembra dargli la stessa importanza che ogni maschio adulto dà al colore delle tende di casa: “Ho avuto un percorso professionale lento, le cose che mi hanno reso molto popolare sono avvenute che avevo superato i cinquant’anni, avevo già i piedi ben piantati per terra o forse fa parte del mio modo di essere”.
Ecco, a proposito di modi di essere e di terra, non gli si può evidenziare la differenza tra la sua carriera di attore, con i già citati Zalone e Pieraccioni, ma anche con Verdone, MIniero, Edoardo Leo, e i film che ha girato come regista: “Basilicata coast to coast”, “Una piccola impresa meridionale”, “Onda su onda” e “Scordato”.
Da una parte il mondo e il grande pubblico, dall’altra l’”isolamento” e la “sua” Basilicata. “Capisco la domanda, ma ci tengo a dire che non esistono due Rocco Papaleo. Non c’è l’attore che fa le cose che gli propongono e l’autore che fa cose completamente diverse. Sono sempre io, il professionista con un impegno nemmeno troppo fanatico nel percorso attoriale e l’autore di spettacoli di teatro canzone e di film con una forte componente musicale. Sono due cose che si influenzano reciprocamente, non so distinguere perfettamente tra il mio essere professionista e il mio essere poeta. Sì poeta, mi piace definirmi così, tra orgoglio e vergogna”.
La parte poetica, però, lo porta spesso dalle parti di casa. “E’ vero, ma sono tornato al mio paese, Lauria, solo per girare il mio ultimo film “Scordato”. Ho lasciato la Basilicata per Roma che avevo 18 anni e avevo voglia di qualcosa di diverso. Poi, sulla soglia dei sessanta, mi è tornato il bisogno di ritrovarmi nella pace dei luoghi dell’infanzia: la sicurezza dei monti intorno al mio paese, il sentirmi come nel ventre materno”. Discorsi che da queste parti portano direttamente alla Heimat nel suo significato più preciso, ma Papaleo fornisce una motivazione che supera ogni schematica definizione: “Mia madre è morta cinque anni fa, quando ho compiuto sessant’anni. Prima colmavo la distanza chiamandola ogni giorno e leggendo i suoi messaggi whatsapp. Da quando non succede più, sono dovuto tornare di persona per ricongiungermi con quella terra, con quel ventre materno. Forse ho bisogno di riunire i punti”.
A Roma, evidentemente, è molto più difficile sconnettersi dal resto del mondo, da secoli sono abituati a “invaderlo” e “conquistarlo”, prima con le legioni, poi con il clacson, ma, anche in questo caso Papaleo minimizza. “A Roma io giro anche in metropolitana, sono tranquillo, evidentemente il pubblico mi considera una persona comune, un amico, qualcuno mi ferma, ma mi è bastato girare con Verdone per notare la differenza. Nei miei confronti noto un’educazione particolare, nessun parapiglia, nessuna intrusione. Noto che si accorgono di chi sono, a volte chiedono i selfie, quando sono ben disposto li faccio e quando non lo sono fingo di esserlo. Io mi sento uno del popolo e mi rivolgo soprattutto alla gente comune, è la loro risposta a interessarmi”.


Detto della città natale, Lauria, e di quella del “cinema”, Roma, non resta che parlare della sua “città del teatro”: Bolzano. E’ una definizione sua. “Sì, è la mia casa del teatro. Senza supponenza, potevo scegliere dove andare a fare teatro, ma ho scelto Bolzano. L’ho scelta perché mi piace il contesto e mi piace lo Stabile e chi ci lavora. Ho imparato a conoscere anche i dintorni, anche se non sono qua a fare il turista e non posso andare in giro per i monti. Però alloggio in periferia e vengo a teatro a piedi, facendomi una passeggiata che mi dà la giusta carica prima delle prove. Trovo che qui tutto giochi a mio favore. Detto tra noi, della questione tra italiani e tedeschi non me ne frega nulla e non sono più uno da vita notturna”. E poi c’è Walter Zambaldi. “Con lui sto alla grande, siamo pappa e ciccia. Ha un modo di lavorare che mi piace, ci parliamo con grande sincerità. Io volevo proseguire la relazione iniziata con Peachum, lui anche e quando è arrivata la proposta per recitare ne L’ispettore generale l’ho accolta molto volentieri”.
Nello spettacolo che debutterà giovedì 26 ottobre, Papaleo interpreta uno dei personaggi principali, il podestà, al momento dell’intervista non aveva ancora indossato i costumi di scena ma aveva già incominciato a indossarne gli “abiti”.
“Lasciami dire che è uno spettacolo corale, io ho anche il ruolo di specchietto per le allodole, fanno le locandine con la mia faccia etc. Va bene così, conosco i meccanismi dello show business, ma vorrei sottolineare che sul palco saliranno tredici tra attori e attrici molto bravi. Non li conoscevo e questa è una risorsa in più, perché mi permettono di rinnovarmi, mi danno nuovi stimoli per continuare il percorso”.

Massimiliano Boschi

Immagine di apertura: Rocco Papaleo (foto di Gregor Khuen Belasi)

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