Reinhold Messner Haus: a Sesto, un nuovo spazio per vivere (e pensare) la montagna

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News. In cima al Monte Elmo, nella cornice delle Dolomiti di Sesto, Reinhold Messner ha creato insieme alla moglie Diane Schumacher uno spazio che fa del concetto di riutilizzo e della cura del paesaggio un percorso esperienziale unico attraverso la cultura di montagna.

Una cultura che parte da lontano, dalle vette del Tibet, passando per gli Ottomila nepalesi e arrivando fino a noi, con una visione che non guarda alla montagna come a una conquista, ma un tempio da visitare e proteggere, facendo attenzione a non lasciare un segno troppo profondo del proprio passaggio.

L’ex stazione a Monte sulla cima dell’Elmo, nel corso dei lavori di riqualificazione 

Si tratta della Reinhold Messner Haus, «non un museo, ma un luogo che guarda al futuro, che dal passato recupera i valori da mantenere solidi anche nel nostro presente», spiega lo stesso Messner, che ci accompagna nella visita di questo nuovo spazio, frutto di uno studio attento tra manufatti, imprese leggendarie e installazioni artistiche.

Una casa che, almeno nella struttura, non nasce dal “nuovo”: è infatti l’ex impianto di risalita della cima dell’Elmo. «Uno spazio che secondo le normative sarebbe dovuto essere smantellato, perché in montagna non possiamo mantenere ciò che non è utile». Da qui l’idea di recuperare l’edificio seguendo il concetto dell’upcycling: «Riconosciuta l’utilità di una struttura simile, abbiamo voluto darle nuova vita, elevandone la funzione a qualcosa di più alto, creando uno spazio di grande valore culturale», racconta Messner.

Realizzata in collaborazione con la 3 Zinnen AG Dolomites – che gestisce i comprensori di Elmo, Croda Rossa, Baranci, Braies, Dobbiaco e Val Comelico – la Reinhold Messner Haus mette al centro il valore del paesaggio, un tema confermato dalla forte presenza turistica che popola il territorio in ogni stagione. Come racconta Messner, «il paesaggio per queste regioni è come il petrolio nei Paesi Arabi, quell’elemento da valorizzare e tutelare attraverso iniziative e nuove progettualità».

L’obiettivo della “casa” diventa proprio questo: offrire uno sguardo privilegiato sulle tematiche necessarie alla tutela delle Dolomiti e di chi le abita.

Dai lupi al cambiamento climatico, uno sguardo sul futuro delle Dolomiti

Guidati da Messner, si entra nella Haus lungo un percorso che intreccia storia, cultura e riflessioni sul presente. Fin dall’ingresso è chiara l’influenza profonda delle popolazioni di montagna asiatiche sul Re degli Ottomila. È lui stesso a spiegarne l’origine: una concezione dell’ambiente che lega le vette alla religione e alla venerazione delle grandi cime.

«Nelle culture di montagna asiatiche, le montagne erano vere e proprie divinità terrene: entità sacre, vicine all’uomo, da rispettare e proteggere. Questo legame profondo ha dato origine a un rapporto fatto di cura e inviolabilità del territorio. Un concetto che, al contrario, si è affievolito in contesti come quello alpino, dove la cultura e la religione si sono progressivamente distaccate da questa visione, lasciando spazio a logiche più orientate al profitto», spiega Messner.

Il cammino si apre con la Stanza dell’Archivio, cuore documentale della Reinhold Messner Haus. Qui, tra scaffali ordinati, si trovano alcune delle collezioni di libri sulla montagna che Messner ha raccolto nel corso di una vita. I volumi sono consultabili, accessibili, come la memoria che custodiscono. Accanto ai libri, oggetti personali e simbolici: un vecchio divano di famiglia e una raccolta di oltre 10 mila diapositive e pellicole che raccontano le imprese e le testimonianze del primo uomo ad aver scalato tutti gli Ottomila. Un archivio visivo della grande epoca dell’alpinismo, portato dalla sua casa e cresciuto nel tempo.

Il percorso conduce a una stanza panoramica con una vetrata affacciata sulle Dolomiti. La vista, mozzafiato, è vegliata dalla statua del filosofo tibetano Milarepa, scalatore del sacro monte Kailash. Qui Messner rilancia un tema centrale per la Haus: il rispetto del paesaggio. «Come Milarepa, dobbiamo imparare a lasciare le montagne così come le abbiamo trovate».

Da questa sala si accede a una terrazza con vista sulla Cima Dodici (Croda dei Toni) e sulla Cima Carpentieri (Punta Tre Scarperi). Le montagne sembrano eterne, ma Messner indica un blocco di roccia mancante, visibile a occhio nudo, come testimonianza della fragilità climatica.

«Questo luogo – spiega – vuole essere uno spunto per riflettere anche sulla fragilità della montagna, permettendo a chi lo visita di osservare con i propri occhi gli effetti del cambiamento climatico. Laddove una volta c’era il permafrost a tenere insieme la montagna, oggi abbiamo solo una grande macchia ben visibile a occhio nudo», racconta, indicando il punto della frana.

Il percorso prosegue nell’ex punto d’arrivo della funivia dell’Elmo, oggi trasformata in una sala luminosa, senza tralicci né cabine, con ampie vetrate che incorniciano il paesaggio. Alle sue spalle, la statua di Shiva, dio indiano della creazione e della distruzione, rappresenta l’equilibrio precario tra intervento umano e natura.

Reinhold Messner e Diane Schumacher

Due installazioni artistiche spiccano per forza espressiva. La prima è un lupo d’acciaio cinese che “attacca” una composizione di sculture realizzate con ossa di capra: un’allusione al ritorno del lupo sulle Alpi e alle sue implicazioni sugli ecosistemi locali. La seconda, fatta di punti di aggrappo da parete artificiale, forma la parola “Kalipè” – termine tibetano che significa “camminare a passo lento”.

Una critica implicita ma chiara alla trasformazione dell’alpinismo in consumo sportivo. «Negli anni ’20», racconta Messner, «lo sci si stacca dall’alpinismo e diventa fenomeno di massa. Trent’anni dopo, si separa anche il rocciatore, e nasce l’arrampicata indoor, nelle palestre, sulle montagne artificiali».

Si arriva quindi a una sala che custodisce un’intera facciata originale di un tempio di Kathmandu, simbolo del legame fra montagna, spiritualità e architettura. Subito dopo, la stanza del Nanga Parbat, il luogo più intimo della mostra, dedicato alla tragedia del 1970, quando Messner perse il fratello Günther.

Un grande quadro che raffigura i due fratelli, la scarpa ritrovata molti anni dopo, una testimonianza muta ma carica di significato, accompagnano il visitatore in uno dei momenti più toccanti del percorso.

«Questa sala – ci anticipa Messner – cambierà ogni anno, per raccontare una montagna diversa del mondo». Una geografia sentimentale che continua ad ampliarsi, tappa dopo tappa.

Inaugurata sabato 28 giugno, la Reinhold Messner Haus è anche una vera e propria dimora per il suo fondatore. Messner vi risiederà per alcuni mesi, partecipando a una serie di eventi dedicati alla cultura e al vivere in montagna.

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