PPP in Alto Adige: Ortisei 1955, Bolzano 1970

Miei carissimi, tutto va molto bene. Trenker è simpatico, le montagne intorno anche. Vi mando le 250mila; scusate la fretta ma sono nella Posta e mi aspettano fuori. Vi abbraccio con tutto l’affetto e vi bacio. Pier Paolo*

Questa è la prima lettera che il trentatreenne Pier Paolo Pasolini inviò ai genitori dall’Alto Adige. Era il 7 luglio 1955 e reca il timbro di Bolzano, città in cui l’autore di “Ragazzi di vita” si trovava in attesa di raggiungere la Val Gardena.
“Domani mattina – scrisse Pasolini tre giorni più tardi – partiremo per Ortisei dove ci fisseremo definitivamente a lavorare per 20 giorni. Avrete dunque il nuovo indirizzo. Tutto va molto bene: solo mi scrivete poco, cioè oggi, arrivando a Bolzano ero certo di trovare una vostra lettera, e invece niente. Non voglio stare in pensiero, perciò ogni due giorni mandatemi almeno una cartolina. Vi bacio tanto”.

Ortisei e le montagne “stronze”: luglio- agosto 1955

Come da corrispondenza con i genitori, Pasolini giunse a Ortisei l’11 luglio del 1955 per scrivere, insieme allo scrittore Giorgio Bassani, la sceneggiatura del film “Il prigioniero della montagna” di Luis Trenker. Fu il primo incarico “cinematografico” di Pasolini, ma l’arrivo a Ortisei non fu dei migliori. Lo sottolineò lui stesso nella lettera che inviò il giorno dopo il suo arrivo: “Eccomi a Ortisei: piove, un freddo cane. Mandatemi subito un pacchetto con dentro il maglione verde e il pullover rosso. Continuo a essere un po’ in pena perché non vi sento”.
Nei giorni successivi, le impressioni di Pasolini sulle montagne che lo circondavano non migliorarono, lo dimostra la lettera inviata a William Weaver il 17 luglio: “Io quassù sono tra stronze e maestose montagne asburgiche: prigioniero di esse, come e peggio, del prigioniero del nostro film. Ad ogni modo l’aria è buona: lavoro e mangio. I tedeschini sono belli fino a otto anni (troppo poco) poi cominciano a somigliare a SS. Castità“.

Nelle lunghe giornate estive passate in Val Gardena, Pasolini lavorò intensamente alla sceneggiatura del film di Trenker, ma non perse di vista le recensioni che continuavano a uscire sul suo “Ragazzi di vita” pubblicato due mesi prima. Nonostante gli impegni, però, riuscì  a godersi alcune serate in compagnia: “Io lavoro molto, ma il clima è buono – scrisse alla madre il 28 luglio – e poi la sera vado a divertirmi in giro, a ballare in elegantissimi alberghi tra il Brennero e Cortina”. Ma è proprio l’intensità del rapporto con i genitori, soprattutto con la madre, a sorprendere.  Nelle tre settimane abbondanti che Pasolini passò a Ortisei, scrisse tredici lettere ai genitori, la più affettuosa è quella che scrisse alla madre il 30 luglio:
“Carissima pitinicia, spero di raggiungerti già a Casarsa, con questa lettera (…) Scrivimi a lungo, tu che hai tempo – e se hai voglia – naturalmente. Io non vedo l’ora di rivederti: e per fortuna, anch’io sono un po’ distratto dal moltissimo lavoro, e se no, a pensare che stiamo per tanto tempo lontani, non resisterei. Tanti, tanti baci.
Pier Paolo”.

Bolzano; agosto settembre 1970

Pasolini ritornò in Alto Adige quindici anni più tardi, sempre per motivi cinematografici, ma questa volta per dirigere alcune scene di un suo film “Il Decameron”, il primo della “Trilogia della vita” che comprenderà anche “I racconti di Canterbury” e “Il fiore delle mille e una notte”.


Castel Roncolo in un frame del film “Decameron”

Le prime giornate bolzanine le passò a selezionare quelle che noi oggi chiamiamo location. Come spiegò in un’intervista: “Cercavo una casa ricca, un convento, una chiesa, esterni campestri e cittadini e ho trovato Castel Roncolo, vicolo della Pesa a Bolzano con brevi archi che rendono la luge geometrica, il chiostro del Duomo di Bressanone e l’interno della chiesa di San Martino a Bolzano”.**
Nell’ottobre del 1970, decise di girare anche all’Abbazia di Novacella, ma, per quel che riguarda il contesto del sopralluogo, è d’obbligo rifarsi a Carlo Romeo a al suo articolo “Mein lieber Cepperello: santità e grazia nel sopralluogo bolzanino di P.P. Pasolini”.***
“Il sopralluogo pasoliniano coincide  con una delle fasi più sofferte della sua riflessione sulla devastazione che il neocapitalismo si accinge a fare della tradizione regionale, popolare, dialettale italiana. Anche se Pasolini non lo segnala esplicitamente, l’immagine stessa di Bolzano in quell’agosto del 1970 potrebbe aver rappresentato ai suoi occhi, nella sua prospettiva, lo scontro tra aggressione e resistenza, tra integrazione e eccezione, tra omologazione e particolarità. La questione altoatesina ha appena superato gli anni più caldi del terrorismo. Fervono, tra mille polemiche, le trattative che porteranno di lì a qualche mese all’approvazione del “pacchetto”, alla nuova autonomia provinciale ottenuta dalla lotta tenace di una compatta minoranza linguistica. I vicoli angusti, i profili gotici, i portici della città vecchia si contrappongono icasticamente ai capannoni della zona industriale, ai larghi viali e ai cantieri frenetici dei quartieri della nuova Bolzano”.
Romeo sottolinea anche il giudizio di Pasolini sul Museo Civico bolzanino: “Questo di Bolzano è uno dei più bei musei che abbia visto: ero quasi commosso durante la visita; anzi, ero addirittura commosso: c’è una grazia straordinaria in quelle sale”. In particolare venne folgorato da una Stube del Quattrocento proveniente da Chiusa che venne immortalata diverse volte durante le riprese nel film.

Al di fuori del contesto altoatesino, vale la pena ricordare che il Decameron di Pasolini si avvalse della fotografia di Tonino Delli Colli, delle musiche di Ennio Morricone delle scenografie di Dante Ferretti e dei costumi di Danilo Donati, il meglio del cinema italiano dell’epoca.
Terminate le riprese e il montaggio, il film venne presentato ufficialmente il 29 giugno 1971 al XXI Festival di Berlino, dove vinse l’Orso d’argento. Nelle sale italiane uscì due mesi  più tardi e la produzione, per tutelarsi nei confronti delle possibili denunce, decise di organizzare la prima proiezione a Trento dove la magistratura aveva dimostrato maggiore “tolleranza” nei confronti dei film a rischio di “oltraggio al pudore”.
Era il 25 agosto del 1971 e, manco a dirlo, il giorno seguente uno spettatore denunciò il film per oscenità. La denuncia vennè però archiviata dal giudice istruttore. Nelle settimane seguenti, diversi procuratoti della Repubblica italiani decisero il sequestro del film, ma ogni volta il tribunale di Trento, rivendicando la propria competenza territoriale, ne ordinò il dissequestro.

Massimiliano Boschi

 


*Le lettere sono tratte da “Pier Paolo Pasolini, Lettere 1955-1975” (Einaudi 1988)

**Tratto da “Alto Adige – Guida ai luoghi del cinema” (Giunti 2006)
*** Da “Pasolini e l’Alto Adige a trent’anni dal Decameron”, a cura di Daniele Barina, Ed. Artisti Senza Frontiere, Bolzano 2000.

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