La scomparsa della nebbia e dei marciapiedi. Milano secondo Giacomo Papi

“Nel 2011 ho iniziato a dire che Milano è bellissima, prima mi vergognavo”. Giacomo Papi lo butta lì a metà intervista, non si comprende se per evidenziare i suoi personali cambiamenti o quelli della sua città. Comunque sia, i mutamenti che hanno attraversato Milano negli ultimi cinquant’anni appaiono evidenti anche a chi la osserva da lontano.
Nel 1966 Luciano Bianciardi descriveva così gli abitanti del capoluogo lombardo: “Il milanese non si vergogna di aver premura, forse se ne vanta, o per lo meno sembra convinto che la premura gli dia diritto a qualcosa.  L’etica del lavoro ha prodotto una neocittà che funziona forse come utensile, ma non è certo un luogo ameno per viverci. A Milano buon lavoro è una forma di saluto come altrove si dice buon giorno e la sfiducia (nello Stato Ndr) è la spia di una sostanziale carenza di socialità”.
Un giudizio lapidario, molto simile, esclusivamente nei toni, a quello espresso cinquantatré anni dopo da Giacomo Papi nel suo “Il censimento dei radical chic”, (Feltrinelli): “Milano si è trasformata in un ristorante a cielo aperto. Non c’è marciapiede su cui non si affastellino tavolini affollati di gente intenta a sgranocchiare. Il cibo è diventato il grande connettore sociale. Ha sostituito il pensiero. Dove un tempo c’erano i teatri, adesso sorgono supermercati di cibo italiano. La cucina è l’arte in cui l’opera non si contempla: si divora”.
Alla richiesta di precisazioni, Papi non smentisce, anzi rincara, la dose: “Milano è diventata una città dell’arte di sgranocchiare, mangiare e deglutire alcol. Nel bene e nel male, il cibo è al centro di una messa in scena continua tra alici del Cantabrico, spuma di parmigiano, cipolle caramellate, etc. I dehors hanno fatto scomparire i marciapiedi spostando le auto in seconda fila”.

Foto Sofia Boschi

Dall’ossessione per il lavoro a quella per gli aperitivi. Negli ultimi cinquant’anni la capitale economica e industriale d’Italia è stata travolta da un’inattesa rivoluzione copernicana? Per Papi la questione è più complessa e, probabilmente ha più a che fare con Tolomeo che con Copernico: “A Milano si alternano ondate di apertura e chiusura. A un decennio in cui la città si apre, ne segue uno in cui i milanesi si rinchiudono in casa. Credo che la città abbia vissuto la sua Belle Epoque fino alla pandemia, ora mi sembra che stia tornando a chiudersi e le distanze sociali ed economiche ad aumentare”.
A prima vista, la città sembra ancora in pieno fermento, ma i segnali di stanchezza e insofferenza risultano sempre più evidenti: “Le strade di Milano restano affollate fino all’alba, manca la divisione tra giorno e notte e questo ha inevitabili ricadute sull’ordine pubblico e sulla vivibilità della città. Una fetta sempre più ampia di popolazione non si sente più sicura e risultano evidenti le difficoltà nel gestire lo spazio pubblico, il grande flusso di turisti e l’aumento dei residenti, Milano non è mai stata così popolata.”.
In attesa di valutare gli sviluppi, Papi si concentra su alcuni fondamentali punti fermi: “Milano non tornerà mai più come prima, la rivoluzione Copernicana sembra definitiva. Prima il divieto di fumo che ha spinto molti milanesi a uscire dagli uffici, poi il cambiamento climatico che ha fatto sparire la nebbia, hanno cambiato le abitudini dei cittadini. I dehors hanno trasformato le strade in piazze, in luoghi condivisi che attirano sempre più persone. Solo nel 2011 ho iniziato a dire che Milano è bellissima, prima mi vergognavo”.

Il Cipresso Calvo dei Giardini Montanelli di Milano

E qui arriviamo a Tolomeo: “Milano – prosegue – era una città tolemaica con cerchie che definivano anche le classi sociali mano a mano che ci si allontanava dal centro.  Solitamente erano i giovani delle periferie a raggiungere il centro, magari per fregare le Timberland ai ricchi coetanei, ma non c’era un flusso contrario. Poi, la musica trap ha spinto i ragazzi delle cerchie centrali a scoprire Baggio, Rozzano o Calvairate. Zone tradizionalmente considerate ‘malfamate’ che hanno iniziato a produrre cultura. Nel frattempo, sono nati nuovi centri periferici che hanno scombussolato le cerchie, penso a ‘Le Varesine”, a Porta Venezia, a Piazza Gae Aulenti e alla Fondazione Prada”.Più in generale, Milano sembra essersi definitivamente trasformata in una metropoli europea, con tanto di contraddizioni e corto circuiti.“Oggi – conclude Papi – mi sembra stia seguendo uno sviluppo simile a quello di Londra, ma noto anche la convivenza  e la sovrapposizione di epoche diverse. Insieme alla città moderna e arrogante in cui il denaro è esibito e riverito, convivono sacche di antichità popolate da personaggi che sembrano provenire da un’altra epoca. Milano è oggi una città globalizzata in termini finanziari e turistici, i prezzi delle case sono saliti alle stelle, ma non tutto è stato gentrificato, l’impatto è stato attutito. Le disuguaglianze economiche sono evidenti, ma non hanno raggiunto le dimensioni di città come Londra o New York. La situazione sarebbe ancora gestibile”.

Massimiliano Boschi

 

Giacomo Papi.
Scrittore e giornalista, dirige il Laboratorio Formentini di Milano per la Fondazione Mondadori e cura la sezione Storie/Idee per il Post. Ha scritto molti libri tra cui “Il censimento dei radical chic” per Feltrinelli e l’antologia “Italica. il Novecento in tre racconti (e tre profezie)” per Rizzoli.

Immagine di apertura: Milano (© Tommaso Picone da Pixabay)

 

 

 

 

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