Vestire chi ha freddo. Viaggio nella Kleiderkammer di Bolzano

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Bolzano. “Vuole un paio di scarpe” dice la signora bionda. Vicino a lei c’è un ragazzo che indica le sue sneakers, dice che sono leggere, che fa freddo e gli servono scarpe, scarpe. Un’altra signora al computer dietro al bancone controlla e scuote la testa, “ma se un mese fa ti abbiamo dato delle buone scarpe da montagna, dove sono finite?” gli risponde, e mi dice “possono prendere le scarpe solo ogni tre mesi, altrimenti non ce ne sono abbastanza per tutti”. Scene ordinarie alla “Kleiderkammer” di Bolzano. Il punto di raccolta di vestiario è gestito dalla Vinzenzgemeinschaft in un grande magazzino, si entra da una laterale di via Andreas Hofer, in centro città. Qui per tre giorni alla settimana i bolzanini portano i vestiti e la biancheria che non utilizzano più e qui per tre giorni alla settimana le persone che ne hanno bisogno possono prendere quello che gli serve.

Visitiamo la Kleiderkammer in un opaco mercoledì di dicembre, mentre a pochi metri di distanza il mercatino di Natale ha già acceso le sue luci, per parlare con la sua direttrice (la signora del computer che ha controllato le scarpe), Christine Sartori. Gli orari di accettazione e consegna coincidono e c’è un bel via vai tra chi porta e chi prende. Chi porta si riconosce subito, in genere sono signore, in genere hanno in mano le borse di qualche boutique del centro colme di abiti da regalare. Chi porta può entrare direttamente, Aymen, la guardia giurata all’ingresso, apre la porta con un sorriso. Chi prende invece deve aspettare il suo turno davanti al grande ingresso-garage della Kleiderkammer. Chi porta e chi prende s’incrociano, ma solo per pochi secondi, per pochi metri.


Christine Sartori, direttrice della Kleiderkammer di Bolzano. Foto Venti3

All’interno, i vestiti donati vengono controllati uno a uno su un grande tavolo , devono essere puliti e in buone condizioni. Se passano il check vengono poi gestiti in una seconda stazione, dove signore solerti li piegano, se serve li stirano addirittura, per poi suddividerli per taglia e tipologia sugli scaffali, l’ordine è impressionante. Ma come ci riuscite? chiedo a Sartori, che si mette a ridere…”le mie colleghe ci tengono molto, tutto deve essere sistemato per bene e poi quando consegniamo gli abiti dobbiamo sbrigarci, tutto deve andare veloce, e l’ordine ci facilita” ci spiega. Le colleghe e i colleghi sono i volontari che prestano servizio sia nel “front office” , alla consegna degli abiti, che dietro le quinte, all’accettazione e alla sistemazione. Quando Sartori ha iniziato, quindici anni fa, erano in tre volontari, ora sono in venti. Mentre parliamo ogni tanto la sua energica vice, Gabi Niederstätter (la signora bionda delle scarpe) si scusa ma ci deve interrompere, qualcuno ha bisogno della direttrice… intanto leggo uno dei fogli alle pareti dietro il bancone, ci sono i nomi dei volontari e delle volontarie e i loro compleanni. “Due volte all’anno andiamo tutti a mangiare la pizza insieme” ci racconta Sartori che intanto è tornata. Di persone che danno una mano ce ne sarebbe ancora bisogno, ma occorre dare la disponibilità almeno due volte al mese.

L’ordine sugli scaffali alla Kleiderkammer. Foto Venti3

Ad essere ordinati alla Kleiderkammer non sono solo gli abiti, ma anche le procedure, che rispondono ad un’organizzazione ben precisa.Da noi può venire chiunque, non chiediamo reddito o Isee e non si paga nulla, ma bisogna avere il numero” ci spiega Christine Sartori ” venerdì consegniamo i numeri per le donne che vengono poi a prendere i vestiti il lunedì, mentre il martedì diamo i numeri per gli uomini, che vengono a ritirare il mercoledì e il venerdì. È tutto registrato, le persone possono venire solo ogni sei settimane”.

Non ci sono limiti particolari per la consegna di vestiti, salvo per alcune categorie, come ad esempio i pantaloni “Oggi ad esempio si sono prenotati da noi 22 uomini e trovare anche un solo paio di pantaloni a testa non è facile. E poi le scarpe, come detto, abbiamo poche donazioni di scarpe maschili, gli uomini tendono a portarle fino all’ultimo”. Non come noi le donne! – mi scappa, e lei annuisce sorridendo. “Abbiamo poco per gli uomini e invece ci portano troppi indumenti femminili, le ragazze giovani comprano comprano e comprano, fare shopping è diventato un hobby …ci arrivano cose ancora con il cartellino attaccato. Costa poco e allora magari ne comprano tre pezzi, poi a casa si accorgono che non gli piaceva…e vista la bassa qualità, la raccolta dell’usato non è più un affare, al contrario, è un costo. Negli ultimi tempi la situazione è peggiorata”. Come noto, negli ultimi anni il settore del recupero tessile ha conosciuto una crisi dovuta proprio al fast fashion e all’ultra fast fashion- da luglio scorso a Bolzano c’è un nuovo sistema di raccolta, per cui i cassonetti della Caritas in città sono stati eliminati (ne abbiamo parlato nell’intervista a Susanne Barta e anche qui).

La cartina con la lista dei paesi da cui provengono gli ospiti (dettaglio)

Tornando alla Kleiderkammer, chiediamo alla direttrice chi sono le persone che vengono a chiedere vestiti, anche se il grande foglio a3 con illustrazioni di indumenti – pantaloni, sciarpe, guanti, slip, non lascia molti dubbi. “Soprattutto uomini che sono arrivati qui dal Marocco, dall’Algeria, dalla Tunisia. Se non parlano le nostre lingue possono indicare quello che gli occorre sul foglio. Ma spesso non è facile” racconta Sartori, a cui capita di subire modi sgarbati, ma anche toni minacciosi…ma perché? “Spesso sono persone molto frustrate dalla situazione di vita, ne abbiamo tanti che dormono all’aperto ed è terribile…e magari gli diamo un sacco a pelo, che però poi si bagna o la Seab gli butta via tutto…”. Sartori sembra ampiamente vaccinata per affrontare anche le situazioni più difficili e poi all’ingresso c’è Aymen, la guardia giurata. Viene dalla Tunisia e presta servizio alla Kleiderkammer da due anni. “Nei momenti di tensione l’importante è rimanere calmi e non farsi contagiare dal nervosismo” ci racconta a proposito. Prima di lasciare la direttrice al suo daffare le chiediamo di dirci qual è la cosa più difficile del suo lavoro. “Che le persone se ne vadano contente perché abbiamo trovato quello di cui avevano bisogno” ci dice. E la cosa più bella? “Le mie colleghe e i miei colleghi!” ci risponde senza esitare, e aggiunge: “e quando i giovani mi fermano per strada per ringraziarmi, è una cosa che dà molto”.

Caterina Longo

Immagine in apertura: la Kleiderkammer gestita dalla Vinzenzgemeinschaft con un gruppo di volontarie e volontari, dicembre 2025.
Foto Venti3

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