Il digital detox? All'ex-cappella del NOI Techpark

La forza di certi interventi di architettura sta nell’essere appena percettibili, lasciando che siano le tracce lasciate dal tempo a parlare. È quanto si percepisce quando si varca la soglia dell’ex-cappella del NOI Techpark di Bolzano, il cui sapiente restauro degli architetti Barbara Breda e Markus Scherer con draw studio si è aggiudicato, nel novembre scorso, il 10 premio architettura Alto Adige 2022 nella sezione “interni”. La cappella venne edificata nel 1952 come luogo di raccoglimento per gli operai che lavoravano nello stabilimento di alluminio Alumix, oggi parte dell’ampio complesso del NOI Techpark, hub dell’innovazione altoatesina. Con la chiusura dello stabilimento, dagli anni ’70 la cappella è stata sconsacrata ed è rimasta a lungo abbandonata allo scorrere del tempo. Fino a quando la direzione del NOI non ha deciso di darle una nuova vita con l’intervento di restauro per destinarla a spazio “digital detox”, in cui i diversi team del NOI possono recarsi per aprire la mente alla creatività, staccando da social media, smartphone e tablet.

L’ex-cappella è un luogo insolito, lontano dalle aspettative di idillio e poesia a cui una certa estetica alpina di tante chiesette e cappelle sudtirolesi ci ha abituato, almeno all’interno dell’immaginario turistico. Collocata in un contesto industriale, poco percepibile dall’esterno, la sua architettura semplice, di marmi e (finti) broccati parla un linguaggio totalmente diverso, più umile e ingenuamente kitsch forse, ma che proprio nel contrasto conserva un suo punto forte di interesse (lo stesso che il fotografo Davide Perbellini ha colto nel suo progetto “Madre di Dio” con le fotografie delle chiese costruite in Alto Adige tra il ’45 e gli anni ’80, vedi qui). Parlando con gli architetti, scopriamo, ad esempio, che il rivestimento di broccato sulla parete absidale è in realtà una pittura, che imita stoffe preziose “era di moda a quel tempo, si apponeva con dei rulli speciali”, raccontano. Un’illusione insomma, ma sottile e attenta ai dettagli: addirittura l’effetto della luce che, passando dalla grande finestra laterale, sembra colpire la “stoffa” della parete è in realtà un dipinto. Lo stesso tranello visivo è stato utilizzato nella nicchia sopra l’altare, oggi svuotata della sua statua, con il mosaico dorato che sembra illuminato dalla luce: anche in questo caso si tratta di pittura.

Grazie all’intervento di restauro, oggi lo spazio della cappella trasmette un fascino ibrido, un sano spaesamento, la cui bellezza sta proprio nel lasciarci nel dubbio, cullarci – ma senza scossoni- tra i segni della sua funzione passata e di quella presente, della dimensione sacra e di quella profana. Come sottolineato dalla giuria del premio “L’interno è stato restaurato con grande cura preservando la leggibilità della stratificazione storica. Anche se aleggia ancora una certa aura di spiritualità dovuta all’altare, alle strutture e ai materiali, si è deciso di ricavare uno spazio di lavoro autonomo privo di funzioni specifiche e ambivalente.”

L’ingresso dell’ex-cappella. Negli armadietti della struttura metallica vengono depositati smartphone e device prima di entrare. Foto Tommaso Riva

“Lo spazio ci è sembrato da subito molto suggestivo. Per noi era importante che rimanesse ‘leggibile’ così come lo abbiamo trovato, senza occultare le tracce di degrado, anzi conservandole come parte della storia dell’edificio, che abbiamo anche indagato tramite ricerche d’archivio”, racconta Breda. Una sfida non facile, perché, per motivi di conservazione (l’edificio è sotto tutela), la struttura doveva essere mantenuta , compresi elementi interni fortemente caratterizzanti, come l’altare – la cui sacralità è stata “depotenziata” creando un’oasi verde, con diversi vasi di piante. Questa zona è stata destinata al relax ed è arredata con elementi mobili, come poltrone e divani di recupero – una scelta che si inserisce nell’idea di mantenimento. Lo spazio antistante, di quella che una volta era la navata, ospita invece dei tavoli mobili e componibili a seconda delle necessità, per momenti di scambio e brainstorming.

“Un tema importante è quello della sicurezza: la problematica di edifici di quel periodo è che sono costruiti con materiali poveri, che con l’abbandono tendono a disintegrarsi. Un intervento troppo forte avrebbe fatto perdere la patina del tempo. Ci siamo quindi limitati a mettere in sicurezza il soffitto attraverso una rete metallica di protezione, che proteggesse, ma al contempo lasciasse visibile la struttura del soffitto e fosse utilizzabile come supporto per attrezzature tecnologiche, e le le luci. Abbiamo nascosto le altre attrezzature tecniche indispensabili nel confessionale, dove si trova anche una mini cucina” spiegano gli architetti.

Quando gli chiediamo la ricetta per un restauro ben riuscito, se si sono ispirati a qualche esempio, senza esitazione Breda e Scherer ci rispondono che “Più che ad un esempio, ci siamo fatti guidare da un metodo di lavoro, dal come : il contesto ha inscritte in nuce molte risposte concettuali, basta saperle ascoltare. Leggendo la storia e le tracce dell’edificio si traggono degli spunti utili su come procedere. In fondo è una questione di attenzione, attenzione nel guardare le cose”.

Caterina Longo

Immagine in apertura: l’interno dell’ex-cappella del NOI Techpark come appare oggi. Foto Tommaso Riva

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