Stesso lavoro, paga minore: quei 33 euro giornalieri di gender pay gap

Fanno lo stesso lavoro degli uomini ma vengono pagate meno: anche in Alto Adige, come nel resto del Paese, le paghe non rendono giustizia alle donne. Considerando i rapporti di lavoro a tempo pieno il differenziale retributivo è del 17,2% a svantaggio delle donne: il gender pay gap rimane elevato. Lo ricorda l’Astat analizzano i dati dell’Inps. Differenziali nelle retribuzioni sono notevolmente influenzati da caratteristiche quali l’anzianità di servizio, la quota di lavoro part-time, il settore economico e la tipologia contrattuale.

Dall’analisi dei dati INPS emerge che la retribuzione media giornaliera  nel 2016 ammonta a 96,56 euro. A livello aggregato, il divario fra maschi e femmine appare subito rilevante: a fronte di un salario medio giornaliero pari a 109,87 euro percepito dai lavoratori maschi, le lavoratrici incassano mediamente 76,85 euro. Il Gender Pay Gap ammonta quindi a 33,01 euro in termini assoluti ed al 30,0% in termini relativi.

La complessità dell’analisi della variabile retributiva emerge esaminando i dati nel dettaglio. Già distinguendo tra lavoro full-time e part-time, la situazione muta considerevolmente. In entrambi i casi il Gender Pay Gap (tempo pieno: 17,2%; tempo parziale: 12,3%) mostra valori inferiori rispetto al dato medio aggregato (30,0%). Essendo il mondo del lavoro caratterizzato da un’elevata percentuale di donne con un impiego part-time (il 49,5% contro il 13,0% degli uomini), i compensi relativamente bassi in questa tipologia contrattuale incidono sul valore medio calcolato a livello aggregato.

Questo esempio richiama la necessità di utilizzare possibilmente dati disaggregati, per misurare la “parità retributiva a parità di lavoro”. Nella seguente analisi del differenziale retributivo sono stati considerati esclusivamente i lavoratori a tempo pieno e le loro retribuzioni distinte per settore economico, qualifica professionale, tipologia contrattuale, numero di settimane retribuite ed età. A tal fine sono state utilizzate tutte le variabili di classificazione messe a disposizione dall’INPS.

Ecco l’intero studio Astat.

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