Dall’Italia alla Germania passando per l’Alto Adige: le finte patrie dei sovranisti

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A oltre tre mesi di distanza, può valere la pena tornare a ricordare i risultati del referendum sulla cittadinanza tenutosi lo scorso giugno, soprattutto quelli altoatesini. Un dato utile a inquadrare al meglio le politiche “sovraniste” che dominano attualmente la politica nazionale e internazionale. Come si ricorderà, il tasso di affluenza a livello nazionale si è fermato al 30%, mentre l’Alto Adige non solo è risultata la provincia con la minore affluenza nazionale (15,87%), ma anche l’unica in in cui hanno prevalso i No. Un risultato ottenuto essenzialmente grazie alla propaganda della destra secessionista sudtirolese, quella del “Südtirol ist nicht Italien”.
Per comprendere meglio il contesto, sia concessa una estrema sintesi: i sovranisti italiani non sopportano gli immigrati che vogliono diventare italiani, ma tanto meno sopportano i sovranisti sudtirolesi che NON vogliono sentirsi italiani. Questi ultimi, a loro volta, non sopportano che gli immigrati possano diventare italiani, anche se nemmeno loro vogliono esserlo. Labirinti identitari che dimostrano come i sovranisti abbiano ormai rinnegato esplicitamente le loro radici nazionaliste.

“Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani” è una nota e citatissima frase attribuita a Massimo d’Azeglio, ma in realtà formulata da Ferdinando Martini nel 1896. Per decenni, infatti, l’Italia ha continuato a essere un coacervo di popoli diversi, non solo per l’attaccamento a tradizioni e lingue diverse tra loro, ma anche e soprattutto per uno scarso desiderio di unità. Non è un caso che a sessant’anni dall’Unità d’Italia, Benito Mussolini si esprimesse così: “il fascismo deve volere che dentro i confini non vi siano più veneti, romagnoli, toscani, siciliani e sardi: ma italiani, solo italiani”.
Ovvero: chi abita dentro i confini nazionali va italianizzato, indipendentemente dalla lingua parlata (crediamo non sia necessario spiegare ai lettori altoatesini cosa questo abbia significato).
I sovranisti italiani di oggi, invece, sembrano preferire la deportazione – anche se la chiamano remigrazione – all’italianizzazione più o meno forzata, trovando così una sponda anche tra  “nemici storici” come i secessionisti sudtirolesi.
Segnali di un sovranismo che più che basarsi sull’idea di amor patrio, sul desiderio di appartenere a una nazione grande e potente, si fonda essenzialmente sull’odio del nemico interno.  L’ “amor patrio” dei sovranisti è chiaramente del tutto strumentale, serve essenzialmente a mimetizzare l’odio per il nemico interno, per il vicino di casa colpevole di non parlare la stessa lingua o di avere un colore della pelle diverso. Da questo punto di vista, la trasformazione della Lega di Matteo Salvini da secessionista a sovranista non risulta per nulla bizzarra. E’ bastato sostituire i meridionali con gli extracomunitari, la Padania con l’Italia (una patria vale l’altra) e tutto è filato a meraviglia.

Da anni, la forza e l’identità dei sovranisti, in Italia, in Europa e nel resto del mondo, si basa essenzialmente sulla costruzione di un nemico interno e sull’esaltazione dei pericoli che rappresenta. Alice Weidel, leader dell’Afd tedesca, risiede in Svizzera, ma questo non le sta facendo minimamente perdere i vasti consensi acquisiti in Germania grazie alla propaganda contro i nemici interni: gli immigrati. Funziona così in tutta Europa, in Italia, in Alto Adige e nel resto del mondo. I partiti sovranisti vincono le elezioni quasi ovunque, mentre le loro politiche dettano le agende di tutti i governi, sovranisti o meno, democratici o autocratici. I risultati sono conseguenti, basta guardarsi intorno.

Massimiliano Boschi

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