Ripensare la moda e salvare il pianeta, le giornate di Fashion For Future a Bolzano

“Possiamo salvare il mondo ogni volta che apriamo il nostro armadio”. Si potrebbe titolare così, parafrasando il celebre saggio di Jonathan Safran Foer sulla crisi ambientale (Possiamo salvare il mondo, prima di cena) il programma che dal 27 aprile al 6 maggio prossimo animerà gli eventi di “Fashion For Future” a Bolzano, una serie di giornate d’azione per sottolineare l’importanza di una produzione tessile equa e rispettosa dell’ambiente in Alto Adige. Fashion for future si ricollega al movimento internazionale Fashion Revolution, che da dieci anni si batte per vedere riconosciute condizioni di lavoro eque in tutto il mondo in seguito al disastro di Rana Plaza a Dacca in Bangladesh, in cui morirono oltre 1000 lavoratrici del settore tessile in seguito al crollo delle fabbriche tessili.
L’obiettivo è alto e, come spesso capita quando si parla di temi intorno alla crisi ambientale, ci si trova ad affrontare fatti e storie che non funzionano veramente: passato lo sdegno momentaneo di fronte a questa o quella piccola grande catastrofe naturale e non, si tende a mantenere le abitudini di sempre: “la crisi del pianeta non si è dimostrata una buona storia. Non solo non riesce a convertirci, non riesce neppure a interessarci (…) Se una cricca di psicologi malvagi si fosse radunata in una base sottomarina segreta per ordire una crisi che l’umanità sarebbe stata irreparabilmente impreparata a fronteggiare, non avrebbe potuto escogitare di meglio dei cambiamenti climatici”  spiegava Foer nel saggio sopra citato. Tra chi non si scoraggia a raccontare storie poco facili c’è Susanne Barta, blogger Slow fashion, che da anni è impegnata fattivamente per la moda sostenibile, tra l’altro anche raccontando esperienze locali e internazionali sul suo blog, molto seguito. Insieme a Rete delle Botteghe del Mondo dell’Alto Adige, l’OEW-Organizzazione per Un mondo solidale, la facoltà di Design e Arte di unibz, Barta ha co-organizzato le iniziative di Fashion For Future, che vede uniti, per la prima volta, diversi attori e attrici attivi sul territorio per la moda sostenibile in un’iniziativa comune. “L’industria tessile è enorme e si caratterizza per lo sfruttamento delle risorse ambientali e umane – perché ancora molto viene prodotto a mano. Ed è orientata al profitto, che viene al primo posto. Dal fast fashion si sta passando all’ultra fast fashion: si produce a ritmo continuo; ci sono aziende che arrivano a produrre 52 collezioni all’anno, si basano sulle tendenze dei social e nel giro di pochissimi giorni sono in grado di sfornare nuove serie di abiti. Gran parte dei vestiti viene poi gettata via e distrutta andando a pesare per una seconda volta sull’impatto ambientale dei paesi del sud del mondo che l’hanno prodotta. Insomma, quello della moda è un sistema lineare e non circolare e non può funzionare a lungo in una società che deve affrontare il cambiamento climatico”, spiega Barta.

La vertigine inarrestabile del “compra usa e getta”

In effetti, basta guardare qualche dato (fonte Parlamento Europeo ) per comprendere la drammaticità della situazione. Solo per citarne alcuni: per produrre una sola maglietta di cotone occorrono in media  2.700 litri di acqua dolce, un volume pari a quanto una persona dovrebbe bere in 2 anni e mezzo; l’industria tessile è responsabile del 10% delle emissioni mondiali dei gas a effetto serra ed emette più gas serra dei voli internazionali e dei trasporti marittimi messi insieme; ogni anno finiscono in mare 0.5 milioni di tonnellate di fibre sintetiche. Ma anche le abitudini di noi consumatori sono cambiate, e non positivamente: a seguito del forte calo dei prezzi, dal 1996 la quantità di indumenti acquistati nell’UE per persona è aumentata del 40%; con un conseguente riduzione del ciclo di vita dei prodotti. Molti capi vengono indossati solo da sette a dieci volte prima di essere buttati via. Si tratta di un calo di oltre il 35% in soli 15 anni. Gli indumenti usati possono essere esportati al di fuori dell’UE, ma per lo più vengono inceneriti o portati in discarica (87%). A livello mondiale, meno dell’1% degli indumenti viene riciclato come vestiario, in parte a causa di tecnologie inadeguate.(qui abbiamo parlato di upcycling virtuoso in Italia). Insomma, una spirale inarrestabile del “compra, usa e getta” fatta di continui desideri estemporanei, in cui la qualità è drammaticamente sempre più scadente. L’Alto Adige non fa eccezione. Un caso esemplare è quello della raccolta di vestiti usati: secondo di dati dell’OEW in una cittadina come Bressanone ogni anno vengono raccolti in media circa 229.000 chilogrammi di indumenti nei contenitori gialli, indumenti poi rivenduti per sostenere progetti sociali. Mentre, negli anni, la quantità dei vestiti è rimasta invariata, la qualità è diminuita drasticamente, rendendo impossibile la vendita, a causa della cattiva lavorazione. “Gran parte di essa non è nemmeno adatta al riciclaggio come materiale isolante o come stracci per la pulizia” precisava OEW nel comunicato del novembre 2022. Il dato è sconcertante: se nel 2018 i proventi delle vendite erano stati pari a 41.297 euro, nel 2021 sono scesi a un misero importo di 223 euro.

Abiti usati. Foto El sun/pixabay

Che fare?

In questo contesto poniamo a Barta una domanda da “un milione di dollari”, ovvero che cosa si può fare? “Non c’è azienda che non abbia sul tavolo la questione ambientale da affrontare, ma ognuna lo approccia in maniera diversa, spesso si tratta del cosiddetto green washing in cui entrano in gioco i reparti marketing. Serve l’interazione tra chi acquista, i cittadini e le cittadine e la politica… nell’Unione europea qualcosa sta andando avanti con un progetto di legge e un piano d’azione per l’economia circolare” continua Barta. Nel marzo 2022 la Commissione europea ha infatti presentato una nuova strategia per rendere i tessuti più durevoli, riparabili, riutilizzabili, riciclabili e in grado di affrontare il fenomeno della fast fashion stimolando l’innovazione nel settore. E noi consumatrici e consumatori cosa possiamo fare, concretamente? “Usare di più la testa quando acquistiamo un capo di vestiario, pensare se ci serve veramente, se lo indosseremo a lungo… insomma cercare di consumare meglio e poi ragionare in termini di economia circolare: quando un abito non ci occorre più, rimetterlo in circolo o provare ad essere creativi… ma certo, non tutti lo sono. In ogni caso: anche una piccola cosa, un passo, è meglio che niente”, precisa Barta.
“Amiamo la moda, ma non vogliamo che per realizzare il nostro abbigliamento le persone vengano sfruttate e il pianeta distrutto” è uno dei motti delle giornate del Fashion For Future. “La moda è divertente, attraverso gli abiti esprimiamo noi stessi, ma non siamo obbligati a seguire tutti i trend per forza, anche perché ad ognuno di noi stanno bene cose diverse. Bisogna ricordare che non è la moda sostenibile ad essere cara, ma quella non sostenibile ad essere troppo economica. Certo molto dipende anche dalle possibilità di ognuno, a seconda del budget trovo che non ci sia nulla di male a comprare un pezzo da una grande catena, se poi lo portiamo a lungo”. Una buona alternativa sono i negozi vintage e di abiti usati, che negli ultimi anni stanno aprendo a Bolzano e in provincia. Barta li ha raccolti in una mappa Josef – the insider Sustainable Fashion Maps insieme a FranzLab (qui i luoghi in cui è ritirabile gratuitamente). “È vero, qualcosa sta cambiando in Alto Adige, c’è sempre più consapevolezza e comincia a dissolversi anche una certa diffidenza verso gli abiti usati. Ma è tutt’altro che facile, gli affitti per i locali sono alti ed il margine di guadagno è relativo. Nonostante tutto, qualcuno ce la fa. Ma c’è ancora molta strada davanti a noi, quello che mi sta a cuore è cercare di dare più visibilità possibile a queste iniziative, informare collegare le persone e i diversi player.” prosegue Barta “Con le giornate di Fashion For Future vogliamo mostrare che altre vie sono possibili. E poi ce la raccolta firme per la petizione europea  “goodclothesfairpay” , che richiede condizioni di lavoro eque per la manodopera del settore tessile.”

Fashion For Future

Le Giornate di azione Fashion For Future si inaugurano giovedì 27 aprile alle ore 15; alla Libera Università di Bolzano si svolge una mostra in cui artiste e artisti internazionali mettono in scena in chiave multimediale il tema della sostenibilità e dell’equità nella moda e gettano uno sguardo nuovo sulla materia prima “tessuto”. Segue, alle ore 16, una tavola rotonda sulle dinamiche globali dell’industria tessile e sulle sfide che il settore si troverà ad affrontare in futuro con Marina Spadafora, ambasciatrice del Fair Fashion e coordinatrice di Fashion Revolution Italia, Deborah Lucchetti della Campagna Abiti Puliti e Alexandra Letts del Gruppo Oberalp. La tavola rotonda si svolge in lingua inglese ed è moderata da Susanne Barta. I giorni di Fashion For Future comprendono un fitto programma di laboratori di upcycling e cucito, swap-parties, proiezioni di film e visite a sarte locali, per il programma completo vedi qui

Caterina Longo

Immagine in apertura: il team organizzativo di Fashion For Future,  Brigitte Gritsch/Netzwerk Südtiroler Weltläden, Verena Dariz/OEW, Susanne Barta , Aart van Bezooijen/UniBz e  le due studentesse del team Marielle und Maiella 

 

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