Dalla Croazia a Bolzano tra tamponi e drive-in: cronaca di un rientro al tempo del Covid

Quella che sta finendo è stata forse l’estate più particolare di sempre, vissuta tra mascherine, gel disinfettanti e distanziamento tra gli ombrelloni. Un estate che fino a qualche mese fa era difficile da immaginare, con le nostre menti ancorate al lockdown vissuto tra marzo e maggio, e con quella concreta possibilità di non vedere il mare che si faceva sempre più spazio. Alla fine però, la curva dei contagi e la situazione epidemiologica hanno permesso di poter viaggiare e spostarsi di nuovo, ed è quindi partita la caccia all’offerta last-minute per riuscire a scappare dalla città anche per qualche giorno. Chi scrive aveva periodo di vacanza dal 10 al 24 agosto, e ha prenotato le ferie tre settimane prima di partire. Ho deciso di recarmi in Croazia, a Opatija per la precisione, una città a 70 km dall’Italia e con quasi 12.000 abitanti dell’Istria nord-orientale, appartenente alla regione litoraneo-montana con forte vocazione turistica. La regione ha una bassissima percentuale di casi e me lo conferma anche il sito del Governo croato. Sardegna e Puglia? Pochissimi posti disponibili e prezzi alle stelle. Il piano era il seguente: una settimana a Opatija fino al 17 agosto e poi toccata a Napoli per salutare parenti vari. Una vacanza che era partita con ottime premesse ma che si sarebbe presto trasformata in una rincorsa al tampone.

L’ombra del tampone su Opatija

Appena arrivati a Opatija io e la mia morosa notiamo subito che di mascherine non c’è ne neanche l’ombra, ne sul viso, ne sotto al mento e neanche attorno al braccio. Nessuno le indossa o le porta con se e la cosa ci lascia alquanto sbalorditi. Sono pochi anche i camerieri e i lavoratori a contatto con il pubblico che ce l’hanno. Ci prepariamo quindi a trascorrere una settimana da alieni, visto che nel centro della città tutti ci guardano come se fossimo noi quelli strani che cerchiamo di proteggerci. Le giornate trascorrono bene all’insegna del relax fino a giovedì 13 agosto, quando veniamo a conoscenza dell’entrata in vigore del nuovo decreto del Ministro della Salute. Essendo in vacanza ho cercato di staccare il più possibile dal lavoro, dando solo qualche occhiata fugace ogni tanto ai titoli dei giornali, perdendomi così la notizia più importante della giornata. Corro su internet a controllare il testo. «L’ ordinanza del 12 agosto 2020 prevede l’obbligo di presentare un test molecolare o antigenico, con risultato negativo, effettuato per mezzo di tampone nelle 72 ore antecedenti l’ingresso in Italia, oppure l’obbligo di sottoporsi al tampone al momento dell’arrivo (con test rapidi che saranno sperimentalmente adottati nei principali aeroporti) o nelle 48 ore dal rientro in Italia per chi arriva da Croazia, Grecia, Malta e Spagna».

 

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E ora che si fa?  Il nostro rientro in Italia è previsto per lunedì 17 con immediata ripartenza da Trieste per Napoli. Le possibilità sono due: far saltare i cinque giorni al sud tornando a Bolzano, eseguendo il tampone e perdendo metà settimana chiusi in quarantena in attesa del risultato, oppure cercare di effettuarlo in Croazia. Mi dirigo in albergo a chiedere informazioni. La receptionist fa qualche telefonata in diversi studi privati per conoscere prezzi e disponibilità. Nei pressi di Opatija c’è solo una clinica che effettua tamponi, ma ha già l’agenda piena per le prossime due settimane e i prezzi sono comunque esorbitanti. L’unico briciolo di speranza rimane aggrappato al fatto che il tampone ce lo avrebbero effettuato al confine con l’Italia al nostro rientro in un qualche hotspot, ma è troppo poco per tentare la sorte. Ormai rassegnati al destino di dover tornare a Bolzano, tento l’ultima carta per provare a salvare le vacanze: allungare di un’altra settimana la permanenza a Opatija annullando la trasferta a Napoli, per buona pace dei parenti. Chiamatela fortuna, ma il tentativo va a buon fine. Il nostro albergo ha ancora disponibilità, e mi fa prenotare per altre sei notti facendomi anche uno sconto vista la situazione che si era venuta a creare. Dimentico momentaneamente l’accaduto e continuo a godermi la vacanza rispettando rigorosamente le misure di sicurezza anti Covid.

Il rientro in Italia

Domenica 23 agosto ci prepariamo per ritornare a Bolzano. Al mattino inviamo una mail all’azienda sanitaria per informare del nostro rientro da un Paese a rischio e chiedendo appuntamento per effettuare il tanto agognato tampone. Poco prima di mezzogiorno attraversiamo prima il confine tra Croazia e Slovenia dove ci viene chiesto solamente un documento, e poi quello tra Slovenia e Italia. Controlli? Zero. Nessun tampone e nessun agente di polizia che possa assicurare che chi rientra in Italia poi lo vada a fare questo benedetto tampone. Siamo di fatto dei fantasmi che potrebbero anche fregarsene di svolgere il test, ma il buon senso prevale sul resto. Arrivati a Trieste proviamo quindi a telefonare all’Asl per capire come dobbiamo muoverci. La linea riusciamo a prenderla soltanto dopo sette/otto tentativi. «Si, abbiamo ricevuto le vostre mail. Vi mandiamo a breve una comunicazione riguardante il periodo di permanenza domiciliare fiduciaria che dovete rispettare e domani verrete ricontattati dall’ufficio Coronavirus». Nel giro di un’ora ci arriva il documento e anche la data del tampone: martedì 25 agosto. Arriviamo a Bolzano la sera tardi e cominciamo il nostro secondo lockdown in attesa di poter effettuare il test.

L’indomani ricevo due telefonate. Nella prima mi viene chiesto se ho sintomi, se mi sono misurato la febbre e come sto in generale. «Sto benissimo e non ho alcun tipo di sintomo», rispondo. «Ottimo, si sente dalla sua voce che sta bene, ci risentiamo presto», mi dice l’operatore. Al pomeriggio mi chiama una gentilissima signora che mi dà l’orario in cui presentarmi e mi spiega come raggiungere il posto dove svolgere il tampone. Appuntamento alle 16.30 ai container drive-in dietro la Claudiana. Chiamo la mia ragazza per sapere se anche lei ha ricevuto tutte le comunicazioni. Anche lei è stata invitata alle 16, con il piccolo particolare però che lei non ha la macchina. «Forse vengono a prendermi in ambulanza», mi dice. La cosa mi fa un po’ sorridere, ma poco dopo mi richiama dicendomi che può presentarsi lì pure a piedi o in bici. Riattacco con una sensazione addosso tra il grottesco e la curiosità di vivere in prima persona l’esperienza di effettuare questo famoso esame.

Arriva il martedì, e alle 16.10 salgo in auto e mi dirigo in zona Ospedale. Il drive-in è facile da trovare: alla rotonda dopo la cantina dei vini si imbocca la seconda uscita, si entra nel parcheggio della Claudiana e sulla sinistra un grosso cartello ti indica la via. Mi si presentano davanti due container, io mi devo mettere in fila in quello «A». Davanti a me ci sono due auto e un uomo in bicicletta. Guardo nella fila «B» e noto due ragazze sotto al sole che aspettano in fila in mezzo alle auto. Ascolto un po’ di musica per far passare quella normale ansia che mi pervade, quando un’operatrice si affianca all’auto chiedendomi un documento ed il motivo del tampone. Dopo altri dieci minuti d’attesa arriva il mio turno. Abbasso il finestrino e vedo questo lungo cotton fioc che viene estratto da una busta sterile. Un briciolo di agitazione c’è, e forse l’operatrice deve averlo notato, non solo dal sudore che mi scendeva dalla fronte. «Sarà molto veloce, apri la bocca». Subito dopo il tampone mi entra anche nelle narici, prima la sinistra e poi la destra. La sensazione è veramente fastidiosa, quanto basta per farmi lacrimare. «Vuol dire che è stato eseguito bene», mi dice lei. Io sorrido mentre ricevo indietro il documento e due fogli con le indicazioni su come visualizzare il referto. «24/48 ore e avrai il risultato online». «Benone», penso dentro di me. Nei giorni precedenti mi era stato detto che avrei ricevuto il risultato telefonicamente. Sarebbe stato un gran dispendio di energie chiamare ad uno ad uno tutti i pazienti, no?

Rientro a casa e comincia la classica routine per cui ogni mezz’ora si controlla il sito per vedere se è stato caricato qualcosa. È inutile negare che di agitazione ce n’era tanta, anche se dentro di me aleggiava quella sbagliata convinzione per cui era impossibile che proprio io mi fossi beccato il Coronavirus. Mercoledì 26 agosto verso mezzogiorno esce il bollettino della Provincia: cinque nuovi casi su quasi 1500 tamponi effettuati. «Chissà se ci sono anche io lì in mezzo…», penso. Controllo il sito dei referti ma la risposta è la stessa  del giorno prima: «Result not available». D’altronde non sono passate neanche ventiquattr’ore. Nel mezzo vengo richiamato per fornire le mie condizioni di salute. Non ho sintomi quindi liquido velocemente la telefonata. La giornata prosegue lentamente, tra lavoro in smart working e il caldo di fine agosto. Dopo cena però, verso le 20.30 decido di ricontrollare, non sia mai che hanno caricato qualcosa. Aggiorno la pagina e vedo un file allegato. Il cuore comincia a battere più forte, scarico il file e apro. Gli occhi sono subito rapiti dalla riga in cui è specificato il risultato «NON RILEVATO». Chiamo subito la mia ragazza dicendole di controllare il sito. Anche a lei è stato comunicato lo stesso risultato. Entrambi negativi e quarantena durata solamente tre giorni. Una sensazione di liberazione mi pervade per una storia conclusa con il lieto fine. Rimane però la convinzione di aver vissuto vacanze decisamente più rilassanti.

Alexander Ginestous

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