Dal distanziamento sociale al contatct tracing: la psicologia della fase 2 e il significato dei rapporti umani

Ci stiamo tutti avvicinando alla cosiddetta “Fase 2” di gestione dell’emergenza Coronavirus: chi con euforie, chi con preoccupazioni, chi semplicemente inseguendo lo stato di necessità. Una fase per certi versi confusa, la cui definizione dettagliata è ancora sul banco di prova ma che tra le poche certezze pare dovrà prevedere un rigido distanziamento sociale, l’utilizzo categorico di mascherine e altri DPI e il monitoraggio della diffusione del contagio attraverso applicazioni di contact tracing, tecnologie in grado di tracciare le persone infette e ricostruirne i contatti sociali tramite i loro cellulari.

Da un punto di vista ideale, razionale e progettuale non fa una piega, ma “tra il dire e il fare” noi tutti sappiamo che c’è di mezzo “un mare”. Un mare fatto di persone con le loro abitudini, le loro opinioni, le loro paure più o meno razionali, le loro trasgressioni, la loro disciplina interiore e i loro bisogni. Un mare insomma squisitamente psicologico.

L’essere umano, per quanto a volte si cerchi di dimenticarlo, è per sua natura un animale sociale. Un animale che cresce, impara, vive, piange o ride assieme e grazie anche e soprattutto alla presenza e al contatto con i suoi simili. Un animale con capacità intellettive limitate e che quando si sente in pericolo tende a fare branco e a comportarsi in modo istintivo. Un animale che, come molti altri, quando è costretto a prolungata “cattività” mostra crescenti probabilità di sviluppare disagi psichici più o meno stabili e dolorosi.

Non ci si meravigli dunque se con queste premesse la “fase due” possa risultare assai più complessa e rischiosa della “Fase uno”. La mente umana infatti reagisce al meglio a pericoli incombenti, evidenti, possibilmente visibili e per i quali ha a disposizione una strategia semplice, chiara e netta come è stato il lockdown. Nella fase due invece, quanto più semplice sarà la psiche di un soggetto tanto più alta rischia di essere la probabilità, peraltro umanamente comprensibile, di non riuscire a rispettare rigidamente le misure di prevenzione. Complici la primavera, il sole, la natura in fiore, l’indole sociale, animale e prettamente relazionale dell’essere umano potrebbe finire con il prevalere sulla componente normativa e razionale, portando a “disubbidienze” più o meno civili e consapevoli. Disubbidienze che affondano le loro radici in paure, euforie e altri meccanismi ancestrali, connaturati all’essere umano, selezionati da millenni di evoluzione e che, riverberati nella situazione attuale, rischiano di indebolire fortemente le misure di contenimento del contagio.

Lo scambio sociale e interpersonale, anche affettuoso e ravvicinato, è fonte di gioia, vitalità, allegria, benessere psichico e questo parrebbe essere particolarmente valido per i soggetti di età giovanile. Un meccanismo prossemico innato alla nostra specie lo evidenzia con chiarezza: al crescere della confidenza tra due individui diminuisce la distanza interpersonale che essi tengono in situazioni sociali. Si tratta di un meccanismo automatico. Certo, si può bloccare con un intervento consapevole ma richiede un minimo di “disciplina” nel soggetto, genera disagio ed un senso di artificiosità, esigendo peraltro un pur contenuto dispendio di energia psichica. Energia che di norma il nostro cervello tende a risparmiare.

Dall’avvento dell’era moderna però, anche la tecnologia partecipa alle dinamiche di evoluzione e selezione della specie e, come ulteriore variabile in gioco, non può far mancare il suo intervento anche in tempo di Coronavirus. Assistiamo così alla nascita di applicazioni che, sfruttando il sistema Bluetooth dei nostri cellulari, registrano i contatti che il proprietario intrattiene con altri simili entro un metro di distanza. Chi scarica l’app conserva sul proprio cellulare le informazioni relative alle interazioni con le altre persone che dispongono della medesima app e, nel momento in cui un utente dovesse risultare positivo, l’app notificherà alle persone con cui ha avuto contatti la possibilità di aver contratto il coronavirus.

Ma quali potrebbero essere le ricadute psicologiche di un sistema come questo? Panico consegnato “a domicilio”? Caccia all’untore telematica? Timori più o meno realistici ed ossessivi di invasione della propria sfera privata? Segreta paura di essere proprio noi a finire additati da tutti come malati, come pericoli da allontanare? Non sono dunque poche le dinamiche psicologiche che entrano in gioco nello spiegare validamente le origini delle numerose resistenze che le nuove disposizioni sanitarie stanno evocando nella popolazione e ciò proprio a causa della natura primitiva e istintiva dei meccanismi che vanno a colpire. Ciò però non significa che si vogliano sdoganare disfattismi o avanzare critiche sterili, al contrario. Riconosciute le radici istintive ed emotive di molti comportamenti umani, quello che si vuole ribadire ora con forza è un invito ad esercitare cautela, a non farsi prendere dalla frenesia, a non avere fretta. Godiamoci un passo alla volta il piacere delle ritrovate libertà e cogliamo l’occasione per ripensare a ritmi, valori e obbiettivi delle nostre giornate, ricordandoci che senza i rapporti umani tante altre cose perdono di significato.

Michele Piccolin

psicologo forense,
consigliere Ordine Psicologi Bolzano

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