Coronavirus in Alto Adige: le diffidenze incrociate e il modello Hong Kong

«I mali incerti sono quelli che ci tormentano di più». La puntata di oggi, 7 marzo, riparte da Seneca. Perché è vero che una parte dell’incertezza che circonda il virus è dovuta alla disinformazione, alla polarizzazione tanto amata dai media nonché dagli errori delle comunicazione delle amministrazioni pubbliche centrali e locali, ma anche restando lontani da polemiche e montature, provando a restare appiccicati ai dati, è davvero difficile comprendere il comportamento del virus.

Una premessa si rende necessaria, i dati forniti dalla Protezione Civile, seppur dettagliati e aggiornati quotidianamente, non permettono una valutazione precisa e completa. Essenzialmente perché non si conoscono le modalità utilizzate (Campione solo ai sintomatici? Campione a chi chiede assistenza o solo a  chi è stato a contatto con i «positivi»?) e nemmeno le tempistiche. Sono stati eseguiti due  settimane fa o oggi? Insomma, i dati, anche quelli ufficiali della Protezione Civile, vanno presi con le dovute cautele. Ma detto questo: il virus è quello che appare dai dati lombardi? 2259 positivi su 12.354 tamponi (il 18%) e 98 decessi (il 4,35% dei positivi) O quello «veneto»? 407 positivi su 11.949 tamponi (il 3,4%) e 10 decessi (il 2,4% dei positivi). I numeri sono decisamente differenti.

Se poi si osservano i dati relativi alle regioni meno «controllate», la confusione aumenta invece di diminuire. Dobbiamo apprestarci ad affrontare diffusione e mortalità come dai dati delle Marche? 124 positivi su 413 controlli (il 30%!) e 4 morti (il 3,22% dei positivi) o come da numeri del Lazio? 1175 tamponi (quasi tre volte quelli delle Marche) e 44 positivi (quasi un terzo di quelli delle Marche) e nessun decesso.

Come ci è stato spiegato da più parti, la diffusione del virus va contenuta anche e soprattutto per non intasare i reparti di terapia intensiva. Ma al momento solo la Lombardia mostra dati preoccupanti: 244 ricoverati contro i 32 dell’Emilia Romagna seconda per ricoveri in questa triste classifica. In Veneto sono ancor meno, 24 e nelle Marche 19. Per chiudere con i numeri, la Protezione Civile ha  registrato 148 morti per Coronavirus in Italia (dato relativo alla sera del 5 marzo). Chi scrive, va precisato, non è uno statistico e nemmeno un virologo e si è semplicemente limitato a confrontare dei dati sapendo che la situazione cambia rapidamente di giorno in giorno.

Mi concedo un ultimissimo dato prima di passare ad altro. Per l’influenza «classica» (mi scuso per la scarsa precisione) nella stagione 2018-2019 sono state contagiate 8,1 milioni di persone e sono stati registrati 198 decessi. Nella stagione 2017-2018, i contagiati sono stati 8,7 milioni e i decessi 160. Numeri a parte, i dubbi che restano sono decine. Ne elenchiamo un paio. Perché l’Italia, in particolare le regioni del Nord, sono diventate il focolaio più consistente d’Europa? Un noto politico italiano ha girato per mesi con la maglietta «Prima il nord» e successivamente con la felpa «Prima l’Italia», ma crediamo che addebitargli anche questa responsabilità possa risultare ingeneroso. Ancora, perché il virus proveniente dalla Cina si è diffuso a partire da Codogno o Vo’ invece che da Prato o da via Paolo Sarpi a Milano che, notoriamente, ospitano comunità cinesi molto consistenti? Se il dato in mio possesso è aggiornato, ricordo che a oggi sono solo due i cittadini cinesi risultati positivi al Coronavirus in Italia.

Hong Kong e l’Alto Adige

C’è, però, un posto nel mondo in cui si sono mossi con grande velocità e rigore non appena avuta la notizia della diffusione del Coronavirus: Hong Kong. Per sapere come procedono le cose lì, in una regione cinese a statuto speciale che ha una popolazione di sette milioni di abitanti e una densità di popolazione tra le più alte del mondo (6500 abitanti per kmq, quella dell’Italia è di 200 circa), ho intervistato Ilaria Maria Sala, giornalista italiana che vive a Hong Kong e collabora regolarmente con «The Guardian», «The Wall Street Journal», «China File» e altre importanti testate internazionali. Per comprendere in maniera completa quanto sta avvenendo a Hong Kong è, però, necessaria una premessa che ci fa la stessa Ilaria Maria Sala: «Qui non è stato dimenticato quanto avvenuto nel 2003, in occasione dell’epidemia di Sars. Un virus in parte simile a quello che affrontiamo oggi ma con minore facilità di contagio ma con mortalità più elevata. L’epidemia di Sars era scoppiata alla fine del 2002, ma le autorità cinesi nascosero le informazioni e Hong Kong si trovò nell’epicentro della diffusione di un virus misterioso e letale senza informazioni di nessun tipo da parte cinese. Informazioni che arrivarono all’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) e poi a tutti, Hong Kong compresa, in forma lacunosa nel mese di febbraio e in maniera completa e precisa solo nel mese di aprile».

 

Inevitabilmente questo ha condizionato fortemente l’atteggiamento nel momento della diffusione del Coronavirus con una conseguente corsa all’accaparramento di beni di prima necessità e rigide politiche per evitare la diffusione dell’epidemia. «Va considerato che diciassette anni fa – precisa Ilaria Maria Sala – la Cina era molto più isolata e i viaggi verso l’Europa e gli Stati Uniti erano decisamente meno frequenti, per questo le vittime furono registrate sopratutto in Cina, a Taiwan e a Hong Kong. Il comportamento delle autorità centrali cinesi finì comunque per scatenare una enorme diffidenza che non poteva essere minore oggi, dopo lunghi mesi di scontri tra i manifestanti di Hong Kong e il governo di Pechino». Le decisioni sono state conseguenti: «Praticamente tutti indossano le mascherine, moltissime attività sono state cancellate, dalle feste private, ai concerti fino a manifestazioni molto attrattive come Art Basel-Hong Kong. Le scuole sono state chiuse fino ad aprile e gli uffici governativi lo sono stati fino allo scorso lunedì 2 marzo. I risultati possono essere considerati positivi, soprattutto se paragoniamo i dati a quelli italiani: i morti sono due e un centinaio i casi registrati. Ovviamente, questo blocco ha provocato danni economici consistenti, ma si spera che le misure decise possano fare uscire il prima possibile dall’emergenza e quindi che si possa ripartire con la normalità al più presto».

Ma come è valutata a Hong Kong la risposta italiana. Ilaria Maria Sala cerca le parole più diplomatiche possibili: «Diciamo che siamo allibiti, la risposta delle autorità italiane è sembrata confusa e cambiava spesso dalla sera alla mattina». Ma se ci siamo occupati di Hong Kong è per un paio di motivi: il fatto che Hong Kong sia una «regione a statuto speciale» e per la sua diffidenza verso il potere centrale. Come ha sottolineato la stessa Sala su “The Guardian”, i cittadini di Hong Kong non possono fare affidamento su un governo solidale e competente e pensano che il governo centrale sia indifferente ai loro problemi. Ricorda qualcosa o qualcuno? Esiste un’altra area a statuto speciale che non si fida del governo centrale? Per esempio, la fiducia della provincia autonoma di Bolzano nei confronti del governo di Roma è paragonabile a quella di Hong Kong per Pechino?

Governo troppo emotivo. Anzi no

Ad una prima valutazione parrebbe di sì, ma con risultati contrari. L’Alto Adige, infatti, ha dimostrato un atteggiamento sensibilmente diverso dal resto d’Italia, sia rispetto alle politiche decise dall’Amministrazione Provinciale (si veda prima puntata) sia nel comportamento dei cittadini. Qui, in pratica, la risposta del governo italiano è stata reputata eccessiva e troppo emotiva e si è scelta una strada opposta. Non a caso, il primo marzo 2020 la Provincia comunicava tramite apposito comunicato: “In Alto Adige la situazione resta tranquilla”. Poi, due giorni dopo, ha deciso di chiudere le scuole di sei comuni Santa Cristina, Selva di Val Gardena, Badia, Predoi, Monguelfo e Dobbiaco. Questo ha finito per scatenare altra diffidenza, questa volta da parte della popolazione di lingua italiana che si è immediatamente chiesta del motivo per cui si fossero decise chiusure solo per quell’area e non a Bolzano, le cui scuole sono molto frequentate da studenti della Val Gardena..

Incrocio di diffidenze e di mancanze di fiducia che sono state messe a tacere dalla decisione del Robert Koch Institut di Berlino di inserire l’Alto Adige/Südtirol nella lista delle zone a rischio. Al momento non si conoscono i dettagli precisi della decisione ma è probabile che la ventina abbondante di turisti tedeschi tornati dall’Alto Adige con il Coronavirus e la penuria di controlli in Alto Adige abbia fornito un contributo decisivo. Questo, nonostante le pubblicazioni scientifiche indichino come il Coronavirus nato in Cina sia atterrato in Europa proprio in un aeroporto tedesco. Non resta che attendere gli sviluppi, di questi tempi non occorre avere molta pazienza. Come noto: «di doman non v’è certezza», ma anche oggi non ce la passiamo tanto bene.

Massimiliano Boschi

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