Bruno Cell: è trentina la carne coltivata "controcorrente"

La carne coltivata è un tema caldo e polarizzante in questi mesi, soprattutto dopo l’approvazione, nel novembre scorso, della legge che ne vieta la produzione e la commercializzazione in Italia. Una scelta politica che ha inciso moltissimo su quella fetta di investitori e aziende che contribuiscono alla ricerca in questo settore. È il caso anche della trentina Bruno Cell, prima startup ad occuparsi di ricerca nell’ambito della carne coltivata in Italia. Fondata nel 2019 da Stefano Lattanzi, Bruno Cell ha un nome evocativo, omaggio al pensiero controcorrente del filosofo Giordano Bruno ed è sostenuta dall’Università di Trento e da HIT – Hub Innovazione Trentino. “Il nostro focus è la ricerca. Ci occupiamo solo di un segmento della produzione di carne coltivata che riguarda la selezione delle linee cellulari: una strategia che ci ha permesso di essere recentemente selezionati da un consorzio europeo come responsabili per la selezione delle linee cellulari” – spiega Lattanzi, CEO di Bruno Cell. La startup trentina si occupa, in particolare, del processo che trasforma le cellule staminali di un animale in cellule muscolari per arrivare alla produzione della carne coltivata. Quest’ultimo processo, chiamato differenziamento cellulare, solitamente viene indotto con l’utilizzo di alcune sostanze, che però hanno un costo elevato. “Abbiamo ipotizzato che le cellule potessero differenziare semplicemente con una variazione di temperatura, ottenendo un risparmio notevole in termini di tempi, di costi e di semplicità del processo” – continua Lattanzi. Questa tecnica di induzione termica del differenziamento cellulare è un brevetto ancora in fase di approvazione.
Un grande lavoro di ricerca per un miglioramento ambientale, infatti la carne coltivata presenta molti vantaggi rispetto a quella tradizionale, tra cui l’abbattimento di emissioni di gas serra, minore consumo di suolo e rischio deforestazione, oltre al risparmio di acqua e energia. E, non da ultimo,  la liberazione degli animali da maltrattamenti crudeli. “I vantaggi ambientali sono indiscutibili, nonostante sia presto però per fare life cycle assessment precisi” – spiega Lattanzi, e continua – “È difficile poter dare precise percentuali di risparmi, in poiché siamo in una fase di ricerca e quindi si parla di condizioni ipotetiche. Impossibile dire dunque con precisione quanta energia consumerà la produzione di carne coltivata, se non sappiamo quali saranno davvero i macchinari che vengono utilizzati per questo tipo di lavoro e il loro relativo consumo”. Oltre ai vantaggi ambientali, la carne coltivata potrebbe essere anche una risorsa per facilitare la gestione dell’alimentazione: spesso, a causa di carestie dovute alla siccità, molti animali da allevamento muoiono, creando così grandi disagi per la produzione alimentare. Si tratta dunque di un ventaglio di opportunità che convergono tutte verso il progresso dell’essere umano.

Stefano Lattanzi

Prima a Singapore, poi negli Stati Uniti e da poco anche in Israele si legge che la carne coltivata si può trovare sulle tavole dei consumatori. È necessari però sottolineare che si tratta di prodotti ibridi, cioè realizzati in laboratorio da un 60% di plant-based e un 40% di carne coltivata. “Ci tengo a evidenziare questa cosa perché in qualche modo sembra sempre che l’Italia risulti molte volte in difetto rispetto ad altre nazioni, ma non è affatto così, anzi il nostro Paese sta compiendo un eccellente lavoro di ricerca” – sottolinea Lattanzi.
Secondo il CEO di Bruno Cell, nonostante il dibattito tra conservatori e progressisti, anche l’Italia vedrà un cambio culturale nel settore dell’innovazione alimentare. “Le questioni legate alla legge contro la commercializzazione della carne coltivata non implicano che antropologicamente gli italiani siano più chiusi rispetto ad altre nazioni e che siano più ortodossi sul cibo, nonostante una forte cultura alimentare. Anzi, se si confrontano alcune survey con quelle di altre nazioni, emerge che gli italiani e gli spagnoli siano i primi a voler assaggiare prodotti di carne coltivata, a differenza dei francesi che si trovano molto contrari. Tutto sta nella chiara, trasparente e giusta comunicazione: se agli italiani venisse spiegato in modo corretto cos’è la carne coltivata, senza utilizzare termini come “carne sintetica”, creando distorsioni lessicali ideologiche, sono convinto che assaggerebbero questi prodotti”. Quando? “Non appena cambieranno le condizioni politiche e la ricerca biotecnologica avrà portato i suoi frutti: solitamente rispondo che tra una decina di anni la carne colturale potrà trovare spazio anche sulle tavole italiane” – conclude Lattanzi.

Chiara Caobelli

Immagine in apertura: foto Julia Koblitz/Unsplash

Ti potrebbe interessare