Bolzano: la città, il Waltherpark e “Sweet home Alabama”

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Bolzano è quel luogo in cui l’apertura di un centro commerciale “tiene” le prime pagine dei quotidiani per una settimana. Quello in cui non si parla d’altro per giorni e si scomoda persino la difesa della libertà di stampa per un invito rifiutato all’anteprima promozionale per giornalisti. Un’enfasi e un provincialismo che solitamente caratterizzano realtà molto più piccole e non le città capoluogo di una ricca provincia.  Non è una novità, Bolzano è una città che non vuole esserlo, che dimostra quotidianamente di voler espellere tutto quello che caratterizza ogni città del mondo. Preferisce nettamente, la quiete e il “decoro” a misura di turista.
Non stupisce più di tanto, quindi, che sul Waltherpark si stiano accumulando speranze e polemiche spropositate, riuscendo persino a polarizzare l’opinione pubblica sul futuro di un normalissimo centro commerciale del tutto simile a quello di decine di città europee.
L’impianto e la scelta dei negozi sono evidentemente “tedeschi”, d’altra parte nasce come “Kaufhof Bozen”, e da lì non si è molto allontanato. E’ sufficiente fare un salto in una città tedesca o austriaca per notarne la somiglianza. La nota italiana del “Mercato centrale” dovrà quindi confrontarsi con una realtà che non sembra prontissima a riceverla.
Fino a qui si è descritto cosa succede fuori dal Waltherpark, ma dentro?

La visita, anzi le visite, hanno atteso che si smaltisse la folla dei primi giorni di apertura per ottenere una visione più precisa. A pochi giorni dall’inaugurazione, però, gli effetti sono ancora visibili. Molti, non solo i più giovani, si erano evidentemente “vestiti bene” per l’occasione e sembravano vivere la “prima” al centro commerciale come una “prima a teatro”. Altre reazioni, invece, ricordavano quelle di ungheresi e polacchi nei primi anni Novanta, quando in Europa orientale sbarcarono i primi supermercati “capitalisti”: un mix di stupore e “spaesamento” generato da un’offerta mai vista prima per quantità ancor prima che per qualità.
In sintesi, è ancora presto per valutare in maniera precisa come sarà il Waltherpark del futuro, deve prima scomparire l’effetto “evento”. Perché un centro commerciale è fatto per restare, non è di passaggio, non è come il mercato di Stegona, il Luna Park o una prima a teatro, per sopravvivere ha bisogno di accogliere clienti tutti i santi giorni, anche quando non è più l’evento dell’anno.
Chiarito questo, le visite compiute finora (sempre nei giorni feriali) non sembrano particolarmente ben auguranti, molti negozi di abbigliamento risultavano deserti, mentre erano decisamente più affollati i negozi di gadget e prodotti per la casa. Per ovvi motivi, il Mercato Centrale merita un discorso a parte, è aperto anche di sera ed è difficile valutarne l’appeal nelle ore pomeridiane.

La sera al Waltherpark
Ad accogliere i clienti all’ingresso del Waltherpark sono due auto della Guardia di Finanza con tanto di agente di un’unità cinofila e un’auto della polizia. Sono le 19.45 e alcuni agenti stanno controllando i documenti di un paio di persone sedute su una panchina, atteggiamento notoriamente sospetto.
Alcuni ingressi hanno chiuso alle 19.30, occorre spostarsi verso quelli notturni per poter accedere al Mercato Centrale e al supermercato presente al piano interrato. Le scale mobili sono presidiate dalla sicurezza in gilet giallo, un paio non funzionano, ma nonostante questo, il Mercato Centrale è decisamente frequentato. Molti gironzolano “in visita”, mentre i ristoranti che servono hamburger o carne (soprattutto pollo) accolgono diversi clienti, leggermente meno la birreria. Tutti gli altri sembrano passarsela maluccio, i tavoli sono semideserti e i clienti in entrata si contano sulle dita di una mano.
Poca gente anche al supermercato, che chiude alle 21, ma chi sta facendo la spesa sembra godersi la possibilità di scegliere con calma cosa acquistare.
Non c’è molto altro da vedere, nella caffetteria esterna i tavoli sono già occupati dalle sedie ribaltate ed è evidente che dentro al Waltherpark si replicano le dinamiche esterne: a Bolzano si cena presto e non si ama tirare tardi, soprattutto nei giorni feriali.

Cosa succede in città?
Il Waltherpark è evidentemente un prodotto “cittadino”, nel bene e nel male. Pensato per determinate fasce di consumatori tipici di una città. Ma Bolzano è una città, e soprattutto vuole esserlo?
Al momento non sembra avere la minima voglia di assomigliare a Monaco, Vienna o Milano e nemmeno a Wolfsburg, Graz o Verona. Sembra preferire il modello Ortisei, quello di una tranquilla cittadina, pittoresca e placida che accoglie persone che vivono (in tutti i sensi) altrove.
Il problema è che, essendo il capoluogo di una provincia di confine, non potrà mai assomigliare a un placido villaggio adagiato sotto le montagne. Perché Bolzano incrocia flussi migratori e realtà socioeconomiche che non glielo consentono e la rendono, suo malgrado, un centro urbano. La maggioranza dei cittadini e le Amministrazione comunali, però, non si rassegnano. Invece di confrontarsi con quanto ne deriva (nel bene e nel male) preferiscono fingere di essere “altro” e tentano di espellere quel che rovina il panorama, fallendo miseramente.
Non si può dimenticare che il progetto Waltherpark è un’operazione di riqualificazione in cui le ruspe sono state chiamate ad abbattere luoghi di povertà ed emarginazione – tipici di ogni città europea nei pressi della stazione ferroviaria – per fare posto a boutique e alberghi di lusso.
I primi effetti di questa decisione si sono già potuti osservare, ma se si continueranno a rifiutare contaminazioni e disagi tipici di una città, la situazione non migliorerà. I giovani continueranno ad andarsene lontano, lasciando spazio alle paure di una popolazione anziana che, spaventata dalle “facce nuove”, preferisce chiudersi in casa per osservare il mondo su schermi grandi o piccoli. Piazze e giardini continueranno ad essere prima abbandonati poi blindati per spostare i problemi qualche metro più in là.

Per concludere, il Waltherpark, nel suo essere così “cittadino”, potrebbe persino scatenare un effetto positivo e rendere la vita urbana più affascinante ai bolzanini. Al momento, però, la maggioranza degli abitanti appare ancora terrorizzata dall’idea, degni rappresentanti di una provincia che è “anti-urbana” per vocazione e denominazione. Nel frattempo l’Alto Adige continuerà a trasformarsi in un’Alabama del secolo scorso, ma con una “colonna sonora” decisamente peggiore.

Massimiliano Boschi

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