L'habitat della genialità. Flavia Mastrella e Antonio Rezza presentano “Bahamuth”

“La storia dello spettacolo è nel ritmo: i passi, le frasi. Il susseguirsi delle vicende è una costruzione creata con le regole del montaggio cinematografico; Bahamuth si svolge in uno spazio esterno – interno che logora la percezione del tempo e lo reimposta. La sequenza drammaturgica è costruita mettendo in relazione i frammenti di storie con i movimenti e con i ritmi sonori della parola recitata in corsa”.
Flavia Mastrella e Antonio Rezza presentano (anche) così “Bahamuth” lo spettacolo che andrà in scena martedì primo marzo (ore 20.30) al teatro Comunale di Bolzano all’interno della rassegna curata dal Teatro Stabile.

Uno spettacolo creato “in parallelo” dalla coppia più strampalata (“che contrasta con il comune modo di pensare ed agire” Treccani ) del teatro italiano. “Lavoriamo in modo parallelo, ma vicino – precisa Flavia Mastrella – ognuno porta la sua idea e scopre un mondo nuovo. Io costruisco l’habitat che Antonio vive per alcuni mesi, poi, insieme miglioriamo il ritmo e arrotondiamo i testi”.

Testi che appaiono più spigolosi che rotondi…

“Preferiamo una narrazione frammentaria. In generale è una visione non realistica, sono testi astratti costruiti attraverso frammenti e colori di realtà”.

All’interno di un habitat che non è una scenografia…

“Io non sono una scenografa, sono un’artista che crea questi habitat attraverso ricerche figurative. Non sono riuscita a inserirmi in un mondo dell’arte troppo chiuso, ma con Antonio ho sempre nuove opportunità. Il teatro mi sembra ancora molto libero”.

Qual è l’habitat di Bahamuth?

“Ho svolto una ricerca sui giocattoli abbandonati sulle spiagge del litorale laziale. Oggetti che il mare prende e rovina per poi riconsegnarli sul bagnasciuga. Mi hanno ispirato un habitat che è una casa prospettica senza pareti, abitata da un uomo da un re, l’essere supremo e megalomane. Come solito, prendiamo di petto il potere e i suoi abusi”.

Nella scheda artistica si legge: “L’orologio segna sempre l’ora in cui un passerotto castrato, si affaccia e grida la sua costernazione sotto forma di cucù, per poi rientrare diligente nella trappola del tempo”.
Sembra un perfetto ritratto dell’umanità ai tempi dei social.

“E’ un’interpretazione possibile. In effetti il linguaggio di Facebook è frammentario e i social insistono e amplificano una mentalità tipica del potere coercitivo. Ma Bahamut è del 2006, quando i social non erano ancora così importanti.

Ma siete stati in grado di anticiparne il linguaggio.

“E’ vero utilizziamo molto il linguaggio delle immagini che quindici anni fa era sottovalutato. Non è un caso che i giovani impazziscano per il nostro modo di vedere le cose e per l’utilizzo di un linguaggio sintetico espresso con poche parole.

Spesso sembrate in disaccordo anche su temi importanti, sono differenze che vi arricchiscono?

“Assolutamente sì, è la differenza che aumenta la qualità. E’ fondamentale l’armonia tra diversi, è il potere che ci vuole tutti uguali”.

Ad Antonio Rezza, invece, l’orologio a cucù e il passerotto castrato ricordano soprattutto agli attuali tempi pandemici: “Senza negare la tragicità che ci ha investito, credo che stiamo vivendo uno dei periodi più intransigenti della storia. L’obbligo di esibizione di un certificato mi è sembrato un atto di una violenza senza precedenti, una decisione che mi ha decisamente mortificato. Credo che ne scopriremo gli effetti reali solo tra qualche anno”.

A proposito di pandemia. La mascherine obbligatorie penalizzano il rapporto con il pubblico?

“Avevo il terrore di non riuscire a cogliere il calore del pubblico, ma mi sono accorto che lo sento comunque. La gente che viene a teatro non vedeva l’ora di uscire. Siamo rimasti segregati in casa per troppo tempo e lo streaming è stato accettato senza resistenze. Tutti sdraiati sui divani convinti di poter scegliere grazie a internet: una segregazione spacciata per espressione di libertà”.

Lo sfratto dai locali di Nettuno che vi ospitavano da oltre trent’anni vi ha fatto pronunciare parole piuttosto dure nei confronti della provincia

“Non è solo per quello e preferisco non nominare più Nettuno. Ci hanno cacciato dopo 35 anni, ora lavoriamo ad Anzio, anzi siamo di Anzio (Per capire il contesto, tra le due città c’è una rivalità paragonabile a quella tra Pisa e Livorno Nda). In generale, la provincia è stata volutamente abbandonata, non c’è nulla: o lavori o ti ammazzi. Non c’è un museo, un teatro, nulla”.

In compenso si susseguono i casi di cronaca nera: Erba, Garlasco, Colleferro, persino Bolzano con Benno Neumair

“Bolzano non la considero provincia, è piena di teatri e di musei, ma c’è un altro aspetto. Negli anni della peggiore Democrazia Cristiana un assassino, una volta riconosciuto tale, era tecnicamente morto per la società. Sui media non circolavano loro immagini mentre fanno body building o si godono una vacanza. Che senso ha mostrare le due persone che hanno ammazzato un ragazzino a calci mentre si rilassano al mare? Perché civilizzare la loro colpa attraverso l’immagine di come erano prima di diventare assassini. Sono persone che hanno meritato di perdere l’immagine che avevano prima dell’omicidio. Gli assassini vanno rispettati in quanto tali, se si sono guadagnati questa qualifica devono risultare tecnicamente morti. A differenza della vittima che è morta sul serio”.

Ma non sono persone che mostrano anche un esagerato conformismo? Non sembrano imitare quel che vedono in televisione?

“Sì, è nei reality che nasce questa deriva, questa neo volgarità”.

D’accordo con Alessandro Bergonzoni che sostiene che sotto certi programmi televisivi dovrebbe comparire la scritta “Nuoce gravemente alla salute”?

“Sì, Bergonzoni è una persona intelligente con un incredibile talento. Lui, io e Flavia, Franco Maresco… Siamo fenomeni pop che andrebbero ospitati negli stadi. Così il pubblico si avvicinerebbe al talento e potrebbe migliorare la propria estetica. Potremmo essere dei fari, ma credo che lo saremo solo da morti”.

Ma l’età degli spettatori dei vostri spettacoli è decisamente più bassa della media. I giovani vi adorano.

“Sì e molte compagnie di giovani ci vogliono incontrare, solo che poi cadono nella richiesta di finanziamenti perché è la via più corta e facile. Non capiscono che questo li anestetizza”.

Massimiliano Boschi

 

BAHAMUTH

di Flavia Mastrella e Antonio Rezza
In collaborazione con la Fabbrica dell’attore e Teatro Vascello

con Antonio Rezza, Ivan Bellavista e Neilson Bispo Dos Santos

 

Immagine di apertura di Stefania Saltarelli

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