A Bolzano c'è un ufficio non autorizzato della polizia cinese?

Secondo l’Ong Safeguard Defenders, la Repubblica Popolare Cinese avrebbe istituito 102 “Centri di servizio di polizia d’oltremare” in 53 paesi di tutto il mondo, Italia compresa. Anzi, il nostro Paese sarebbe quello col più alto numero di “centri di polizia d’Oltremare”, ben 11 sparsi tra Roma, Milano, Venezia, Firenze, Prato, una città siciliana non specificata, e Bolzano.
Secondo il rapporto di Safeguard Defenders, Ong spagnola che si occupa del rispetto dei diritti umani nei paesi asiatici, alcuni di questi uffici, avrebbero abbiano preso parte “all’esecuzione delle cosiddette persuasioni al ritorno. operazioni rese possibili anche grazie alla complicità (silenziosa) di un certo numero di paesi ospitanti”. Un silenzio che, secondo la Ong  aumenterebbe “il senso di paura nelle comunità prese di mira”.
Il rapporto di “Safeguard Defenders”, prende le mosse da dichiarazioni e dati pubblici in Cina e, almeno in un primo momento, le aperture di questi uffici sono state autorizzate dalla polizia italiana e le attività portate avanti pubblicamente attraverso operazioni contro la lotta al terrorismo, all’immigrazione illegale o, più in generale contro la criminalità organizzata.
Nelle conclusioni, il rapporto dell’Ong spagnola invita i vari governi che ospitano questi centri di polizia a “Indagare a fondo sui ‘Centri di servizio di polizia cinese d’oltremare’ e sulle loro che sono impegnate in operazioni per allineare le politiche e le attività locali in tutto il mondo con gli interessi del Partito Comunista Cinese oltre a cercare di mettere a tacere i critici del Pcc“.
Il rapporto invita i governi anche a istituire meccanismi di segnalazione e protezione nei confronti di coloro che sono presi di mira dagli uffici della polizia cinese di oltremare e rendere consapevoli le forze dell’ordine locali e le autorità giudiziarie “sui mezzi e sui metodi utilizzati in questi sforzi di repressione transnazionale”.
Per comprendere meglio il quadro, abbiamo contattato Ilaria Maria Sala, giornalista collaboratrice di “The Guardian”, “Internazionale” e di altre prestigiose testate internazionali, appena rientrata a Hong Kong. “E’ un tema complicato – premette  -. Per il governo cinese sono semplicemente luoghi in cui si sbrigano le pratiche burocratiche dei cittadini cinesi all’estero. Pratiche che si sono moltiplicate in coincidenza con la pandemia: rinnovo di documenti, attestazioni vaccinali etc.  Il problema è che queste attività andrebbero chiaramente dichiarate. Se sono una sorta di ufficio passaporti o di strutture semi-consolari perché si presentano attraverso altre definizioni. C’è un’evidente mancanza di trasparenza che inevitabilmente genera sospetti. Inoltre, a quanto risulta, ci sono anche persone invitate a tornare in Cina per varie ragioni, cause pendenti etc, quindi non si tratterebbe unicamente di lavori di cancelleria e se queste strutture svolgono altre attività, perché non definirle in modo esplicito? Infine, manca la reciprocità. Se è permesso al governo cinese di aprire queste strutture all’estero, dovrebbe essere concesso anche ai paesi che le ospitano di aprirne di uguali in Cina. Cosa che, ovviamente non avviene”.
Più in generale, esiste un evidente problema rispetto alla privacy dei singoli cittadini cinesi che vivono all’estero che si ritrovano a fornire dati personali a strutture che dovrebbero svolgere servizi paraconsolari ma che, a quanto pare, svolgono anche attività di polizia con relative dettagliate schedature.

“Safeguard Defenders” ha sottolineato come 14 Paesi abbiano avviato indagini su queste stazioni di polizia, tra queste Germania, Austria, Portogallo e Irlanda. Riguardo all’Italia, si legge nel rapporto di Safeguards Defenders: “Interpellato dai media sull’esistenza della stazione di Prato nel settembre di quest’anno, il ministero dell’Interno dell’ex governo in carica ha risposto che la stazione ‘non desta particolari preoccupazioni’. Il nuovo governo non ha ancora risposto”.

Ma.Bo.

 

 

 

 

 

 

 

 

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