Lavoro, finito "effetto Jobs Act": assunzioni come due anni fa
Sembra esaurito anche in Alto Adige l’“effetto Jobs Act”, ovvero il forte aumento delle assunzioni a tempo indeterminato spinto dagli incentivi validi per il 2015 per chi assumeva con i nuovi contratti a tutele crescenti introdotti con la riforma del lavoro voluta dal governo Renzi. Come accaduto un po’ in tutta Italia – per esempio in Veneto – anche in Sudtirolo i primi mesi del 2016 mostrano un netto calo delle nuove assunzioni rispetto al boom dell’anno precedente, boom che si è concentrato soprattutto nel mese di dicembre 2015, con la corsa agli incentivi (era l’ultimo mese in cui scattava l’esonero totale per 3 anni dai contributi pensionistici). Per il 2016 gli incentivi per chi assume a tutele crescenti sono minori: esonero contributivo parziale al 40% e per un massimo di 24 anziché 36 mesi.
A fotografare lo stato del mercato del lavoro in Alto Adige è il nuovo bollettino dell’Osservatorio del mercato del lavoro della Provincia di Bolzano (qui in pdf) in cui si legge: «Durante i mesi successivi – febbraio, marzo e aprile 2016 – il numero di assunzioni e trasformazioni è sceso sui livelli del periodo 2012-2014, nettamente inferiori a quanto registrato nel 2015. Sembra quindi che gli incentivi per il 2016 non siano più attraenti, o perlomeno non lo sono abbastanza da evitare il calo riconducibile all’anticipo a dicembre 201 5 di assunzioni o trasformazioni che sarebbero comunque state fatte nei primi mesi del 2016».
I contratti a tutele crescenti sono più stabili?
È pur vero che nel corso del 2015 c’è stato un forte «travaso» di lavoratori da contratto a tempo determinato a contratti a tutele crescenti. L’Osservatorio si pone allora una ulteriore domanda: i contratti a tutele crescenti sono davvero più stabili, cioè durano di più, rispetto a quelli a tempo determinato? Infatti i nuovi contratti, dopo l’eliminazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, prevedono licenziamenti più facili in cambio di un’indennizzo monetario al dipendente.
Ebbene, la risposta è che in alcuni settori i nuovi contratti hanno portato a più stabilità, mentre in altri settori, paradossalmente, a una minore stabilità. Nel complesso «nessun miglioramento durante i primi undici mesi» di Jobs Act, è la sintesi dell’Osservatorio sul mercato del lavoro.
«Seguendo i nuovi contratti attivati tra gennaio e maggio durante i loro primi 11 mesi di validità, si osserva che nei settori con maggiore componente stagionale (quello turistico in primo luogo ma anche nell’edilizia e nel commercio) i contratti a tempo indeterminato iniziati nel 201 5 risultano più stabili di quelli del 2014. Questo per quanto riguarda i contratti con lavoratori in possesso dei principali requisiti per beneficiare dell’esonero contributivo».
Ma questa maggiore stabilità avviene «a spese delle altre categorie di lavoratori». Leggiamo ancora il bollettino: «Contemporaneamente si nota una minore “sopravvivenza” dei contratti a tempo determinato, soprattutto tra coloro che quasi sicuramente non avevano i requisiti necessari per la decontribuzione. Osservando l’andamento occupazionale dei primi 11 mesi successivi all’assunzione o trasformazione, senza però distinguere tra forme contrattuali e tra la presenza o meno di contratti a tempo indeterminato nei sei mesi precedenti, non si nota più alcuna differenza rispetto ai contratti iniziati durante gli stessi mesi del 2014».
Un dato che, conclude l’Osservatorio, «fa pensare che i posti più stabili – quelli oggettivamente idonei a contratti di più lunga durata e che malgrado ciò in passato venivano ricoperti ricorrendo a contratti a tempo determinato – siano andati a lavoratori con i requisiti necessari per la decontribuzione, mentre agli altri lavoratori siano stati lasciati i posti meno stabili. Questo senza che si siano incrementati i posti di lavoro con maggiore stabilità. Contemporaneamente potrebbe essersi verificato che durante il 201 5 diversi datori di lavoro abbiano praticato più o meno inconsapevolmente una rotazione del personale a sfavore dei lavoratori con una biografia lavorativa incompatibile con la decontribuzione».
Giulio Todescan