
Alzheimer, no alla contenzione. Roberta Lenzi racconta il modello Sente-mente
Bolzano. Viviamo in un tempo programmato per la massima efficienza e produttività e in cui tutto ciò che intralcia la corsa quotidiana viene trattato come un problema da eliminare con soluzioni rapide e immediate. In questo contesto, l’approccio all’Alzheimer del metodo Sente-mente suona rivoluzionario, ma forse è semplicemente umano. “Parliamo di persone con demenza perché il focus è sulla persona e non sulla malattia” ci spiega Roberta Lenzi, infermiera domiciliare con un’esperienza ventennale nel distretto di Laives. Lenzi si è formata come “Felicitatrice” del modello Sente-mente, con cui è entrata in contatto nel 2017, quando ha conosciuto la sua ideatrice, Letizia Espanoli. “Mi ha colpito l’entusiasmo e la sua prospettiva, mi sono accorta quanti pregiudizi e luoghi comuni sono legati a come guardiamo alla demenza”, racconta Lenzi. Demenza che, lo ricordiamo, secondo le stime dell’Associazione Alzheimer in Alto Adige tocca circa 13mila persone – di queste l’80% viene assistita a domicilio. Se calcoliamo quindi i familiari che si trovano a confrontarsi con la situazione, le persone coinvolte sono almeno il triplo – una piccola città insomma. Incontriamo Roberta Lenzi a ridosso della Giornata dell’Alzheimer, che si celebra il 21 settembre.
“La mente si ammala ma il cuore no” scrive Letizia Espanoli a proposito delle persone con demenza. Certo è un’impostazione diversa dall’approccio medico classico…
Si l’approccio biomedico è sempre stato più orientato alla malattia che alla persona e l’aspetto emotivo viene trascurato. La mente indubbiamente si ammala e perde le capacità cognitive, ma il mondo emotivo viene conservato: il cuore non si spegne. E quello che provano queste persone è molto influenzato da chi sta accanto – è un fenomeno che anche chi ha bambini piccoli conosce benissimo.
Sappiamo che gestire le persone con demenza e i loro comportamenti può essere difficile ed esasperante.
Le persone con demenza vivono sensazioni ed emozioni che non riescono a decodificare e a esprimere – questa incapacità amplifica le sensazioni di fastidio o dolore, che si manifestano con segnali diversi e con la mimica corporea, che è un aspetto importantissimo…il corpo parla. Se quel dolore non viene riconosciuto attraverso questi segnali si traduce in quelli che la medicina definisce disturbi del comportamento. Ad esempio, se una qualcuno si avvicina e fa un gesto percepito come minaccioso o magari apre una finestra ed entra la luce che dà fastidio la reazione potrebbe essere aggressiva…
E la risposta è la sedazione farmacologica e la contenzione fisica.
Se manca questa attenzione, il riconoscimento del motivo per cui si manifesta un certo comportamento aggressivo, si ricorre alla contenzione fisica. Una persona sedata fisicamente diventa ancora più nervosa e quindi in seconda istanza si arriva alla sedazione chimica – nelle case di riposo c’è un utilizzo sproporzionato dei neurolettici, psicotropi e sedativi, anche rispetto agli antidolorifici. La legislazione parla chiaro rispetto alla contenzione, ma è entrata nella pratica clinica quasi come uno strumento di cura. E sa come viene giustificata?
Dica.
Viene utilizzata come pretesto per un’idea scorretta di proteggere l’anziano dalle cadute, ma le cadute di una persona contenuta aumentano di gravità rispetto a quelle di chi non lo è – che magari cade più spesso ma si fa meno male perché è libero di muoversi e il tono muscolare si mantiene, sappiamo che altrimenti negli anziani si perde velocemente.
Il farmaco è una scorciatoia anche per chi lo somministra…
In realtà si è visto come questo approccio crei tanto burnout nel personale perché si sente assolutamente impotente. A volte basta investire un po’ di tempo per porsi delle domande davanti a certi comportamenti e trovare soluzioni che pure sono banalissime- se noto che un anziano smette di mangiare magari si è ferito con la dentiera, o se non vuole mettersi la scarpa magari è un’unghia incarnita.
E quali sono gli aspetti che, secondo il metodo Sente-mente vanno osservati ?
Oltre a considerare le fonti di dolore, altri aspetti importanti sono l’ambiente e la relazione, il rispetto della dignità della persona. La relazione non è un optional: se percepisco che chi mi sta di fronte è convinto che non capisco nulla non avrò nessun desiderio di investire nella relazione. Quando la malattia è in stato avanzato non servono tanto le parole, ma lo sguardo, il tono di voce, il modo accogliente. E poi l’ambiente, che può essere fonte di grande fatica.
Come mai l’ambiente può rappresentare un problema per le persone con demenza?
Non ci rendiamo conto di quante informazioni elaboriamo continuamente attraverso la nostra mente – vede, io ora riesco a parlare qui con lei perché escludo la musica, i rumori e le voci di fondo, ma se i miei neuroni non me lo permettono sono inondato dalla confusione… e poi ci sono fatti a livello neurologico, ad esempio le persone con demenza possono perdere la capacità di vedere il bianco.
Davvero?
Si, per cui può diventare impossibile individuare la tazza del wc con conseguenze spiacevoli per i familiari – una soluzione è creare colori contrastanti in bagno per aiutare nell’orientamento … anche la termoregolazione cambia e la temperatura percepita può essere diversa dalla realtà.
A livello amministrativo e gestionale costa di più? Serve più personale?
Mi sento di dire che di no non ci sono più costi e non serve più personale ma un’organizzazione diversa. Nelle strutture dove si vive con questo metodo non c’ è un piano di attività, il risveglio è naturale, chi si sveglia alle 5 e chi alle 8, come in casa, con i suoi ritmi, come a casa. Se lavori con una check list e quello che interessa è solo la spunta a sera lavori con frenesia… ma se entri nell’ ottica che sei in una casa dove sono i residenti a dettare le regole della loro quotidianità, questi diventano molto più autonomi e non hai bisogno di avere continuamente tutto rigidamente sotto mano. Si rispetta la storia di vita e le passioni e i desideri che la persona porta con sé (un metodo simile è applicato nella “Gammeloase” a Marl, in Germania, ne abbiamo parlato qui , ndr)
Ci sono case di riposo che applicano il modello Sente-mente in Alto Adige?
No, ma in Trentino, a Pinzolo, e in diverse strutture in Italia.
Lei applica il metodo nel suo lavoro di infermiera, come si traduce questo concretamente?
Sente-mente lavora su più fronti, a livello gestionale delle case di riposo che scelgono di intraprendere questo modello, poi c’è la parte dei Felicitatori, che lavorano nella sensibilizzazione del territorio – a Bolzano c’è Anna Gaburri che collabora con l’Associazione Alzheimer, mentre io ho coinvolto negli anni scorsi Vadena e Bronzolo per diventare comunità amiche delle persone con demenza, organizzando incontri e laboratori per i famigliari e i Sente-mente caffe. Abbiamo poi un canale Sente-mente voice con podcast dedicati sia ai familiari che ai professionisti – tra l’altro cerchiamo di aiutare le case di riposo che scelgono la scontenzione.
In Alto Adige ci sono strutture che scelgono di non utilizzare la contenzione?
Si, ad esempio le case di riposo di Lavis e di Laives.
Un’ultima domanda, il nome Sente-mente …
Vuole orientare lo sguardo verso quello che la persona continua a mantenere e a sentire, perciò Sente-mente. Demente significa fuori dalla mente – possiamo concentrarci sulla perdita o scegliere di conservare la relazione. In fondo, è un approccio che potrebbe essere una cura a questo nostro tempo: essere presenti, vivere le emozioni ed esercitare la pazienza.
Caterina Longo