I dieci anni di BAU raccontati da Simone Mair e Lisa Mazza

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Bolzano. “Volevamo costruire una sfida in un territorio bilingue, il nome BAU contiene questo concetto -dal tedesco bauen, costruire- ma anche il riferimento al dialogo tra discipline diverse, senza gerarchie, com’era nel movimento tedesco del Bauhaus e… poi, si, ci piaceva che contenesse anche il verso del cane, bau! ”così spiegano Simone Mair e Lisa Mazza la scelta del nome BAU per  l’Istituto per l’arte contemporanea e l’ecologia che hanno fondato dieci anni fa.
BAU è una realtà innovativa e sfuggente, impossibile da incasellare in una definizione univoca, come del resto voluto dalle curatrici stesse, e questo ci costringe a spostarci dalla comfort zone mentale delle nostre presunte sicurezze su cosa sia arte e cosa no: “Non creiamo oggetti che entrano nel mercato dell’arte, ma processi partecipativi collegati al paesaggio, che vediamo come un archivio vivente e fonte di sapere. Attraverso i nostri progetti invitiamo a cambiare la percezione per vederci interconnessi, e non distinti, dalla natura” aggiungono ancora Mair e Mazza, che per festeggiare i dieci anni BAU hanno pubblicato il volume “Il gusto dei paesaggi futuri” (edito da Dent-De-Leone, UK)  che raccoglie le tante voci della fitta rete costruita in questi anni, la BAU Community: oltre 27 contributi interdisciplinari tra testi, immagini, ricette e rituali di personalità dal mondo dell’arte, del design e della scienza, ma anche dell’agricoltura e dell’artigianato.

Negli ultimi anni si parla molto di sostenibilità, anche nell’arte contemporanea, mentre voi avete messo la criticità ecologica al centro della vostra pratica già dieci anni fa… come nasce l’idea di BAU?

Non ci interessava aprire un semplice spazio espositivo – il mondo dell’arte risponde spesso a logiche capitaliste- cercavamo invece un modo più lento e silenzioso di pensare alla produzione artistica e culturale. Quando abbiamo scritto il manifesto di BAU in una baita a Monte San Virgilio venivamo entrambe da esperienze di lavoro in contesti internazionali e avevamo una certa affinità nel modo di pensare un’arte basata su processi partecipativi, capace di entrare in dialogo con il paesaggio, la ruralità, l’agricoltura. Negli anni ci hanno accompagnato i dialoghi con realtà internazionali come il collettivo spagnolo INLAND o futurfarmers dell’artista e designer Amy Fransceschini.

Voi non create arte da esporre in una galleria … ma allora cosa “produce” BAU?

Più che produrre delle cose materiali produciamo delle esperienze, intese non come eventi, ma come momenti di ripensamento, di unlearning, il continuo disimparare delle cose che crediamo di conoscere – ed in questo gli artisti con il loro modo di fare e di pensare possono aiutarci. Ad esempio, per Unteroberwasser, l’ultima mostra che abbiamo curato a Silandro quest’estate c’è quest’immaginazione che un artista può avere, questa idea di un pesce che arriva su un prato a Certosa e che, come gesto molto poetico, ci aiuta, in questa situazione di crisi ecologica e non solo, a riflettere sul nostro essere al mondo. E questo può essere  espresso da un’installazione che visiti da solo, ma anche altro…

Ad esempio?

Un workshop nella serra Lagundo con Barbara Gamper in cui si scopre che le strutture del corpo umano e delle piante hanno similitudini e questo cambia la percezione del sé, del proprio corpo e degli altri esseri viventi che ci stanno intorno . E questo nostro approccio, con il desiderio di metterci in dialogo e in ascolto ci porta a collaborare anche  con partner scientifici, come ad esempio il Museo di Scienze Naturali e Eurac , perché  il mondo ha bisogno di trovare altri linguaggi per parlare della complessità.

La Caldera, lo spazio sperimentale di BAU a Lagundo. Foto Franziska Unterholzner

Riuscite a portare avanti il progetto, anche finanziariamente?

Eravamo partite con delle idee un po’ naif, di una BAU residency finanziata dalla Provincia, ma è difficile, anche perché abbiamo un’identità volutamente non chiara. Quindi nel 2019 abbiamo creato una cooperativa e, oltre ai progetti di residenze d’artista, abbiamo allargato il campo delle attività: con BAU Alliance, in cui lavoriamo in partnership con istituzioni culturali su progetti specifici e con BAU Agency, una piattaforma per servizi rivolti a istituzioni culturali, del settore della formazione, ma anche alle aziende. E da tre anni il Bachguterhof ci ha messo a disposizione lo spazio della Caldera di Lagundo – una serra che si propone come luogo di apprendimento alternativo per le scuole.

Invitate regolarmente artisti e artiste e collettivi a realizzare progetti insieme a partner locali: com’è guardare il territorio in cui si abita con i loro occhi?

Ogni volta una scoperta nuova e inaspettata, per tutti: ad esempio se in Alto Adige proponi di fare un un progetto artistico legato al vino si da per scontato che l’artista realizzi una bella etichetta decorativa per la bottiglia e basta, e invece con l’artista Emma Smith abbiamo guardato alla produzione e alla complessità che c’è dietro quella bottiglia finita.

La pubblicazione per i dieci anni di BAU “Il gusto dei paesaggi futuri”. Foto Franziska Unterholzner

A proposito, il (grande!) libro che avete concepito per i dieci anni, “Il gusto dei paesaggi futuri” somiglia a un Bauernkalender, un calendario contadino, in cui si incrociano saperi e discipline diverse non solo dal mondo del design e dell’arte, ma anche dell’agricoltura e dell’artigianato.

Si, il volume segue il ritmo delle stagioni e vuole essere un oggetto fisico, interattivo, ci si può sdraiare sopra! Magari in un prato … ad esempio, Martino Gamper scrive togheter, del rituale dello stare insieme, Angelo Plessas di un rituale cyber-sciamanico per mangiare nel 2035, Ingrid Hora da una ricetta del pesto all’ortica e Daniele Piscopiello fornisce un piano per coltivare un orto che sostenga una famiglia tutto l’anno, mentre il ricercatore Marc Zebisch ha scritto una poesia su come sarà il paesaggio futuro …e moltissimo ancora.

Caterina Longo

Immagine in apertura: Lisa Mazza e Simone Mair durante la festa per i dieci anni e la presentazione del libro “Il Gusto dei Paesaggi Futuri” alla Caldera di Lagundo, settembre 2025. Foto Franziska Unterholzner

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